Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Mr_T
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Mr_T » martedì 4 febbraio 2020, 10:24

che bellezza!
Fatastico, si passa da notizie molto brutte come quella dei giorni scorsi sul vaccino THAI a notizie come questa. Miviene in mente la scena di "fantozzi va in pensione" quando nella doccia soffre di disturbi di personalità: un secondo depresso ed il secondo dopo felicissimo. (scusate il paragone)
grazie Dora meriti una statua in tutte le piazze italiane, un pò come garibaldi!



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » martedì 4 febbraio 2020, 10:42

Mr_T ha scritto:
martedì 4 febbraio 2020, 10:24
che bellezza!
Fatastico, si passa da notizie molto brutte come quella dei giorni scorsi sul vaccino THAI a notizie come questa. Miviene in mente la scena di "fantozzi va in pensione" quando nella doccia soffre di disturbi di personalità: un secondo depresso ed il secondo dopo felicissimo. (scusate il paragone)
Il post che spero di riuscire a scrivere domani ti darà una nuova scossa, quindi allaccia bene le cinture, ché con queste montagne russe emotive bisogna tenersi forte.
grazie Dora meriti una statua in tutte le piazze italiane, un pò come garibaldi!
:lol: :lol: :lol:



Mr_T
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Mr_T » martedì 4 febbraio 2020, 11:01

sono carichissimo, attendo con trepidazione.
Grazie grazie grazie e mille altre volte grazie!



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » giovedì 6 febbraio 2020, 8:08

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La terapia con una combinazione di anticorpi si associa con un aumento delle risposte dell'immunità cellulare (CD8 e CD4)

Ricercatori del CRCHUM (Research Centre of the Centre Hospitalier de l’Université de Montréal), guidati da Daniel Kaufmann, e della Rockefeller University, guidati da Michel Nussenzweig, hanno lavorato sui dati emersi dal trial di fase IB in cui a persone con HIV soppresso dalla cART sono stati somministrati due potenti bNABs, 3BNC117 e 10-1074.

Come abbiamo visto quando nel settembre 2018 sono stati pubblicati i risultati di quella sperimentazione, tutti i partecipanti che erano sensibili ai due anticorpi (9 su 11) erano riusciti a mantenere la viremia soppressa per almeno 15 settimane dopo la sospensione della cART (e alcuni anche molto di più).
In un articolo pubblicato lunedì scorso come Letter su Nature Medicine

- Combination anti-HIV-1 antibody therapy is associated with increased virus-specific T cell immunity -

il team di Kaufmann e Nussenzweig racconta di aver lavorato sui campioni di sangue dei partecipanti a quel trial e di avere scoperto una cosa davvero interessante e preziosa per le implicazioni future che potrà avere nella ricerca di una cura: hanno infatti potuto osservare che, nel periodo in cui avevano solo preso i due anticorpi e sospeso la cART, le risposte contro il virus dei linfociti T CD8 e CD4 delle 9 persone che, grazie ai due bNABs, avevano controllato bene la viremia erano notevolmente migliorate.

Senza stare a entrare troppo nei dettagli di una ricerca elegante, in cui sono state fatte indagini con metodi diversi che hanno confermato da punti di vista differenti le osservazioni fatte, quello che è emerso da questo lavoro è che la combinazione dei due bNABs e della sospensione della cART si è associata con (non possiamo dire "ha causato", perché questo è uno studio osservazionale, in cui non si hanno prove di un rapporto di causa-effetto) alterazioni delle risposte dei CD8 e dei CD4 alla proteina Gag di HIV (e anche ad altre, ma soprattutto era importante avere risposte anti-Gag).
I linfociti T prelevati prima e diversi momenti dopo i trattamenti con anticorpi dei partecipanti allo studio che avevano risposto controllando bene la viremia senza cART hanno mostrato di avere delle risposte Gag-specifiche molto più robuste dopo la somministrazione degli anticorpi che prima.
E queste risposte si dirigevano contro regioni altamente conservate della proteina virale, che è una cosa che chi studia i vaccini terapeutici sta cercando spasmodicamente da anni, perché questa proteina muta continuamente e i CD8 delle persone da tempo in terapia finiscono con lo sparare a caso, risultando inefficaci.

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Che cosa significa tutto questo? Sappiamo che ci sono due tipi di risposte immuni - quelle degli anticorpi, che costituiscono l'immunità umorale; e quelle dei linfociti T, che costituiscono l'immunità cellulo-mediata, o cellulare, che come sappiamo qualcosa fa contro HIV, perché dopo l'esplosione della viremia della fase acuta sappiamo che i livelli del virus nel sangue scendono e si assestano a un livello molto più basso anche in assenza di terapia antiretrovirale. Molto basso negli elite controller, che hanno una robustissima reazione dei CD8; non abbastanza basso da impedire la progressione della malattia negli altri.
Poi però, con l'intervento della cART a spazzare via il virus dal sangue se ne vanno anche gli antigeni virali che stimolano la reazione dei CD8, quindi nelle persone da lungo tempo in terapia si vedono pochi e deboli CD8 HIV-specifici.

