[SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » giovedì 13 febbraio 2014, 14:14

In attesa che esca a fine mese l'annunciatissimo libro di Nathalia Holt sui due "Berlin Patients", una breve lettera al New England di Heiko Jessen, Todd Allen e Hendrik Streeck ci racconta come la storia del primo "Berlin Patient" abbia influenzato i successivi 15 anni di ricerca.

How a Single Patient Influenced HIV Research — 15-Year Follow-up

The prospect of reaching a “functional cure” for human immunodeficiency virus (HIV) infection has been raised by recent reports of the “Mississippi baby” and the “Berlin patient.” Both cases are reminiscent of an earlier case described in 1999 involving an HIV-infected patient (also referred to as the “Berlin patient”) in whom viral replication was spontaneously reduced to less than 1000 HIV RNA copies per milliliter despite the absence of antiretroviral treatment (ART).1 At the time of his HIV diagnosis, this patient was immediately treated with ART and hydroxyurea after acute HIV infection, but the patient chose to discontinue treatment shortly thereafter. This surprising level of natural control was attributed to the early treatment, leading to speculation that early intervention might promote HIV-specific cytotoxic T-lymphocyte–mediated control by preserving CD4+ T helper cells.2
A meta-analysis of nearly a dozen studies that were subsequently conducted suggested that in a minority of patients, those who were treated with early ART showed long-term clinical improvement, 3 although most changes were observed only transiently. In addition, it was speculated that treatment with hydroxyurea or other immunomodulators might inhibit T-cell activation, which would reduce the pool of target cells and thereby provide an additive benefit. Despite an initial pilot trial with hydroxyurea in patients with chronic HIV infection who had improvement in viral control after treatment interruption, 4 this outcome was not confirmed in a larger randomized trial involving patients with primary HIV infection. 5
We now present further follow-up on the 1999 Berlin patient, whose identity has remained anonymous (unlike the other Berlin patient, Timothy Ray Brown, whose case was first described in 2008). The study was approved by the local ethics committee at the Charité Medical University and at Massachusetts General Hospital, and the patient provided written informed consent. Viral-load analysis showed that this patient had continual suppression of viral replication in the absence of any ART during the past 15 years, when all treatment was discontinued at the patient's request. During this period, the mean (±SD) number of HIV RNA copies per milliliter was 2812±11,451 (median, 399; interquartile range, 100 to 923), with one blip to 25,000 copies per milliliter.

Immagine

Similarly, the patient's CD4+ T-cell count remained stable, with a mean of approximately 729±167 cells per cubic millimeter. Genotypic analysis revealed that this patient carried the highly protective HLA class I allele HLA-B*57. Although no other known genetic protective factors were detected, patients with this allele have on average 0.92 log10 lower viral loads than do all other HIV-infected patients, and HLA-B*57 has been shown to be enriched among patients in whom HIV is spontaneously controlled in the absence of ART. Moreover, half the HIV-specific CD8+ T-cell responses that were found in this patient were restricted by HLA-B*57, with the most dominant cytotoxic T-lymphocyte–mediated responses directed against a known conserved epitope in Nef, suggesting a dominant role for this response in HIV control. Furthermore, viral sequence analysis of recovered virus revealed typical B*57-restricted escape mutations located in two dominant epitopes: B57-ISW9 (RT) and B57-TW10 (p24). Both mutations have been previously suggested to partially impair viral replicative capacity.
Although the early initiation of treatment may have long-term benefits for certain patients, a likely explanation for control of viral replication in this patient is genetic background, regardless of intervention. Thus, this case represents a cautionary tale of drawing broad conclusions from a single patient.


5 References
1 Lisziewicz J, Rosenberg E, Lieberman J, et al. Control of HIV despite the discontinuation of antiretroviral therapy. N Engl J Med 1999;340:1683-1684

2 Rosenberg ES, Altfeld M, Poon SH, et al. Immune control of HIV-1 after early treatment of acute infection. Nature 2000;407:523-526

3 Hocqueloux L, Prazuck T, Avettand-Fenoel V, et al. Long-term immunovirologic control following antiretroviral therapy interruption in patients treated at the time of primary HIV-1 infection. AIDS 2010;24:1598-1601

4 Garcia F, Plana M, Arnedo M, et al. A cytostatic drug improves control of HIV-1 replication during structured treatment interruptions: a randomized study. AIDS 2003;17:43-51

5 Bloch MT, Smith DE, Quan D, et al. The role of hydroxyurea in enhancing the virologic control achieved through structured treatment interruption in primary HIV infection: final results from a randomized clinical trial (Pulse). J Acquir Immune Defic Syndr 2006;42:192-202



Dora
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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » venerdì 14 febbraio 2014, 8:23

Un post di Richard Jefferys sull'aggiornamento della situazione del "Primo Paziente Berlinese" da parte dei medici che l'hanno fin dall'inizio avuto in cura.


