IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da Dora » lunedì 3 novembre 2014, 9:39

L’interleuchina-15 (IL-15) è una citochina scoperta 20 anni fa, simile per struttura all’IL-2. È prodotta dalle cellule presentanti antigeni (APC) nelle fasi iniziali della risposta immune nel corso di infezioni e ha un ruolo importante nella formazione della risposta immune sia innata, sia adattativa, regolando l’attivazione, la proliferazione e la sopravvivenza dei linfociti T e delle cellule natural killer (NK). In particolare, stimola le cellule NK a secernere interferone-γ (IFN-γ).

In questi vent’anni, si è visto che l’IL-15 ha anche proprietà antitumorali e la si sta studiando in centinaia di trial clinici. Il National Cancer Institute degli NIH l’ha messa al primo posto in una lista di 12 sostanze fra le più promettenti immunoterapie contro il cancro.

Studi in vitro fatti quando questa citochina è stata scoperta hanno dimostrato che l’IL-15 aumenta sia la funzionalità delle NK, sia quella dei CD8 HIV-specifici e questo ha fatto subito ipotizzare che possa essere utilizzata come immunoterapico per accrescere le risposte contro l’HIV. Inoltre, si è visto che le cellule NK stimolate con IL-15 riescono ex vivo ad uccidere i CD4 infetti, diminuendo così la frequenza di CD4 che contengono HIV. E si è visto che, se si trattano macachi infettati da SIV con IL-15, si ha un aumento del numero dei CD8 SIV-specifici e delle cellule NK, mentre al tempo stesso diminuisce il numero di cellule infette nei linfonodi. Questo è coerente con l’ipotesi che l’IL-15 abbia un effetto antivirale.
Ma c’è un problema, perché in quello stesso studio la viremia plasmatica delle scimmie è aumentata di 2-3 log. Quindi c’è anche la possibilità che l’IL-15 induca la replicazione del virus. Questo ne limiterebbe drasticamente l’uso terapeutico.

Oltre a questo, sappiamo che le cellule latentemente infette subiscono una proliferazione omeostatica, che porta al reintegro del reservoir latente ed è indotta, sì, soprattutto dall’IL-7, ma anche dall’IL-15:

Immagine

Nicholas Chomont ha dimostrato che l’IL7 e la -15 sono coinvolte nel mantenimento del serbatoio dei CD4 memoria e ha ipotizzato che possano anche contribuire alla persistenza delle cellule latentemente infette. Entrambe queste citochine inducono, infatti, in vitro proliferazione, attivazione e sopravvivenza dei CD4. Così come entrambe aumentano la produzione di virus nei CD4 produttivamente infetti isolati da persone con HIV.

In un lavoro presentato a Roma, ad AIDS 2011, Chomont ha mostrato che la differenza fra le due citochine è di intensità dell’effetto nell’indurre la produzione di virus in cellule latentemente infette: si è infatti visto che l’IL-15 è di circa 4 volte più efficace della -7 nel riattivare in vitro la trascrizione di HIV latente, inducendo però minore proliferazione dei CD4.

Immagine

Le conclusioni di questo studio di Chomont sono state che

  • - l’IL-7 aumenta il numero assoluto dei CD4 che contengono DNA virale integrato (in vivo) e mantiene la diversità genetica del reservoir (in vitro);
    - IL-7 e IL-15 inducono proliferazione, attivazione e sopravvivenza dei CD4,
    - l’IL-15 induce produzione virale in modo più efficiente di quanto faccia la -7.


Pertanto, secondo Chomont, l’IL-15 dovrebbe essere considerata come un possibile candidato per arrivare all’eradicazione.

ImmagineTuttavia, l’uso dell’IL-15 potrebbe essere a doppio taglio e questa citochina, proprio poiché è coinvolta sia nel mantenimento del reservoir, sia nell’induzione alla trascrizione dell’HIV latente, potrebbe rivelarsi assai difficile da maneggiare – proprio come è successo per l’IL-7, che tante delusioni ha dato allo stesso Chomont e agli altri "allegri canadesi".

