K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro ancora
Inviato: sabato 3 settembre 2011, 10:25
Questo thread è la continuazione di K.Collins: Staminali/precursori del sangue come reservoir.
Riprendo il discorso, perché Kathleen Collins non si limita a indagare la presenza dell'HIV nelle staminali ematopoietiche ma, insieme al suo gruppo della University of Michigan, Ann Arbor, ha appena pubblicato su Nature Immunology un articolo sull'APOBEC3G, un enzima attualmente molto studiato per la sua capacità di agire contro i retrovirus (e segnatamente l'HIV): The antiviral factor APOBEC3G enhances the recognition of HIV-infected primary T cells by natural killer cells.
Premessa difficile: l’APOBEC3G (A3G) è un enzima prodotto dall’uomo e codificato da un gene che ha lo stesso nome. Appartiene alla grande famiglia di proteine che si chiama APOBEC ed ha una capacità antivirale che inibisce la replicazione dell’HIV mediante un processo che di chiama deaminazione (cioè fuoriuscita di un gruppo amminico da una molecola, con conseguente produzione di una molecola di ammoniaca) della citosina (una delle tre basi azotate pirimidiniche alla base degli acidi nucleici DNA e RNA).
Questo processo ossidativo spontaneo della citosina porta alla formazione di uracile, che è un’altra delle basi azotate pirimidiniche che formano l’acido nucleico RNA. Se si lega a una molecola di ribosio (che è uno zucchero contenuto in ogni cellula e che è alla base dell’acido ribonucleico – RNA – e dell’adenosintrifosfato – ATP), l’uracile forma l’uridina che, insieme a adenosina, guanosina e citidina, è la base dell’RNA.
Quando l’A3G causa la deaminazione della citosina, questo induce numerose mutazioni nella struttura del DNA del virus, interferendo con la sua replicazione (sia con la trascrizione inversa, sia con l’integrazione) e inattivandolo.
L’HIV reagisce all’A3G producendo una proteina che si chiama Vif (Fattore di infettività virale) che, interagendo con l’A3G, lo degrada. Il Vif promuove l’infettività, ma non la produzione di particelle virali; in sua assenza, le particelle virali che vengono prodotte sono difettive, mentre la trasmissione del virus da una cellula all’altra non ne viene toccata (cfr. Replicazione virale durante HAART per contagio fra cellule - cito questo thread non a caso, perché vi si racconta dell'ultimo lavoro di David Baltimore, nel cui laboratorio all'MIT la Collins ha lavorato a fine anni '90 e le cui ricerche sono più volte ricordate nella bibliografia dell'articolo su Nature Immunology).
In sostanza, l’A3G è una difesa che il nostro organismo mette in atto in caso di infezione retrovirale; ma l’HIV-1 ha imparato a superare questa difesa, producendo il Vif. Se si trovasse il modo di colpire il Fattore di infettività virale, si potrebbe disporre di una nuova strategia terapeutica.
Tutto questo si sapeva prima della Collins. Quello che lei fa in quest’ultimo lavoro (ancora più difficile di quelli sulle staminali) è di studiare la Vpr (Viral protein R), un amminoacido incorporato nel virione dell’HIV che interagisce con la glicosilasi dell’uracile, e di dimostrare che essa, insieme al Vif, contrasta l’A3G, diminuendo l’incorporazione dell’uridina. Tuttavia, questo processo comporta una attivazione del meccanismo di risposta al danno del DNA e una attivazione delle cellule NK (natural killer).
La fase acuta dell’infezione da HIV è caratterizzata da un’alta viremia, che viene contrastata da una rapida risposta immunitaria, che comporta la secrezione di citochine, che a loro volta aumentano la produzione di fattori della risposta immunitaria innata – quali appunto l’A3G – per limitare la replicazione e la diffusione del virus. A quel punto interviene il Fattore di infettività virale, che porta alla degradazione dell’A3G.
I linfociti T CD8 citotossici (CTL) prodotti specificamente contro l’HIV diminuiscono la viremia sia durante la fase acuta, sia durante la fase cronica dell’infezione, ma in genere non sono in grado di evitare il progredire della malattia.