Update Published on the First Berlin Patient

Nei tardi anni '90, la relazione su un singolo caso relativo a una persona, che stava mostrando di riuscire a controllare la viremia dell'HIV da circa due anni dopo aver interrotto la terapia antiretrovirale (ART), ha attirato enorme attenzione, compresa una lunga storia scritta nel New York Times da Mark Schoofs nel giugno del 1998.
La relazione fu infine pubblicata nel New England Journal of Medicine il 27 maggio 1999.
L'uomo fu soprannominato il "Berlin Patient" molto prima che l'appellativo fosse dato anche a Timothy Brown, l'unico adulto considerato curato dall'infezione da HIV.
Questo primo Paziente Berlinese era in cura dal Dr. Heiko Jessen e fu trattato con una combinazione inusuale di ddI (Videx), indinavir (Crixivan) e idrossiurea, un farmaco usato contro il cancro (che allora veniva talvolta usato sia per potenziare la ddI, sia per una possibile attività immuno-modulante). Il trattamento fu iniziato durante l'infezione acuta e poi interrotto due volte per brevi periodi prima di essere definitivamente sospeso.
Durante la seconda interruzione e dopo la sospensione, i livelli della viremia dell'HIV rimasero irrilevabili sulla base dei test allora in uso, che avevano una soglia di 500 copie/ml. Si disse che quella persona aveva forti risposte dei CD4 e CD8 HIV-specifici e questo fece ipotizzare che l'immunità cellulare potesse essere responsabile del buon esito.

Il caso influenzò la nascita dell'ipotesi che il trattamento dell'infezione acuta seguito da interruzioni strutturate del trattamento possa migliorare le risposte HIV-specifiche dei CD4 e dei CD8 e portare a un controllo della replicazione dell'HIV in assenza di trattamento. L'ipotesi fu testata dal gruppo di ricerca di Bruce Walker al Massachussets General Hospital ma - dopo iniziali segnali promettenti - il risultato auspicato di un controllo prolungato dell'HIV dopo la sospensione della ART non fu raggiunto.
Da allora, il destino dell'originale Berlin Patient è stato per certi versi misterioso, con alcuni articoli che ipotizzavano che fosse stato perso al follow up. Uno degli ultimi aggiornamenti fu dato pubblicamente da Bruce Walker al congresso IAS 2003 di Parigi; Walker raccontò di aver fatto visita a Jessen mentre era in viaggio verso il congresso e di aver saputo che quella persona continuava a mantenere un buon controllo della viremia, ma si era scoperto che aveva l'allele HLA B*57, che è fortemente associato con il controllo della replicazione dell'HIV in assenza di trattamento che hanno gli elite.

Ieri il New England Journal of Medicine ha pubblicato una lettera di Heiko Jessen, Todd Allen e Hendrik Streeck che fornisce un aggiornamento del caso. Intitolata "How a Single Patient Influenced HIV Research - 15-Year Follow-up", rivela che quella persona ha mantenuto nel frattempo bassa viremia in assenza di ART, con un livello medio di 2.812 copie e un solo blip a 25.000 copie. I CD4 sono rimasti relativamente stabili, con una media di 729 cellule, anche se una figura che accompagna l'articolo indica che ci sono stati un paio di cali sotto i 500 (uno in corrispondenza del blip virale qualche tempo fa, e uno abbastanza di recente).
La lettera nota anche che quella persona ha l'allele HLA B*57 e conclude: "Anche se l'inizio precoce del trattamento può avere benefici a lungo termine per certi pazienti, una probabile spiegazione del controllo della replicazione virale è il corredo genetico del paziente, indipendentemente dagli interventi fatti. Pertanto, questo caso rappresenta un ammonimento a non trarre conclusioni generali da un singolo paziente".