C’erano diverse limitazioni nella produzione di IL-15, a partire dalla sua emivita, che è molto breve. Ma ora pare siano state superate con lo sviluppo, da parte di Altor BioScience, una società di Miami che produce immunoterapici, di ALT-803. Si tratta di un super-agonista dell’IL-15 (IL-15SA), un composto che ha una attività biologica di circa 25 volte superiore rispetto a quella dell’IL-15 prodotta naturalmente da noi.
L’ALT-803 è stato di recente utilizzato in uno studio ex vivo su diversi HDACi usati come farmaci anti-latenza e si è visto che, mentre tutti gli HDACi testati (e soprattutto la romidepsina) portano a una soppressione duratura della produzione di INF-γ da parte dei CD8 HIV-specifici prelevati da persone con HIV (come sappiamo, l’IFN-γ ha potenti effetti antivirali), invece questo superagonista dell’IL-15 ne aumentava notevolmente la produzione (dello studio di Bruce Walker e dei pesanti effetti che gli HDACi hanno sulla funzionalità dei CD8 abbiamo parlato qui).


Tutta questa lunga premessa per dire che è in partenza presso la University of Minnesota (Timothy Schacker) una sperimentazione clinica per stabilire sicurezza, tollerabilità e possibile efficacia di ALT-803 in persone con HIV: Proof of Principle Study of Pulse Dosing of IL-15 to Deplete the Reservoir in HIV Infected People (ALT-803).

È uno studio pilota in aperto, su un singolo braccio di 10 persone con HIV e con viremia stabilmente soppressa dalla ART (<40 o <50 copie RNA/mL a seconda del test, da più di 2 anni) e con più di 500 CD4.
Verranno studiati diversi dosaggi di infusioni settimanali di ALT-803, fino ad arrivare alla massima dose tollerata. Dopo la prima infusione, i partecipanti verranno monitorati per 24 ore, e le volte successive per 6 ore.

L’obiettivo primario del trial è stabilire sicurezza e tollerabilità di ALT-803, determinate dall’incidenza di eventi avversi entro 4 settimane.
L’obiettivo secondario è quello di valutare l’incidenza di ALT-803 sul reservoir. Per far questo verrà usato il nuovo test messo a punto da Chomont e presentato a Melbourne l’estate scorsa: il TILDA (Tat/rev Induced Limiting Dilution Assay), che misura la frequenza di cellule che esprimono multiply-spliced HIV RNA e ha caratteristiche che lo rendono molto interessante, perché non richiede di estrarre RNA virale, è rapido (richiede meno di due giorni di lavoro), sensibile (ha bisogno di molte meno cellule rispetto ad altri test) e costa solo 300 dollari.

Lo studio dovrebbe iniziare a giugno 2015 e la fine è prevista per giugno 2016.



Che dire? Speriamo che con l'IL-15 vada meglio che con la -7.



EDIT: ho cambiato titolo al thread da "IL-15 (ALT-803) contro il reservoir di HIV" a "IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV".
Ultima modifica di Dora il martedì 20 aprile 2021, 10:44, modificato 1 volta in totale.



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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da uffa2 » lunedì 3 novembre 2014, 11:21

incrociamo i macrofagi ;)


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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da alfaa » lunedì 3 novembre 2014, 15:08

: - )



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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da stealthy » lunedì 3 novembre 2014, 15:43

Ma se l'IL 15 contribuisce alla proliferazione omeostatica del reservoir non è un rischio darla dall'esterno?



Dora
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da Dora » lunedì 3 novembre 2014, 16:23

stealthy ha scritto:Ma se l'IL 15 contribuisce alla proliferazione omeostatica del reservoir non è un rischio darla dall'esterno?
Questa è anche la mia preoccupazione, visto quel che è accaduto con l'IL-7, che ha aumentato la produzione di virus nelle cellule produttivamente infette senza in sostanza fare nulla al virus latente.
Ci si è trovati con i CD4 memoria che proliferavano e i CD4 che ospitavano DNA virale integrato che erano aumentati del 70%. Cioè, detto in modo piatto, l'IL-7 ha fatto aumentare e non diminuire il reservoir dei CD4 latentemente infetti.
Quello che io mi chiedo è se il fatto che si sia visto in vitro che l'IL-15 è 4 volte più efficace dell'IL-7 nel riattivare la trascrizione dell'HIV latente (solo 4 volte, si potrebbe notare) e il fatto che l'IL-15 fa proliferare i CD4 meno dell'IL-7 siano ragioni sufficienti per assicurare a questa citochina un destino diverso per quanto riguarda l'eradicazione dell'HIV.