Invece l’attivazione delle cellule NK è in grado di influenzare la progressione dell’infezione.
Il lavoro della Collins è consistito proprio nell’esaminare il ruolo dell’A3G, del Vif e della Vpr nel riconoscimento delle cellule infette da HIV da parte delle cellule natural killer. E nell’identificare il meccanismo attraverso il quale l’A3G riesce ad allertare le cellule NK, comunicando loro che è presente un virus e che si stanno creando danni al DNA, nonché nel mostrare come l’HIV riesca ad eludere questa risposta.
Studi precedenti avevano misurato l’effetto dell’A3G sull’inattivazione delle particelle virali e avevano dimostrato che l’incorporazione dell’A3G nelle cellule producer e nei virioni di nuova formazione è necessaria per inattivare il virus, mentre non è necessaria la presenza dell’A3G nelle cellule target.
Invece, la Collins fornisce delle prove a sostegno dell’ipotesi che anche l’A3G espresso nelle cellule target ha un ruolo nella risposta immunitaria innata: benché possa non essere sufficiente a impedire al virus di infettare produttivamente la cellula, i dati raccolti dalla Collins indicano che l’espressione dell’A3G nelle cellule target è necessaria per consentire alle cellule NK di distruggere mediante lisi le cellule infette. Questo a sua volta, attraverso un meccanismo che non è ancora chiaro, stimola l’espressione dell’A3G, innescando un circolo virtuoso.
Conclusione: “I nostri risultati indicano la possibilità che il rilevamento dell’HIV da parte del sistema immunitario innato porti alla produzione di A3G nelle cellule infette. In sostanza, i dati presentati qui dimostrano che l’espressione dell’A3G aumenta la capacità delle cellule NK di riconoscere le cellule infette (…). Ne segue che delle strategie terapeutiche volte ad aumentare l’attività antivirale dell’A3G potrebbero comportare il beneficio aggiuntivo di stimolare la distruzione delle cellule infettate dal virus da parte del sistema immunitario, cioè delle cellule NK”.
Riprendo il discorso, perché Kathleen Collins non si limita a indagare la presenza dell'HIV nelle staminali ematopoietiche ma, insieme al suo gruppo della University of Michigan, Ann Arbor, ha appena pubblicato su Nature Immunology un articolo sull'APOBEC3G, un enzima attualmente molto studiato per la sua capacità di agire contro i retrovirus (e segnatamente l'HIV): The antiviral factor APOBEC3G enhances the recognition of HIV-infected primary T cells by natural killer cells.
Premessa difficile: l’APOBEC3G (A3G) è un enzima prodotto dall’uomo e codificato da un gene che ha lo stesso nome. Appartiene alla grande famiglia di proteine che si chiama APOBEC ed ha una capacità antivirale che inibisce la replicazione dell’HIV mediante un processo che di chiama deaminazione (cioè fuoriuscita di un gruppo amminico da una molecola, con conseguente produzione di una molecola di ammoniaca) della citosina (una delle tre basi azotate pirimidiniche alla base degli acidi nucleici DNA e RNA).
Questo processo ossidativo spontaneo della citosina porta alla formazione di uracile, che è un’altra delle basi azotate pirimidiniche che formano l’acido nucleico RNA. Se si lega a una molecola di ribosio (che è uno zucchero contenuto in ogni cellula e che è alla base dell’acido ribonucleico – RNA – e dell’adenosintrifosfato – ATP), l’uracile forma l’uridina che, insieme a adenosina, guanosina e citidina, è la base dell’RNA.
Quando l’A3G causa la deaminazione della citosina, questo induce numerose mutazioni nella struttura del DNA del virus, interferendo con la sua replicazione (sia con la trascrizione inversa, sia con l’integrazione) e inattivandolo.