Dal momento che non ogni persona HIV-positiva con l'allele HLA B*57 diventa un elite controller, questa conclusione è forse discutibile, ma è impossibile sapere se questa persona avrebbe mantenuto o meno una viremia bassa anche senza quel breve ciclo di ART.
Quel che è certo è che egli non è stato curato dall'infezione da HIV.
Sfortunatamente può esserci della confusione su questo, perché un libro che sta per uscire promuove l'idea che, insieme a Timothy Brown, l'originale Berlin Patient sia di fatto guarito.
Benché ci siano delle incertezze sul modo corretto di applicare il termine "cura funzionale", nessuna definizione di questo termine comprende una viremia dell'HIV continuamente rilevabile.
La terminologia usata in genere per casi come quello del primo Berlin Patient (la stessa che è stata applicata ai membri della coorte VISCONTI) è "controllo dopo il trattamento" o "remissione virologica".
Servirà un lungo follow up per definire in quale misura le persone che si trovano in questa situazione sono protette dalla progressione della malattia.



Dora
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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » giovedì 24 aprile 2014, 9:38

Gero Hütter e Steven Deeks ci spiegano che il virus ritenuto X4-tropico rilevato in Timothy Brown prima del trapianto non ha potuto reinnescare l'infezione quando, dopo il trapianto, le cellule di Timothy non esprimevano più il corecettore CCR5, ma il CXCR4 sì e non c'era più la ART a bloccare la replicazione dell'HIV, perché quel virus X4 eventualmente sopravvissuto aveva bisogno del CCR5 per potersi replicare.

Riporto qui un post scritto nel thread [STUDI]Cannon_trapianto staminali umane rese CCR5- in topi 2:
Dora ha scritto:Non so se sia stata una felice intuizione o se Cesar lo sapesse, ma ieri, fra gli "advance access" di Clinical Infectious Diseases, è stato pubblicato un articolo, ancora provvisorio, dedicato proprio alla spiegazione del mancato rebound del virus X4 presente in Timothy prima del trapianto.
Hütter, Deeks e alcuni studiosi belgi e olandesi che non conosco, ma che nel 2011 hanno scritto un lavoro in cui dimostravano che il maraviroc può inibire virus dual-tropici, spiegano qui nei dettagli l'ipotesi avanzata un paio d'anni fa - che sia stata la dipendenza del virus X4 dal recettore CCR5 per potersi replicare ad avere impedito il reinnescarsi dell'infezione dopo il trapianto.
Nelle mie parole, ecco che cosa ci raccontano i medici di Timothy.



Dependence on the CCR5 co-receptor for viral replication explains the lack of rebound of CXCR4-predicted HIV-variants in the Berlin Patient

La glicoproteina gp120 della envelope dell’HIV deve legarsi a un corecettore – che sia il CCR5 o il CXCR4 – perché il virus possa entrare in un CD4 e il tropismo del virus – cioè quale corecettore il virus predilige per penetrare nelle cellule – è determinato soprattutto dalla terza regione ipervariabile della envelope virale (gp120-v3).

Durante un’interruzione della terapia prima del trapianto, il Berlin Patient ha raggiunto una viremia nel plasma di 6,9 milioni di copie/mL e sulla base di un test genotipico standard del tropismo si è visto che quel virus era CCR5-tropico. Ma una analisi dettagliata con un test ultrasensibile ha rilevato una popolazione minoritaria di virus CXCR4-tropico stimata del 2,9% (range 2,7 – 9,3%).

L’aspetto importante da notare in questo tipo di test è che fanno predizioni sul tropismo, non danno risultati assoluti.
I test genotipici, infatti, predicono il tipo di corecettore usato dal virus sulla base di sequenze della envelope dell'HIV per mezzo di algoritmi di interpretazione, che fanno una predizione verso R5 o verso X4.
Questo significa che è possibile – e il caso di Timothy lo dimostra e più sotto lo vedremo – che il tropismo del corecettore, predetto dai test genotipici standard usati nella pratica clinica per stabilire chi può usare un inibitore del CCR5 come il maraviroc, non rifletta sempre il comportamento reale del virus. Infatti, in questo caso era presente un virus che il test prevedeva fosse X4, ma che di fatto dipendeva dal CCR5 per poter entrare nella cellula (si è già visto che certi virus dual-tropici preferiscono usare come corecettore il CCR5 e infatti vengono definiti R5>X4, o dual-R5-tropici, mentre altri usano più efficientemente il CXCR4 e vengono chiamati X4>R5 o dual-X4).

