Prep e desiderio di genitorialità
Inviato: giovedì 5 luglio 2018, 11:30
Buongiorno a tutti, sono una nuova inscritta ma leggo il forum già dal 2016, anno in cui, purtroppo, in seguito ad una crisi coniugale, mio marito ha contratto l'hiv. Fortunatamente ha scoperto di aver contratto l'infezione due mesi dopo il contagio ed è entrato subito in terapia e la sua altissima carica virale si è azzerata dopo soli due mesi. Questa dunque la parte "positiva" della storia, ma non sto quì a raccontarvi dello shock, lo sconforto, la paura e la tristezza che seguirono quella diagnosi, proprio in un momento in cui volevamo riavvicinarci e provare magari a concepire un figlio, figlio che già un precedente aborto ci aveva strappato via.
Io e mio marito non sapevamo più nulla della malattia; entrambi fermi agli anni 90, sapevamo solo che di aids non si moriva più, ma eravamo completamento all'oscuro dei nuovi progressi in ambito medico scientifico. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, queste informazioni, soprattutto quelle relative alla "non infettività" delle persone in terapia e stabilmente soppresse, dato il nostro desiderio di genitorialità, ci sono state fornite in modo intermittente e a volte contraddittorio dagli stessi infettivologi. La prima dottoressa che prese in cura mio marito ci disse che avremmo potuto ricorrere alla fecondazione assistita oppure, una volta azzerata la carica virale, tentare un concepimento naturale ma utilizzando io il truvada on demond come profilassi pre - esposizione, anche se cmq, disse lei, cito testuali parole "non poteva garantirmi che, anche utilizzando tutte le procedure del caso, io non m'infettassi".
Così, del tutto rassegnati a ricorrere alla fecondazione assistita, ci recammo presso due centri d'eccellenza, nel secondo dei quali il ginecologo ci fece capire (indirettamente e con una serie di giri di parole), dopo aver controllato le nostre analisi relative a verificare lo stato della nostra fertilità, che avremmo potuto anche tentare il concepimento naturale, visto che mio marito era ormai undetectable da più di 6 mesi, lasciandoci intendere "che lui vedeva tutti i giorni lo sperma degli uomini sieropositivi viralmente soppressi e che ....".
A questo punto decidemmo di tornare in ospedale per parlare con qualche infettivologo che potesse darci rassicurazioni al riguardo e magari prescrivermi la profilassi pre esposizione e seguirmi nell'assunzione di questo farmaco. La dottoressa a cui ci rivolgemmo ci disse di parlare con un altra dottoressa che si era occupata direttamente di questi casi ed aveva fatto uno studio al riguardo. Questa seconda dottoressa che riuscimmo, dopo diversi tentativi, a contattore solo via mail, mi scrisse che la procedura della profilassi pre esposizione era superata e chenon c'era alcun rischio d'infezione dato che mio marito era ormai undetectable da quasi un anno. Fu la prima e l'unica a dirci CHIARAMENTE che il rischio effettivamente fosse zero.
La seconda dottoressa presso la quale è ora in cura mio marito, alla richiesta della possibilità per me di utilizzare il Truvada come profilassi a scopi concezionali, si è limitata a rispondere che "loro non possono prescriverlo", anche se noi volessimo pagarcelo di tasca nostra. Così sono andata a leggermi cosa dicono le linee guida in tal senso ed ho trovato scritto che il realtà in questi casi il farmaco è prescrivibile qualora "le coppie non riescano ad affrontare con serenità un concepimento naturale".
Insomma per farla breve loro non prescrivono il Truvada nemmeno se volessimo pagarcelo di tasca nostra, per una nostra maggiore serenità psicologica, nè mi seguirebbe nessuno se io decidessi di prenderlo, andando a reperirlo chissà in quale altro paese europeo più avanti rispetto al nostro. Sta di fatto che ci troviamo soli in questa situazione, con un sacco di blocchi e paure relative.
Noi ci siamo informati ed abbiamo appresso che MIO MARITO NON E' PIU' INFETTIVO, e che il Truvada non sarebbe neppure necessario, ma sono tutte informazioni che ci siamo dovuti andare a cercare da soli, perchè UNA SOLA dottoressa ha avuto il coraggio di rassicurarci riguardo alla non contagiosità di mio marito.
Sono sconcertata nel vedere quanta poca uniformità di opinioni fra infettivologi ci sia su questo tema dopo ben 10 anni di studi al riguardo. Questa poca chiarezza non fa che alimentare ansie in chi, come noi, dopo la diagnosi di sieropositività di mio marito, non riusciamo più ad avere una normale e serena vita sessuale ... figurarsi tentare un concepimento naturale!