Dora
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da Dora » lunedì 13 aprile 2015, 17:18

IL-15 SUPERPOTENZIATA (ALT-803) E CELLULE NATURAL KILLER

La sperimentazione clinica del superagonista dell’IL-15 ALT-803 non ha ancora iniziato il reclutamento dei partecipanti, ma sul Journal of Virology è appena uscito un lavoro molto interessante – una collaborazione fra Harris Goldstein e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine e Altor BioScience, la società che produce l’ALT-803: In Vivo Activation of Human NK cells by Treatment with an IL-15 Superagonist Potently Inhibits Acute In Vivo HIV-1 Infection in Humanized Mice.

In questa ricerca è stata indagata in vivo in topi umanizzati con infezione acuta da HIV la capacità di questa formulazione potenziata di IL-15 di stimolare l’azione delle cellule Natural Killer. E, vedendo un poco nei dettagli i risultati di questa sperimentazione, avremo la sorpresa di scoprire che potrebbe collegarsi con le ricerche sugli anticorpi ampiamente neutralizzanti di cui stiamo discutendo proprio in questi giorni.

Parlando dell’ultimo CROI, abbiamo visto che delle cellule NK particolarmente agguerrite sembra siano responsabili del successo nel controllo delle viremie dopo la sospensione della ART iniziata in fase acuta da parte dei 20 pazienti della coorte VISCONTI.
Se si trova un modo per potenziare le risposte di queste cellule, che intervengono subito dopo l’infezione, prima che le risposte dell’immunità adattiva HIV-specifica abbiano avuto il tempo di svilupparsi, si può dunque sperare di avere molte più persone capaci di controllare la replicazione del virus senza farmaci, dopo aver fatto loro iniziare la ART durante la fase acuta.

D’altra parte, poiché non tutti hanno la “fortuna” di essere diagnosticati durante le primissime fasi dell’infezione e di entrare immediatamente in terapia, se l’IL-15 riesce a manipolare le risposte delle NK anche nelle persone con infezione cronica, questa citochina può diventare un candidato negli studi sulla cura che si propongono l’eliminazione del reservoir mediante l’azione combinata di farmaci anti-latenza e di rafforzamento dell’immunità cellulo-mediata dei CD8 e/o di sfruttamento di quel meccanismo dell’immunità cellulare noto come ADCC - antibody-dependent cell-mediated cytotoxicity, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa discutendo della ricerca di Michel Nussenzweig sul bNAb 3BNC117 (tutto ormai – almeno in teoria - sembra portare verso una cALT sempre più sofisticata).

Alle domande sul ruolo della IL-15 nel potenziare l’attività delle Natural Killer di persone entrate in terapia in fase cronica dovrebbe iniziare a dare qualche risposta il trial clinico in partenza.

Intanto, cominciamo a vedere che cosa è accaduto ai topi, anzi alle cellule prima ancora che ai topi.

Anzitutto, si sono trattate per due giorni in vitro con ALT-803 le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) estratte a 6 persone HIV negative e si sono confrontate le NK trattate con IL-15 potenziata con altre NK non trattate e tenute come controlli.
Quel che si è visto è che le NK trattate producevano livelli molto più alti di due proteine – la perforina e il granzima B – che sono proprio le sostanze che esercitano l’azione citolitica sulle cellule infette o cancerose. Questo ha confermato quel che si è già visto in tante ricerche sul cancro: l’IL-15, soprattutto in questa versione molto più potente, stimola le cellule NK, rendendole molto più agguerrite nella loro opera di distruzione delle cellule malate.

Poi si è sperimentata l’azione dell’ALT-803 sulle NK messe direttamente ad agire contro una linea di cellule latentemente infettate da HIV e anche qui si è visto che le NK trattate erano molto più attive rispetto a quelle non trattate.

Infine, Goldstein e colleghi sono passati a sperimentare in vivo su topi umanizzati, che hanno infettato con un clone di HIV-1 che esprimeva un gene reporter che rende fluorescenti le cellule infettate.
Questo ha permesso di visualizzare perfettamente in vivo tutto quel che avveniva e di osservare la soppressione dell’infezione acuta mediante le cellule NK stimolate dal superagonista dell’IL-15.