[divbox]Detto brutalmente: i test ci dicevano che c'era del virus X4, ma si sbagliavano - o noi li interpretavamo male, o comunque quel virus aveva un comportamento un po' strano.[/divbox]


Due mesi dopo il trapianto, si è potuta osservare la ricostituzione del comparto dei CD4, che presentavano il fenotipo del donatore, cioè la doppia delezione Δ32 sul gene CCR5.
Queste cellule derivate dal donatore presentavano sulla superficie livelli normali del corecettore CXCR4.
Dal momento che era stato rilevato del virus X4 prima del trapianto, ci si poteva aspettare che questo tipo di virus ricomparisse dopo il trapianto e la sospensione della ART. Invece non si è verificato nessun rebound e il paziente è ancora libero dal virus a tanti anni di distanza.

I collaboratori belgi e olandesi di Hütter e Deeks hanno dimostrato in passato che alcuni virus capaci di usare il CXCR4 hanno in vivo una chiara preferenza per il corecettore CCR5.
Sulla base di questi risultati, è stata formulata l’ipotesi che un rebound di virus X4 non si sia verificato nel Berlin Patient a causa della dipendenza di questo virus dal corecettore CCR5 per la propria replicazione.

Dopo avere clonato il virus ritenuto X4-tropico presente in Timothy prima del trapianto e averne confermato il tropismo con metodi diversi, ne è stata indagata la capacità replicativa e la si è confrontata con le varianti R5-tropiche maggioritarie prima del trapianto.
Si è visto che i ceppi dominanti CCR5 e degli altri virus R5 di controllo erano capaci di infettare le cellule che esprimevano il CCR5, ma non quelle che esprimevano il CXCR4. Invece, il virus X4-tropico era capace di infettare soltanto le cellule che esprimevano un fenotipo completo CXCR4.
Questo era abbastanza scontato. Ma l’aspetto interessante di questi esperimenti è che hanno mostrato come tutte le varianti X4 siano state capaci di replicarsi solo in cellule che esprimevano anche il CCR5 – in questo modo si è dimostrata la dipendenza del virus X4 dalla presenza del corecettore CCR5.
E questa dipendenza è stata dimostrata sia in linee cellulari clonate in laboratorio, sia in CD4 “naturali”, che esprimevano entrambi i corecettori.
Sono poi stati usati il maraviroc che, in quanto antagonista del CCR5, permetteva di simulare il fenotipo CCR5Δ32/Δ32, e l’AMD-3100, che è una sostanza che blocca il CXCR4. Come ci si aspettava, le varianti R5 sono state completamente inibite dal maraviroc, ma non dall’AMD-3100. Invece, le varianti X4 non sono state inibite dall’AMD-3100, ma hanno dimostrato una dipendenza dal CCR5 nei CD4 “naturali”.
L’ultimo passo è stato l’andare a vedere se un virus X4-tropico era capace di infettare le nuove cellule di Timothy CCR5Δ32/Δ32. Questi esperimenti hanno dimostrato che mentre queste cellule possono essere infettate da un virus X4 preso come riferimento, non possono esserlo dal virus che era presente in Timothy prima del trapianto.