Ora, che gli anticorpi neutralizzanti riescano a stimolare e migliorare questo secondo tipo di risposta immune senza che ci sia virus in circolazione a dare una sveglia ai linfociti T con i suoi antigeni non è proprio una cosa scontata e secondo me è quello che rende questo lavoro molto utile e importante anche per quelle strategie, come lo shock and kill, che stanno cercando di sviluppare dei vaccini terapeutici efficaci nella fase di distruzione delle cellule infette in cui il virus è stato riattivato da qualche sostanza di shock.

Come al solito, dobbiamo aspettare che questo bel risultato porti nuovi sviluppi. È solo uno studio e c'è ancora tanto lavoro da fare. Ma è proprio bello, a mio parere.



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Mr_T » giovedì 6 febbraio 2020, 10:16

probabilmente apparirò un pò tardo ma posso capire se ho capito la ricerca?
Praticamente sti anticorpi anche in asenza di virus fanno aumentre i cd8 ed i cd4.
Questo vuol dire che l'aumento di questi anticorpi può portare all'eliminazione di tutto il materiale virale? cioè influisce anche sui "serbatoi" in cui si insedia il virus?
Praticamente si va eliminare la parte "shock" e si arriva direttamente alla "kills"?
Mi scuso fin d'ora per le possibili varie inesattezze.



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » giovedì 6 febbraio 2020, 11:16

Mr_T ha scritto:
giovedì 6 febbraio 2020, 10:16
probabilmente apparirò un pò tardo ma posso capire se ho capito la ricerca?
Praticamente sti anticorpi anche in asenza di virus fanno aumentre i cd8 ed i cd4.
Questo vuol dire che l'aumento di questi anticorpi può portare all'eliminazione di tutto il materiale virale? cioè influisce anche sui "serbatoi" in cui si insedia il virus?
Praticamente si va eliminare la parte "shock" e si arriva direttamente alla "kills"?
Mi scuso fin d'ora per le possibili varie inesattezze.
No, stai facendo confusione.
Quello che dice questo lavoro è che hanno osservato che i due bNABs, che hanno permesso di controllare la viremia per parecchio tempo in assenza di terapia antiretrovirale, quindi distruggendo direttamente il virus che si risvegliava dai reservoir, hanno anche FORSE avuto un effetto indiretto: quello di rendere i CD8 (e anche i CD4) più capaci di eliminare le cellule infette.
Poi qui non è in questione un aumento numerico dei CD8, ma una loro capacità di dirigere meglio la loro azione contro le cellule infette.
Gli anticorpi, normali o ad ampio spettro come quelli usati qui, sono UNA delle due forme di reazione immune (umorale). I linfociti T (CD4, CD8, etc.) sono L'ALTRA forma di reazione sviluppata dal sistema immunitario contro i patogeni (cellulare). Sono due forme di immunità che in teoria sono indipendenti.
Quello che sembra sia accaduto (ma sarà da verificare con sperimentazioni mirate proprio a questo) è che una delle due forme di reazione immune abbia avuto un effetto benefico sull'altra anche in assenza di quello che di solito stimola l'altra a svilupparsi, cioè gli antigeni del virus che ci sono in giro quando il virus circola nel sangue.
Che cosa si sta cercando di fare con lo shock and kill? Di trovare il modo di far uscire il virus dai reservoir E di uccidere le cellule infette. Se il virus esce dai reservoir ma le cellule infette non muoiono, tu hai una fabbrica di virus in continua attività. E non va bene.
Chi deve uccidere quelle cellule infette? I CD8 (sto semplificando tanto, eh?). Ma i CD8 delle persone da tempo in terapia non funzionano bene, sono stanchi e mirano male.
Quindi bisogna trovare un modo per addestrarli a uccidere meglio le cellule infette.
Si sta cercando di farlo, ad esempio, costruendo un vaccino terapeutico.
Ora, se questo risultato di Kaufmann, Nussenzweig e colleghi troverà conferma, abbiamo un'arma in più per addestrare i CD8 a far bene il loro mestiere senza che, al contempo, si debba avere tanto virus in giro che ci pensi lui a stimolarli (che non va bene). Ed è un'arma che agisce contemporaneamente andando ad uccidere anche lei il virus e facendo tutto senza effetti collaterali pesanti.
A me pare che questa sia una bella cosa.