Immagine

Senza entrare adesso nei dettagli degli esperimenti, l’IL-15 ha funzionato molto bene quando è stata somministrata proprio a ridosso dell’infezione (1 o al massimo 3 giorni dopo): in questo caso, infatti, si è misurata una riduzione di più del 90% dei livelli di HIV e questo fino a tre settimane dopo. Quando però l’IL-15 è stata somministrata quando ormai l’infezione primaria si era stabilita (a 5 giorni dal contagio), la sua efficacia è stata minima.

Per confermare che l’inibizione del virus era proprio merito delle NK attivate dall’IL-15, i ricercatori hanno eliminato tutte le NK dalle PBMC infuse nei topi, poi li hanno infettati e hanno somministrato loro l’ALT-803. In quel caso, non c’è stato alcun controllo dell’infezione.
Questa conferma è importante, perché è la prima volta che viene dimostrata in vivo la capacità delle cellule NK di inibire l’infezione acuta da HIV.

Qui gli esperimenti sull’infezione acuta si fermano e comincia la speculazione sul ruolo che l’IL-15 può avere nel trattare l’infezione cronica – che è l’argomento di questo thread.

Goldstein e colleghi riconoscono che la stimolazione con IL-15 delle cellule NK e dei CD8 durante la fase acuta può avere degli effetti benefici sull’inibizione della replicazione del virus – come in effetti si è visto. Ma durante la fase cronica l’attivazione dei CD4 mediata dall’IL-15 può avere l’effetto opposto e del tutto indesiderato di rendere i CD4 più facilmente infettabili. Fra l'altro, questo non è pura teoria: è proprio quel che è accaduto a delle scimmie con infezione acuta da SIV trattata con IL-15, i cui CD4 memoria sono stati infettati molto più facilmente e alle quali i set point virali sono aumentati e la progressione dell’infezione si è fatta più rapida.
Inoltre, nell'articolo non viene menzionato, ma il ruolo dell'IL-15 nel favorire la proliferazione omeostatica del reservoir che ho segnalato nel primo post di questo thread potrebbe impedirne l'uso in qualsiasi strategia di cura.

L’ipotesi avanzata è che il superagonista dell’IL-15 usato qui, che ha un’attività biologica di circa 25 volte maggiore rispetto all’IL-15 ricombinante usata per le scimmie e un’emivita nel siero di più di 35 volte più lunga (25 ore vs 40 minuti), sia stato in grado di stimolare una risposta immune più potente e tale da avere molto maggior peso rispetto agli effetti dannosi che si videro nelle scimmie.
D’altra parte, è anche possibile che l’effetto dell’IL-15 sulle cellule NK e sui linfociti T delle scimmie sia un po’ diverso da quello sulle corrispondenti cellule umane.
La funzionalità delle cellule NK è diminuita durante la fase cronica dell’infezione da HIV, ma è possibile che il trattamento con IL-15 potenziata la migliori.
La sperimentazione clinica che sta per cominciare ci darà certamente delle risposte.

Ma l’idea di Goldstein e colleghi è anche di continuare a indagare nei modelli animali un altro meccanismo attraverso cui le cellule NK distruggono le cellule infette: la citotossicità mediata da cellule dipendenti da anticorpi. È infatti possibile che l’ADCC mediata dalle NK abbia contribuito alla riduzione del rebound delle viremie che si è visto in un fantastico esperimento sui topi fatto l’anno scorso da Michel Nussenzweig e di cui abbiamo parlato ancora pochi giorni fa, in cui sono stati combinati 3 bNAbs con tre sostanze anti-latenza.

Così il cerchio si chiude:

  • una possibilità affascinante potrebbe essere che, facendo aumentare l’attività delle cellule NK trattandole con il superagonista dell’IL-15, questo faciliti l’attività anti-HIV-1 di una terapia con anticorpi neutralizzanti perché fa aumentare l’attività ADCC.


Cioè:
ALT-803 => stimola l’attività delle NK => queste aumentano l’attività dei bNAbs => questo distrugge le cellule latentemente infette il cui virus è stato riattivato grazie a una combinazione di sostanze anti-latenza.


Non esattamente fantascienza.





