Rob_Rob ha scritto:Purtroppo Dora hai ragione. Nessuno si muove. E non e' solo cinismo. E' pura discriminazione.
In questo mondo i soldi muovono tutto, quindi avevo pensato che noi dell' occidentale avremmo messo su campagne di donazione per combattere l'omofobia , il negazionismo e facilitare l'accesso alle terapie in quella parte del mondo che ancora e' indietro....... invece nulla si muove.
Non riusciamo neanche a far utilizzare prep per i gay negativi perché costa troppo in Italia ( spendere soldi per i gay??). .... pensiamo In russia che probabilmente non hanno neanche un sistema sanitario adeguato per farli testare e far seguire i positivi ..... ancora discriminazione..... ancora i gay sono popolo di seconda classe che se muoiono chissenefrega. E insieme ai gay I marginalizzati come i tossicodipendenti e i malati mentali ....
Quella della Russia è una situazione particolarmente difficile da affrontare dall'esterno. Non è un Paese disgraziato dell'Africa dove la WHO, il Global Fund e i vari altri enti internazionali possano intervenire in modo massiccio, in base a criteri che sono stabiliti nel mondo occidentale; è un grande Paese molto geloso delle sue prerogative e che, per di più, in questo momento sta subendo sanzioni economiche per la sua politica estera estremamente aggressiva. Tanto è vero che non riceve quasi più aiuti per combattere l'HIV/AIDS da diversi anni e sistematicamente ha disatteso i suggerimenti che venivano dall'Occidente su come affrontare sia l'epidemia di HIV, sia il problema della diffusione delle droghe.
Una via percorribile è quella dei rapporti fra ONG russe e ONG e istituzioni occidentali ma, anche se gli ho dedicato poco spazio, credo di aver almeno accennato una spiegazione su quanto è dura la vita delle ONG nella Federazione Russa, quanto è difficile per loro fare il loro lavoro e quanto tutto diventa più difficile se mantengono rapporti stabili con l'Occidente.
In ogni caso, in questa fase storica la Russia sta esaltando le sue radici più antiche, la sua cultura cristiano-ortodossa, che è portatrice di valori lontanissimi dai nostri liberal-democratici di rispetto e di tutela delle minoranze, di ampliamento dei diritti umani, etc. Quindi quanto più tu dall'esterno proponi modelli di lettura della realtà e di intervento politico di stampo occidentale, tanto più vedi irrigidirsi le elites russe nell'esasperazione del loro nazionalismo.
Tieni poi conto di quanta
simpatia gode il regime di Putin in fette consistenti dei partiti politici e degli elettorati europei: tutti quei movimenti para-fascisti, dal Front National francese al Movimento 5 Stelle italiano, prendono soldi e ispirazione dalla Russia, e ci sono anche tanti comunisti o ex-comunisti europei che sembrano proprio non voler vedere quanto illiberale e francamente reazionario sia il regime di Putin (anzi, forse gli piace proprio per questo, oltre al fatto che lo vedono come alternativo agli Stati Uniti e tanto basta a farglielo piacere).
Poi c'è il problema di come combattere il negazionismo dell'HIV/AIDS quando qui in Occidente chi se ne è occupato negli anni passati ormai ha sbaraccato: gli scienziati, i medici, gli attivisti che attraverso i loro siti e blog e organizzazioni hanno contrastato Duesberg, i Perthians e Rethinking AIDS ormai si occupano d'altro, hanno
abbandonato i loro siti e li hanno
lasciati online solo per l'enorme mole di materiale accumulato negli anni. Paradigmatico il caso di AIDS Truth dove a metà 2015 hanno proprio scritto apposta un breve post per spiegare perché il loro lavoro era finito:
AIDSTruth: Our work is done.
Ed è davvero così: in Occidente il lavoro è finito, i negazionisti come movimento politico-ideologico sono stati spazzati via intellettualmente dalla scienza e ora si trovano solo ad affrontare
cause legali che li affosseranno in modo definitivo. Quel che ne rimane qui sono solo i negazionisti HIV positivi che, quando cominciano a star male davvero, in genere accettano di prendere gli antiretrovirali, magari raccontandosi qualche storiella sul perché sono efficaci. Se invece persistono nel negazionismo radicale, semplicemente muoiono.
Quindi, in Occidente, il grande lavoro fatto per contrastare il negazionismo rimane utile quasi solo per gli storici.
Ma non è così in Russia. In Russia il negazionismo è vivo e vegeto, si è saldato con l'ideologia nazionalistica e reazionaria oggi dominante e colpisce, come sempre, ma forse più di sempre, le persone nei loro momenti di maggiore fragilità. E queste non sono prevalentemente, come siamo abituati a pensare, persone appartenenti ai gruppi di popolazione più stigmatizzati come i gay e i tossicodipendenti, che di certo meriterebbero la nostra attenzione e le nostre battaglie. Con l'1 e in certe zone addirittura il 2% di donne incinte che scoprono di avere l'HIV proprio per i test fatti in gravidanza, l'epidemia si è globalizzata e sono proprio queste donne e i loro bambini a finire più spesso vittime di gentaglia come gli affiliati all'Assemblea dei Genitori Pan-Russa e a varie istituzioni in apparenza più presentabili come la Chiesa Ortodossa, che ormai è il vero motore ideologico del Paese (e Putin ce lo ricorda ogni volta che entra in una chiesa e corre a baciare le icone).
Le donne non sono stigmatizzate in quanto tali, non sono una fascia di popolazione disprezzata perché portatrice di valori disfunzionali rispetto a quelli del regime: sono la base della famiglia tradizionale e, in quanto angeli del focolare, dal regime sono esaltate.
Ma incontrano le teorie negazioniste in un momento in cui sono particolarmente vulnerabili e le conseguenze di questo incontro fatale pesano non soltanto su di loro, ma sui loro bambini, che la possibilità di scegliere non l'hanno avuta e che, come si vede dall'abbozzo di elenco che
ho pubblicato l'altro giorno, sviluppano l'AIDS fin da piccolissimi e se ne vanno in fretta, in modo doloroso e terribile.
Questa è l'eredità che il negazionismo occidentale, morendo, ha lasciato al mondo. E io credo che, anche se qui da noi è ormai un fenomeno così marginale da essere considerato trascurabile, noi non possiamo semplicemente voltarci dall'altra parte e pensare che abbiamo già dato, che
our work is done.