Nel Berlin Patient, cellule che presentavano sulla superficie il CCR5 sono state rilevabili nel colon per almeno 5,5 mesi dopo il trapianto e si è rilevato del DNA provirale 2 mesi dopo il trapianto. Più di 5 anni dopo, usando dei test ultra-sensibili, si sono rilevati intermittenti, bassissimi livelli di DNA e di RNA virale. Dal momento che la combinazione fra cellule che esprimono il CCR5 e hanno una vita molto lunga e potenziale reservoir di HIV CCR5-tropico è – come viene definita nell’articolo – “volatile”, la replicazione dell’HIV avrebbe anche potuto continuare.
In quel caso, la replicazione di virus R5 residui in una situazione in cui c’era un crescente numero di cellule che erano CCR5 negative ma CXCR4 positive, avrebbe potuto portare il virus ad utilizzare il CXCR4.
Hütter, Deeks e colleghi hanno dunque testato la possibile evoluzione verso l’uso del corecettore CXCR4 di virus prelevati da pazienti in cui i test genotipici avevano predetto la presenza di virus X4. Questa evoluzione del virus verso l’uso del CXCR4 non l’hanno osservata e ne hanno quindi dedotto che la barriera genetica al cambiamento del tropismo deve essere relativamente alta.
Quando si era constatato che in Timothy non si aveva rebound virale era stata avanzata l’ipotesi che i CD4 che dopo il trapianto continuavano ad esprimere il CCR5 fossero troppo pochi per supportare la replicazione di varianti di virus R5 e quindi per permettere un’evoluzione del virus verso l’uso del CXCR4.
Nel caso del Berlin Patient, a parte l’assenza di virus X4-tropico, il fatto che non si sia verificato un rebound di virus R5-tropico immediatamente dopo il trapianto quando la ART è stata sospesa indica che l’elemento cruciale della cura è stato il fatto che le staminali erano CCR5Δ32/Δ32.

Questo risultato fornisce dunque un razionale alle terapie geniche basate sul trapianto di staminali rese CCR5 negative (e ci dice anche che servono analisi molto approfondite sul tropismo del virus prima di fare qualsiasi esperimento di trapianto).



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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » giovedì 28 agosto 2014, 17:25

Dora ha scritto:Gero Hütter e Steven Deeks ci spiegano che il virus ritenuto X4-tropico rilevato in Timothy Brown prima del trapianto non ha potuto reinnescare l'infezione quando, dopo il trapianto, le cellule di Timothy non esprimevano più il corecettore CCR5, ma il CXCR4 sì e non c'era più la ART a bloccare la replicazione dell'HIV, perché quel virus X4 eventualmente sopravvissuto aveva bisogno del CCR5 per potersi replicare.
Sembra quasi brutto dirlo ma, in quella infinita serie di sfortune che hanno costellato i due trapianti di Timothy Brown prima che si potesse parlare di lui come dell'unico uomo al mondo che ha eradicato l'HIV, quella di avere, sì, un virus X4, ma che "si comportava come se fosse R5", è stata una fortuna enorme.
Fortuna che invece non ha avuto un 27enne tedesco, la cui triste storia è raccontata in una lettera pubblicata oggi sul New England Journal of Medicine.
Tre medici dell'università di Duisburg–Essen, Lambros Kordelas, Jens Verheyen e Stefan Esser, hanno infatti descritto il caso di un paziente con HIV e linfoma anaplastico a larghe cellule non controllabile con la chemioterapia, in cui la somma delle sfortune ha prevalso sulla fortuna di aver trovato un donatore di staminali che era sia compatibile, sia omozigote CCR5Δ32.

Prima di fargli il trapianto, i medici hanno valutato il tropismo virale mediante un test genotipico - credo lo stesso di cui Deeks e Hütter parlavano nel lavoro del post precedente - che predice quale corecettore usi il virus, cioè stima la probabilità di sbagliare a classificare un virus R5-tropico come se fosse X4-tropico. Il responso del test fu che l'HIV RNA del paziente era o R5-tropico (tasso di falsa positività 24,7%), o intermedio (tasso di falsa positività 8,2%), mentre il DNA provirale è stato valutato intermedio (tasso di falsa positività 6,6%), o X4-tropico (tasso di falsa positività 4,4%).

Prima del trapianto il paziente ha sospeso la ART, ma dopo sole 3 settimane ha dovuto riprenderla, perché si è trovato con una viremia di 93.390 copie/mL.
Ma la sfortuna non è finita qui. Infatti, ha avuto una ricaduta del linfoma e ha dovuto sospendere la ART di nuovo. Due settimane prima di morire a causa del linfoma, le copie di HIV RNA erano arrivate a più di 7,5 milioni/mL.

I test genotipici hanno mostrato un cambiamento del tropismo: il virus R5, che era nettamente dominante prima del trapianto, dopo il trapianto con staminali CCR5-/- era diventato X4 ed è probabile che questo sia accaduto proprio a causa delle staminali CCR5 negative.

La mesta conclusione di Kordelas, Verheyen ed Esser è che

  • Questo caso mette in evidenza il fatto che i meccanismi di escape virali potrebbero compromettere le strategie di distruzione del CCR5 per controllare l'infezione da HIV.