P.S. Il 29 di questo mese a Boston, Brad Jones, Ragon Institute of MGH, MIT e Harvard, terrà una breve lezione ad uno dei Keystone Symposia (Mechanisms of HIV Persistence: Implications for a Cure). Parlerà di Cytotoxic T-Lymphocytes in Combination with the IL-15 Superagonist ALT-803 Eliminate Latently HIV-Infected Autologous CD4+ T-Cells from Natural Reservoirs e sarà l’occasione per aggiornare il thread parlando, questa volta, non più di cellule NK, ma di CD8.



admeto
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da admeto » mercoledì 27 gennaio 2016, 10:37

http://www.amfar.org/Immune-Based-Thera ... d=16398213



Non so se è il thread giusto, ma volevo segnalarvi questo articolo, in cui si racconta di una sperimentazione dell’ormone IL-21 su 16 scimmie, che sono state infettate con il SIV e due mesi dopo sottoposte ad una ART potenziata, con l’utilizzo di cinque farmaci. Alla metà degli animali sono stati inoltre somministrati due cicli di iniezioni settimanali sottocutanee di IL-21 per sei settimane prima dell’interruzione della ART; successivamente all’interruzione sono state loro somministrate altre 4 dosi settimanali.

Si è quindi osservato che gli animali trattati con IL-21 non solo mostravano marker di attivazione immunitaria più bassi sia nel sangue che nell’intestino, ma presentavano anche minori quantità di virus, sia latente che circolante. Queste caratteristiche si sono mantenute per tutti gli otto mesi di osservazione successivi all’interruzione della ART.

Il mio dubbio è questo: ma cosa aspettano a fare una sperimentazione sulle scimmie su larga scala, seguendo il pragmatico “metodo Savarino”? Secondo me – ma è la mia personalissima opinione – l’unico modo per accelerare un po’ i tempi per una cura sarebbe quello di andare per tentativi, sperimentando sulle scimmie vari tipi di cocktail di farmaci contemporaneamente, ovviamente scegliendo quelli che in base ai risultati di laboratorio sembrano più efficaci e sembrano avere i maggiori effetti sinergici potenziali. Poi quando si rileva che un cocktail funziona più di altri, si ripete la sperimentazione su altre scimmie. E dopo magari si passa all’uomo.

Visto che la cura sarà una specie di puzzle composto di tanti pezzi, e visto che al momento non ne abbiamo nessuno di questi pezzi, se si continua a fare solo sperimentazioni parziali, la cura arriverà tra decenni.



Dora
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da Dora » mercoledì 27 gennaio 2016, 11:59

admeto ha scritto:Il mio dubbio è questo: ma cosa aspettano a fare una sperimentazione sulle scimmie su larga scala, seguendo il pragmatico “metodo Savarino”? Secondo me – ma è la mia personalissima opinione – l’unico modo per accelerare un po’ i tempi per una cura sarebbe quello di andare per tentativi, sperimentando sulle scimmie vari tipi di cocktail di farmaci contemporaneamente, ovviamente scegliendo quelli che in base ai risultati di laboratorio sembrano più efficaci e sembrano avere i maggiori effetti sinergici potenziali. Poi quando si rileva che un cocktail funziona più di altri, si ripete la sperimentazione su altre scimmie. E dopo magari si passa all’uomo.

Visto che la cura sarà una specie di puzzle composto di tanti pezzi, e visto che al momento non ne abbiamo nessuno di questi pezzi, se si continua a fare solo sperimentazioni parziali, la cura arriverà tra decenni.
Admeto, io credo che la sperimentazione sull'IL-21 passerà presto alla fase clinica, senza che si facciano ancora tanti test sulle scimmie, perché il lavoro di Paiardini e colleghi della Emory University che hai segnalato è molto interessante.
È dal CROI 2014 che ho iniziato a seguire l'IL-21, da quando mi sono posta questa domanda:
Dora ha scritto:Un lavoro sui macachi, le cui slides potete vedere per esteso nella presentazione che ne ha fatto Alexandra Ortiz degli NIH – Probiotic and IL-21 Treatment Promotes Th17 Cell Recovery in ARV-Treatment of Pigtail Macaques – si è riproposto di studiare gli effetti sulla disfunzione immunitaria intestinale della supplementazione con probiotici e IL-21 (una citochina che, data ai macachi in infezione acuta, sembra proteggere i linfociti Th17).
Senza entrare nei dettagli, la somministrazione di probiotici (Bifidobacterium, Lactobacillus e Streptococcus termophilus) + IL-21 non ha avuto nessun effetto sulle viremie (che erano soppresse grazie alla ART); ha tuttavia portato a un aumento dei CD4 nell’intestino, senza per altro indurre attivazione dei linfociti T, e ha migliorato la frequenza e la funzionalità dei Th17 nell’intestino. Inoltre, ha diminuito l’incidenza di comorbilità.