A tutto questo si aggiungono le ultime notizie di cronaca dove ancora si parla di "untori", fornendo informazioni incomplete, offensive e direi DISTRUTTIVE delle vite di tutti quelli coinvolti da questa malattia.
Io e mio marito non sapevamo più nulla della malattia; entrambi fermi agli anni 90, sapevamo solo che di aids non si moriva più, ma eravamo completamento all'oscuro dei nuovi progressi in ambito medico scientifico. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, queste informazioni, soprattutto quelle relative alla "non infettività" delle persone in terapia e stabilmente soppresse, dato il nostro desiderio di genitorialità, ci sono state fornite in modo intermittente e a volte contraddittorio dagli stessi infettivologi. La prima dottoressa che prese in cura mio marito ci disse che avremmo potuto ricorrere alla fecondazione assistita oppure, una volta azzerata la carica virale, tentare un concepimento naturale ma utilizzando io il truvada on demond come profilassi pre - esposizione, anche se cmq, disse lei, cito testuali parole "non poteva garantirmi che, anche utilizzando tutte le procedure del caso, io non m'infettassi".
Così, del tutto rassegnati a ricorrere alla fecondazione assistita, ci recammo presso due centri d'eccellenza, nel secondo dei quali il ginecologo ci fece capire (indirettamente e con una serie di giri di parole), dopo aver controllato le nostre analisi relative a verificare lo stato della nostra fertilità, che avremmo potuto anche tentare il concepimento naturale, visto che mio marito era ormai undetectable da più di 6 mesi, lasciandoci intendere "che lui vedeva tutti i giorni lo sperma degli uomini sieropositivi viralmente soppressi e che ....".
A questo punto decidemmo di tornare in ospedale per parlare con qualche infettivologo che potesse darci rassicurazioni al riguardo e magari prescrivermi la profilassi pre esposizione e seguirmi nell'assunzione di questo farmaco. La dottoressa a cui ci rivolgemmo ci disse di parlare con un altra dottoressa che si era occupata direttamente di questi casi ed aveva fatto uno studio al riguardo. Questa seconda dottoressa che riuscimmo, dopo diversi tentativi, a contattore solo via mail, mi scrisse che la procedura della profilassi pre esposizione era superata e chenon c'era alcun rischio d'infezione dato che mio marito era ormai undetectable da quasi un anno. Fu la prima e l'unica a dirci CHIARAMENTE che il rischio effettivamente fosse zero.
La seconda dottoressa presso la quale è ora in cura mio marito, alla richiesta della possibilità per me di utilizzare il Truvada come profilassi a scopi concezionali, si è limitata a rispondere che "loro non possono prescriverlo", anche se noi volessimo pagarcelo di tasca nostra. Così sono andata a leggermi cosa dicono le linee guida in tal senso ed ho trovato scritto che il realtà in questi casi il farmaco è prescrivibile qualora "le coppie non riescano ad affrontare con serenità un concepimento naturale".
Insomma per farla breve loro non prescrivono il Truvada nemmeno se volessimo pagarcelo di tasca nostra, per una nostra maggiore serenità psicologica, nè mi seguirebbe nessuno se io decidessi di prenderlo, andando a reperirlo chissà in quale altro paese europeo più avanti rispetto al nostro. Sta di fatto che ci troviamo soli in questa situazione, con un sacco di blocchi e paure relative.
Noi ci siamo informati ed abbiamo appresso che MIO MARITO NON E' PIU' INFETTIVO, e che il Truvada non sarebbe neppure necessario, ma sono tutte informazioni che ci siamo dovuti andare a cercare da soli, perchè UNA SOLA dottoressa ha avuto il coraggio di rassicurarci riguardo alla non contagiosità di mio marito.
Sono sconcertata nel vedere quanta poca uniformità di opinioni fra infettivologi ci sia su questo tema dopo ben 10 anni di studi al riguardo. Questa poca chiarezza non fa che alimentare ansie in chi, come noi, dopo la diagnosi di sieropositività di mio marito, non riusciamo più ad avere una normale e serena vita sessuale ... figurarsi tentare un concepimento naturale!
A tutto questo si aggiungono le ultime notizie di cronaca dove ancora si parla di "untori", fornendo informazioni incomplete, offensive e direi DISTRUTTIVE delle vite di tutti quelli coinvolti da questa malattia.