Mr_T
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Mr_T » giovedì 6 febbraio 2020, 11:39

ok, sono tardo! ;)
adesso è molto più comprensibile.
con la speranza che questa strada ci porti lontano
Grazie Dora come sempre, il tuo ottimismo è contagioso.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » lunedì 9 marzo 2020, 18:09

Dora ha scritto:
sabato 4 marzo 2017, 7:45
In agosto 2016 è iniziato il trial ROADMAP (romidepsina + 3BNC117) della Rockefeller University. Ora anche i danesi della University of Aarhus hanno aperto un trial su romidepsina e 3BNC117.
Rivediamo prima il trial americano:
Dora ha scritto:IN PARTENZA IL TRIAL ROADMAP (romidepsina + 3BNC117)

Nei mesi scorsi era stato progettato e ne avevamo avuto notizia lo scorso marzo:
Dora ha scritto:Ho trovato interessante il progetto del trial proof of concept ROADMAP (cioè romidepsina + 3BNC117) su 30 persone con infezione cronica e in ART:

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Ora il trial Romidepsin Plus 3BNC117 Phase 2a Study (ROADMAP) della Rockefeller University in collaborazione con l'Ospedale Universitario di Cologna e l'Ospedale Universitario di Aarhus, è pronto a partire: è stato iscritto in ClinicalTrials.gov, anche se non ha ancora iniziato il reclutamento.

È uno studio di fase IIa, randomizzato, in aperto, che prevede la somministrazione a circa 30 partecipanti con viremia controllata dalla ART dell'HDACi romidepsina con o senza l'anticorpo 3BNC117 per valutarne gli effetti sul reservoir di HIV.
È prevista un'interruzione terapeutica alla 24° settimana e fino alla 36°. I risultati sono attesi nella seconda metà del 2018.

Obiettivo primario: tempo di rebound durante l'interruzione della ART [rebound definito come HIV-1 RNA ≥ 200 copie/mL in due misurazioni successive].

Obiettivi secondari: eventi avversi; dimensione del reservoir latente funzionale [questo è la prima volta che lo vedo ed è molto interessante: sarà valutato come numero di unità infettive per 1 milione di CD4 memoria e sarà misurato tramite viral outgrowth assay prima e dopo la terapia]; dimensione del reservoir provirale [valutata determinando l'HIV DNA e i circoli 2-LTR nei CD4 del sangue all'ingresso nel trial e dopo ogni ciclo di romidepsina, alla 24° settimana quando inizia l'interruzione terapeutica e alla fine dello studio (alla 48° settimana)]; HIV RNA nel plasma [come analisi di routine].

Verranno poi studiati alcuni parametri importanti: l'attività di trascrizione di HIV nei CD4 circolanti, la comparazione filogenetica dei virus prima e dopo il rebound, i livelli delle citochine e dei marker di infiammazione, l'attività e la funzionalità delle NK e dei CD8 e la loro capacità di inibire ex vivo l'infezione.
[...]
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#CROI2020 - I risultati del trial ROADMAP (un HDACi - la romidepsina - e un bNAb - il 3BNC117 in persone con HIV ben controllato dalla cART)


Della presentazione orale - A RANDOMIZED TRIAL OF THE IMPACT OF 3BNC117 AND ROMIDEPSIN ON THE HIV-1 RESERVOIR - che Ole Søgaard avrebbe dovuto tenere fisicamente a un CROI che è invece virtuale causa COVID-19, grazie al meraviglioso lavoro di Jules Levin per Natap sono riuscita a vedere le slides.
Dico subito che la sperimentazione è stata un fiasco. Si sapeva che non aveva grandi possibilità di successo, soprattutto perché tutti questi HDACi sono troppo deboli per stimolare una grande trascrizione del virus latente, ma vediamo comunque che cosa è successo.

I due farmaci, sia la romidepsina da sola, sia in combinazione con l'anticorpo, si sono rivelati sicuri e abbastanza ben tollerati, con parecchi eventi avversi di grado lieve o moderato e uno solo di grado più severo.
I fastidi più frequenti sono stati nausea, mal di testa, fatigue, brividi e vomito.
Non si sono viste variazioni significative nei livelli dei CD4.
Gli effetti sulla trascrizione virale, quasi inesistenti dopo un primo ciclo di trattamento, sono stati assai modesti dopo un secondo ciclo. Circa nella metà dei partecipanti, subito dopo la somministrazione della romidepsina si è potuto misurare un leggero aumento delle viremie nel plasma, nulla però che abbia superato le 144 copie di HIV RNA.
L'effetto sulle dimensioni del reservoir (cioè sul DNA virale), invece, è stato nullo, e questo anche dopo il secondo ciclo di trattamento. Un risultato deludente che ci siamo abituati a vedere in tutti questi trial con gli HDACi.
C'è sempre il problema di una certa resistenza di alcune persone agli anticorpi. Anche questa, purtroppo, non è una novità.
I tempi di rebound delle viremie dopo la sospensione prevista della cART sono stati quelli canonici (tranne un partecipante del gruppo della sola romidepsina, che invece il rebound l'ha avuto dopo circa 2 mesi e mezzo).
Non si è creata immunità specifica (quella dei CD8 memoria) dopo le infusioni con il bNAb.