Nelle scimmie pare dunque che le cose con i probiotici stiano andando meglio che negli uomini.

Le prossime cose da studiare, secondo Ortiz:

  • 1. i meccanismi che hanno portato all’espansione dei Th17;
    2. la possibilità che il trattamento con probiotici + IL-21 migliori la protezione contro i microbi nell’intestino;
    3. la possibilità che questo trattamento riduca la traslocazione microbica e la disbiosi intestinale.


DdD: visto che i risultati dei probiotici negli uomini sono piuttosto deludenti e invece nelle scimmie trattate con probiotici + IL-21 le cose sono andate un po’ meglio, non si può pensare che le scimmie abbiano beneficiato soprattutto dell’interleuchina-21?
Se ho aspettato a parlare della ricerca di Paiardini (che fra parentesi ha utilizzato un modello animale di soppressione dell'SIV con mega-ART che ricorda molto quello di Savarino) è stato solo perché credo che - dal momento che i trial di fase I e II sul cancro stanno dimostrando che questa citochina è poco tossica - non passerà molto e la vedremo all'opera in un trial clinico sulla cura di HIV. Allora mi pare che avrà molto più senso dedicarle un thread tutto suo.



admeto
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da admeto » mercoledì 27 gennaio 2016, 22:10

Grazie Dora, le tue risposte sono sempre tempestive e pertinenti, sei fantastica! :) :)

Purtroppo quando si scrive usando lo smartphone bisogna per forza essere sintetici e forse non sono riuscito ad esprimermi chiaramente stamattina.

Sono molto contento che la sperimentazione dell’IL-21 passi in fretta alla fase clinica, ma mi domando fino a che punto potrebbe essere significativo un trial così parziale.
Mi spiego: mi pare che sia avvertita anche a livello scientifico la necessità di accelerare il percorso verso una cura. Mi sembra che in questa prospettiva si sia posto sia un recente autorevolissimo intervento accademico – che ipotizzava di condurre sperimentazioni contemporanee sugli uomini e sugli animali – sia l’ancor più recente accordo stipulato dalle principali case farmaceutiche, che hanno deciso di mettere a disposizione dei ricercatori i loro prodotti per sperimentare nuovi cocktail di farmaci.

Mi domandavo quindi se si possa ipotizzare, sempre a questo fine, una grande sperimentazione sulle scimmie in cui si mettono alla prova contemporaneamente varie strategie di cura già complete. Tanto per fare un esempio: su alcune scimmie si potrebbe sperimentare una cura composta da – che ne so – vorinostat + panobinostat + romidepsina + vaccino X; su un altro gruppetto una cura formata da IL-21 + panobinostat + romidepsina + vaccino X; su di un altro ancora vorinostat + panobinostat + romidepsina + vaccino Y. E così via, verificando il maggior numero possibile di combinazioni. Poi, se una di queste funzionasse, si potrebbe ripetere la sperimentazione su un gruppo più nutrito di animali e passare eventualmente all’uomo. Mi sembra che Savarino abbia usato una tecnica simile (ma forse non ho capito nulla, il che è molto probabile)

Ho fatto degli esempi a caso, solo per cercare di spiegare quello che penso. Ovviamente le varie combinazioni dovrebbero essere studiate con cura sulla base dei risultati di laboratorio, per sperimentare solo quelle che hanno le maggiori probabilità di successo.

Capisco che è un’idea irrealizzabile, perché ciascuna di queste sostanze è attualmente testata da un diverso gruppo di ricerca. Però mi domando se – in via ipotetica – questa potrebbe essere una metodologia fruttuosa, in grado di condurre al traguardo della cura un po’ più in fretta. La mia impressione, infatti, è che sull’HIV si faccia tanta ricerca e si spendano molte risorse, ma che poi tutti questi sforzi finiscano per perdersi in una miriade di piccoli rivoli.

Non so, è solo un’idea personale, probabilmente un’enorme stupidaggine.