L’HIV reagisce all’A3G producendo una proteina che si chiama Vif (Fattore di infettività virale) che, interagendo con l’A3G, lo degrada. Il Vif promuove l’infettività, ma non la produzione di particelle virali; in sua assenza, le particelle virali che vengono prodotte sono difettive, mentre la trasmissione del virus da una cellula all’altra non ne viene toccata (cfr. Replicazione virale durante HAART per contagio fra cellule - cito questo thread non a caso, perché vi si racconta dell'ultimo lavoro di David Baltimore, nel cui laboratorio all'MIT la Collins ha lavorato a fine anni '90 e le cui ricerche sono più volte ricordate nella bibliografia dell'articolo su Nature Immunology).
In sostanza, l’A3G è una difesa che il nostro organismo mette in atto in caso di infezione retrovirale; ma l’HIV-1 ha imparato a superare questa difesa, producendo il Vif. Se si trovasse il modo di colpire il Fattore di infettività virale, si potrebbe disporre di una nuova strategia terapeutica.
Tutto questo si sapeva prima della Collins. Quello che lei fa in quest’ultimo lavoro (ancora più difficile di quelli sulle staminali) è di studiare la Vpr (Viral protein R), un amminoacido incorporato nel virione dell’HIV che interagisce con la glicosilasi dell’uracile, e di dimostrare che essa, insieme al Vif, contrasta l’A3G, diminuendo l’incorporazione dell’uridina. Tuttavia, questo processo comporta una attivazione del meccanismo di risposta al danno del DNA e una attivazione delle cellule NK (natural killer).
La fase acuta dell’infezione da HIV è caratterizzata da un’alta viremia, che viene contrastata da una rapida risposta immunitaria, che comporta la secrezione di citochine, che a loro volta aumentano la produzione di fattori della risposta immunitaria innata – quali appunto l’A3G – per limitare la replicazione e la diffusione del virus. A quel punto interviene il Fattore di infettività virale, che porta alla degradazione dell’A3G.
I linfociti T CD8 citotossici (CTL) prodotti specificamente contro l’HIV diminuiscono la viremia sia durante la fase acuta, sia durante la fase cronica dell’infezione, ma in genere non sono in grado di evitare il progredire della malattia.
Invece l’attivazione delle cellule NK è in grado di influenzare la progressione dell’infezione.
Il lavoro della Collins è consistito proprio nell’esaminare il ruolo dell’A3G, del Vif e della Vpr nel riconoscimento delle cellule infette da HIV da parte delle cellule natural killer. E nell’identificare il meccanismo attraverso il quale l’A3G riesce ad allertare le cellule NK, comunicando loro che è presente un virus e che si stanno creando danni al DNA, nonché nel mostrare come l’HIV riesca ad eludere questa risposta.
Studi precedenti avevano misurato l’effetto dell’A3G sull’inattivazione delle particelle virali e avevano dimostrato che l’incorporazione dell’A3G nelle cellule producer e nei virioni di nuova formazione è necessaria per inattivare il virus, mentre non è necessaria la presenza dell’A3G nelle cellule target.
Invece, la Collins fornisce delle prove a sostegno dell’ipotesi che anche l’A3G espresso nelle cellule target ha un ruolo nella risposta immunitaria innata: benché possa non essere sufficiente a impedire al virus di infettare produttivamente la cellula, i dati raccolti dalla Collins indicano che l’espressione dell’A3G nelle cellule target è necessaria per consentire alle cellule NK di distruggere mediante lisi le cellule infette. Questo a sua volta, attraverso un meccanismo che non è ancora chiaro, stimola l’espressione dell’A3G, innescando un circolo virtuoso.
Conclusione: “I nostri risultati indicano la possibilità che il rilevamento dell’HIV da parte del sistema immunitario innato porti alla produzione di A3G nelle cellule infette. In sostanza, i dati presentati qui dimostrano che l’espressione dell’A3G aumenta la capacità delle cellule NK di riconoscere le cellule infette (…). Ne segue che delle strategie terapeutiche volte ad aumentare l’attività antivirale dell’A3G potrebbero comportare il beneficio aggiuntivo di stimolare la distruzione delle cellule infettate dal virus da parte del sistema immunitario, cioè delle cellule NK”.