Insomma, come dicevo prima, un gran fiasco.



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » mercoledì 27 gennaio 2021, 7:38

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Immunizzazione passiva con VRC01 - i risultati dello studio AMP (Antibody Mediated Prevention)


Alla 4th International HIV Research for Prevention Conference (HIVR4P) che si sta tenendo virtualmente in questi giorni, i ricercatori del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), in collaborazione con l'HIV Vaccine Trials Network (HVTN) e l'HIV Prevention Trials Network (HPTN), hanno presentato i risultati dei primi studi sull'immunizzazione passiva con un bNAb, VRC01.

Iniziato nel 2016, quando il primo bNAB isolato dal NIAID nel 2010 è stato reso disponibile per sperimentazioni sull'uomo, AMP si è svolto in due differenti trial, HVTN 704/HPTN 085 e HVTN 703/HPTN 081.
L'obiettivo era indagare se l'infusione di questo anticorpo era sicura e ben tollerata e se era in grado di proteggere dall'infezione da HIV persone ad alto rischio di infettarsi: circa 1900 donne reclutate in 7 Paesi dell'Africa Sub-sahariana (Botswana, Kenya, Malawi, Mozambico, Sud Africa, Tanzania, e Zimbabwe: dove prevale HIV-1 di sottotipo C) e circa 2400 MSM e donne transgender in Sud America (Brasile e Perù), Stati Uniti e Svizzera (dove a prevalere è l'HIV-1 di sottotipo B).
Metà dei partecipanti ha ricevuto una infusione dell'anticorpo, l'altra metà un placebo, ogni 8 settimane per 20 mesi, in tutto quindi 10 infusioni in un arco di tempo di 80 settimane (i risultati definitivi arriveranno quest'anno, i dati presentati oggi sono ancora parziali, ma alla fine le cose non cambieranno).
Due i dosaggi testati: 10 mg/kg e 30 mg/kg.
I partecipanti sono stati testati ogni 4 settimane e, se risultavano aver contratto l'infezione, il virus veniva analizzato per vedere se era suscettibile all'anticorpo.
La PrEP è stata offerta uniformemente in entrambe le sperimentazioni.

E vediamo come sono andate le cose.
Anzitutto, come già sappiamo dai diversi studi sulla cura fatti con questo anticorpo, VRC01 è stato sicuro e ben tollerato, senza effetti avversi di rilievo.
La protezione che ha offerto dall'infezione, però, è stata deludente, perché non è stata statisticamente migliore del placebo né nel dosaggio più basso, né in quello più alto.
Quello che è emerso dai due trial è che questo bNAb in monoterapia funziona solo nelle persone che non si imbattono in un HIV che è già di suo resistente a VRC01 e che solo il 30% dei virus circolanti nei Paesi dove si è svolto lo studio sono suscettibili a questo anticorpo (e negli studi sulla cura avevamo visto con quanta facilità il virus diventi resistente a VRC01 e in genere ai bNAbs).

Le conclusioni dei ricercatori sono state che - come già abbiamo visto dai trial sulla cura - una immunizzazione con un solo anticorpo non va bene. Saranno dunque necessari studi su combinazioni di bNAbs per vedere se si ottiene una buona protezione - e sappiamo che ce ne sono di molto più potenti di VRC01.

Commento di Jon Cohen:
It has taken more than 4 years and $119 million for HIV researchers to test whether giving people infusions of antibodies made in a lab can protect them from the AIDS virus. Now, the unsatisfying answer is in: sometimes.
E sua conclusione, che condivido:
A powerful biomedical HIV prevention strategy already exists, however: a daily antiviral pill known as pre-exposure prophylaxis, or PrEP, which some AMP participants took as well. Monoclonal antibodies would have little appeal if PrEP was widely and consistently used, but many people have difficulty or don’t like taking daily pills, and its efficacy in women may be lower than men. Injected, long-acting antiretrovirals have also worked as PrEP in clinical studies but have yet to be licensed; they might provide a cheaper alternative to antibody infusions.
È vero che, finché non c'è un vaccino, tutto (o quasi) ci può andar bene, ma il ruolo che i bNAbs possono avere nella prevenzione di HIV è ancora tutto da stabilire e la competizione con la PrEP è fortissima.






FONTI:



Whenharrymetsally
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Whenharrymetsally » mercoledì 27 gennaio 2021, 23:19

Ma in effetti mi chiedo: come può una combinazione di anticorpi competere con un islatravir che si sintetizza in pochi steps e che, se i trials confermano, si potrebbe assumere in una pastiglia da 60mg una volta al mese o in quantità maggiori in maniera più infrequente?



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