Dora
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Re: IL-15 (N-803) contro il reservoir di HIV

Messaggio da Dora » giovedì 28 gennaio 2016, 7:54

admeto ha scritto:Grazie Dora, le tue risposte sono sempre tempestive e pertinenti, sei fantastica! :) :)
Eh, hai toccato un punto dolente! La cartella dedicata all'IL-21 è sul mio desktop da mesi e ogni tanto la apro e mi dico che è il caso di tirarne fuori un post ...

mi domando fino a che punto potrebbe essere significativo un trial così parziale.
Molto significativo, io credo, perché questa specifica sostanza non è mai stata studiata nell'uomo in quello specifico ruolo.
Ho riportato l'esempio del trial delle scimmie trattate con probiotici + IL-21 proprio perché mi pareva che si vedesse bene che c'era confusione su che cosa desse beneficio e che cosa no. Se tu osservi un effetto, ma stai studiando insieme sostanze diverse, con diversi meccanismi d'azione, capire quale fra le sostanze utilizzate serva al tuo scopo diventa difficile. Meglio allora tenere fermo lo sfondo e valutare un unico parametro.
Così è stato fatto per l'IL-21, anzi già veniva fatto quando gli NIH ne parlavano al CROI, perché Paiardini ha anticipato i risultati sulla riduzione dell'infiammazione e del reservoir virale nelle sue scimmie a Melbourne, nell'estate di quello stesso 2014.
I risultati sono stati buoni, così probabilmente - salvo impedimenti che non sono in grado di prevedere - la vedremo presto testata su persone con HIV.
Mi spiego: mi pare che sia avvertita anche a livello scientifico la necessità di accelerare il percorso verso una cura. Mi sembra che in questa prospettiva si sia posto sia un recente autorevolissimo intervento accademico – che ipotizzava di condurre sperimentazioni contemporanee sugli uomini e sugli animali – sia l’ancor più recente accordo stipulato dalle principali case farmaceutiche, che hanno deciso di mettere a disposizione dei ricercatori i loro prodotti per sperimentare nuovi cocktail di farmaci.

Mi domandavo quindi se si possa ipotizzare, sempre a questo fine, una grande sperimentazione sulle scimmie in cui si mettono alla prova contemporaneamente varie strategie di cura già complete.

Sì, sì, abbiamo parlato a settembre scorso dell'articolo di Françoise Barré-Sinoussi e Jintanat Ananworanich, in cui facevano un appello ai loro colleghi a darsi una mossa e a fare trial più complessi, abbandonando la prudenza dei trial basati su un singolo intervento.
D'altra parte, le due signore della ricerca su HIV non facevano che raccogliere l'idea di cALT di Siliciano e altri e l'idea (sempre di Siliciano e altri) che non basti riattivare il virus dalla latenza ma ci voglia anche qualche intervento per rafforzare le reazioni dei CD8.

Quindi, se per le ragioni che ti ho esposto sopra proprio l'IL-21 non mi pare il candidato ideale, combinare sostanze anti-latenza diverse (con meccanismi d'azione diversi, però, non tre inibitori della iston-deacetilasi) con qualcosa, che sia vaccino o altro, che stimoli la funzione immune sembra una strada che molti scienziati si stanno apprestando a percorrere.

Fino ad oggi, che io sappia questa è una strategia che è stata tentata solo sui topi. Credo di avere ricordato più volte il magnifico lavoro di Nussenzweig e colleghi della Rockefeller University del 2014: tre sostanze anti-latenza in combinazione con anticorpi.

Le ricerche sulle scimmie costano tantissimo, non solo infinitamente più dei topi, perfino quelli umanizzati, ma anche, in proporzione, più dei trial clinici su esseri umani.
Quindi abbiamo la ricerca di Savarino, con l'idea di unire la BSO all'auranofin e con due macachi che hanno ricevuto il protocollo completo e che hanno dato tante soddisfazioni. Ma di altri studi su scimmie disegnati per arrivare a trial più complessi sull'uomo al momento non me ne vengono in mente.
Ma credo che questa sia proprio la direzione in cui ci si sta muovendo e anche gli accordi con le Big Pharma, i tanti fondi stanziati, le decine di studi in vitro per capire le combinazioni di sostanze anti-latenza più efficaci ... insomma, molti indicatori fanno pensare che l'idea di Barré-Sinoussi e Ananworanich non sia la fuga in avanti di due pazze, ma possa trovare presto applicazioni pratiche.

Quanto presto? È la solita domanda cui, come al solito, non so dare risposta.



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