Valga di monito per Calimmune, Sangamo e chiunque stia giocando con le staminali.




Immagine


Fonte NEJM: Shift of HIV Tropism in Stem-Cell Transplantation with CCR5 Delta32 Mutation



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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da uffa2 » giovedì 28 agosto 2014, 17:43

Dora ha scritto:La mesta conclusione di Kordelas, Verheyen ed Esser è che
  • Questo caso mette in evidenza il fatto che i meccanismi di escape virali potrebbero compromettere le strategie di distruzione del CCR5 per controllare l'infezione da HIV.
ma diamine! :(


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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da ThunderGuy » giovedì 28 agosto 2014, 19:05

bruttissima notizia. La lotta ai retrovirus è durissima..



Dora
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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » giovedì 28 agosto 2014, 20:39

ThunderGuy ha scritto:bruttissima notizia.
Sì, molto triste. Ma non inattesa, perché che si possa selezionare un virus X4-tropico se il sistema immunitario è CCR5 negativo è una preoccupazione che è stata sollevata e discussa quando si è cominciato a parlare del Berlin Patient. Anzi, il fatto che Timothy ospitasse anche del virus X4 prima del trapianto e questo virus non avesse prevalso dopo è stato uno degli aspetti più misteriosi di quella vicenda.
Di recente i medici di Timothy hanno chiarito il mistero, spiegando che quel virus X4 aveva comunque bisogno del corecettore CCR5 per entrare nelle cellule; ma questa preoccupazione resta senz'altro valida per i casi futuri e chi sta tentando adesso dei trapianti con staminali geneticamente modificate (o anche con staminali allogeniche di donatore omozigota Δ32 [*]) deve averla ben presente e fare i test del tropismo più sofisticati possibile - e scartare candidati in caso di minimo dubbio.
D'altra parte, adesso non ricordo se addirittura due, ma sicuramente uno dei pazienti dei trial di Sangamo che hanno ricevuto CD4 resi CCR5 negativi si è ritrovato con un virus X4 quando ha provato a sospendere la ART. Quindi il problema c'è.




[*] Cfr. per esempio BMT CTN 0903 e IMPAACT P1107.



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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Dora » sabato 30 agosto 2014, 15:54

uffa2 ha scritto:ma diamine! :(
ThunderGuy ha scritto:bruttissima notizia. La lotta ai retrovirus è durissima..
Devo dire che immaginavo delle reazioni molto meno British. Anzi, un po' speravo che qualcuno se ne uscisse con qualche florilegio di imprecazioni.
A me ne erano venute in mente diverse, ma mi sono imposta di scrivere meno parolacce possibile, così contavo sulle vostre per avere un briciolo di soddisfazione.
Non me ne avete data, siete tutti persone troppo bene educate. Meno male che ci ha pensato Abbie Smith, che ha scritto un post pieno di imprecisioni (forse ha letto male l'articolo e ne ha recepito solo la brutta notizia), ma il cui incipit si avvicina un po' a quel che avrei scritto io se non mi imponessi di essere bene educata quanto voi (grazie ERV!).

Immagine

Da http://scienceblogs.com/erv/2014/08/29/ ... -hiv-dies/



Trevis
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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da Trevis » sabato 30 agosto 2014, 16:30

C'è sempre il caso di guarigione del medico francese (pubblicato con tanto di video su youtube :D), e comunque Timothy Brown è guarito. Non sarà una strada che porta al 100% di guarigione ma è sempre qualcosa.

Secondo me il meglio che si può sperare di ottenere sono vaccini terapeutici per i malati cronici (in sostituzione alla HAART), ed un vaccino preventivo per il resto della popolazione. Guarire malati cronici la vedo una strada poco percorribile anche in proiezione futura :(



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Re: [SUCCESSI] Il paziente tedesco II

Messaggio da alfaa » sabato 30 agosto 2014, 17:34

Mamma mia trevis che pessimismo :D

Se il massimo che si puo ottenere sono dei vaccini alla ensoli o simili , mi sparerei ora in bocca.

Io anzi credo che siano proprio la cosa meno interessante che stiano studiando... E poi molti studiosi sono concordi nel fatto che una cura funzionale non è lontana. E per quanto mi riguarda questo fottuto virus lo stanno rincorrendo in tanti.. Sono fiducioso anche per qualcosa di piu di una cura funzionale



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