Raymond Schinazi è un grande farmacologo, il padre di un numero impressionante di antiretrovirali contro l’HIV (emtricitabina, lamivudina, stavudina …) e anche di farmaci contro l’HCV e l’HBV (telbivudina).
Nato in una famiglia di commercianti ebrei di Alessandria, da bambino dovette scappare dall’Egitto di Nasser dopo la crisi di Suez del 1956, abbandonando tutto ciò che la famiglia possedeva. E proprio all’Egitto, che ha la maggior prevalenza al mondo di epatite C, Gilead l’anno scorso ha “regalato”, per un centesimo del suo costo negli Stati Uniti, Sovaldi – l’ultimo farmaco inventato da Schinazi che, con uno stile di basso profilo che abbiamo imparato ad apprezzare un paio d’anni fa, si è limitato a commentare: “Quello che accade in Egitto è molto triste, ma l’ironia è che questo ragazzino ebreo nato in Egitto ha inventato un farmaco che può salvare gli egiziani”.
Ho deciso di parlare oggi di una delle ricerche di Schinazi, perché è stata presentata il mese scorso a Miami, in occasione dell’HIV DART 2014, e si appresta a entrare in fase clinica, in un trial finanziato insieme da NIH e ACTG.
Inoltre, mi affascina l’idea di “cura funzionale” sottostante al progetto, perché è speculare rispetto ai vari tentativi di “shock and kill” che abbiamo visto in questi anni: invece di svegliare il virus dalla latenza per poi distruggerlo insieme alle cellule infette riattivate, l’idea di Schinazi è al contrario di sopprimere l’HIV, di impedirgli di riattivarsi quando è in latenza, rendendolo così simile alle decine di virus soppressi che ospitiamo nei nostri corpi, che possono riattivarsi solo quando il nostro sistema immunitario è seriamente compromesso.
Una via per arrivare a questo tipo di cura è, secondo Schinazi, quella che passa attraverso il blocco del percorso JAK-STAT.
Le Janus chinasi appartengono alla famiglia delle chinasi, la più grande famiglia di enzimi esistente in natura - “Just Another Kinase” (JAK) furono infatti chiamate quando vennero scoperte e solo in seguito è intervenuto il riferimento a Giano, il dio dalle due facce. Questi enzimi hanno il compito di attivare dei fattori di trascrizione – cioè delle proteine - chiamati STAT (Signal Transducers of Activated Transcription) che, interagendo con specifiche sequenze di DNA nel nucleo delle cellule, innescano l’espressione di specifici geni che regolano diversi aspetti della crescita, della sopravvivenza e della differenziazione cellulare.
Questo meccanismo, che si osserva sovente disfunzionale nei tumori, in cui porta a un aumento di angiogenesi e quindi a una aumentata sopravvivenza delle cellule tumorali, si attiva presto anche durante l’infezione da HIV e si attiva in diversi tipi di cellule target del virus, dai linfociti ai macrofagi. Questo causa l’innescarsi di una cascata di eventi che comportano
- - la produzione di fattori infiammatori,
- l’iperattivazione delle cellule infette,
- l’induzione omeostatica – via IL-7 e IL-15 – della proliferazione dei CD4 della memoria centrale e transitoria e dei CD4 simil staminali, che contribuisce al mantenimento del reservoir di HIV latente,
- una disfunzione immune generalizzata in siti diversi, compresi il tratto gastrointestinale e il sistema nervoso centrale.
Come abbiamo più volte ricordato - soprattutto parlando del lavoro di Steven Deeks nel thread Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronica? - l’attivazione immunitaria e l’infiammazione, oltre a causare danni d’organo, disfunzione immune e traslocazione microbica, sono responsabili di diversi eventi, che favoriscono la persistenza dell’HIV pur in presenza di terapia antiretrovirale soppressiva e vanno
- - dalla aumentata produzione di virus nelle cellule infette
- alla predisposizione a infettarsi delle cellule vicine a una cellula infetta,
- al reclutamento di cellule target non infette nei siti di infezione,
- alla riattivazione di virus latente nei reservoir.
Insomma, l’infiammazione è un elemento chiave per capire la difficoltà di eradicare l’HIV ed è una questione chiave da affrontare se si vuole arrivare a una cura dell'infezione.
È dunque evidente che l’inibizione farmacologica del meccanismo JAK-STAT, impedendo una serie di eventi immunomodulati dall’HIV in diversi tipi di cellule, può indirettamente aiutare a inibire la replicazione del virus.
Ed è possibile che un trattamento di durata limitata con qualche farmaco che interferisca nel meccanismo JAK-STAT comporti più alti numeri di CD4, più bassi livelli di attivazione immunitaria e di infiammazione cronica e dunque, nel complesso, una migliore sopravvivenza libera dagli innumerevoli disturbi causati da infiammazione e attivazione.
Da qualche anno Raymond Schinazi e il suo gruppo di lavoro a Emory studiano i JAK inibitori – due, in particolare, che sono di recente stati approvati per trattare patologie autoinfiammatorie: il ruxolitinib (Jakafi o Jakavi), contro la mielofibrosi, che è una patologia in cui il midollo osseo viene sostituito da tessuto fibrotico e in cui sono coinvolte molte citochine infiammatorie coinvolte anche nell’infezione da HIV, e il tofacitinib (Xeljanz), contro l’artrite reumatoide (ma funziona pure contro l’alopecia).
Entrambi questi farmaci, bloccando la trasduzione del segnale che le Janus chinasi inviano alle STAT, hanno dimostrato - in vitro su linfociti e macrofagi e in vivo nei macachi - non soltanto di bloccare la produzione di citochine infiammatorie (in particolare IL-6, TNF-α e IL-10), come ci si poteva attendere trattandosi di farmaci anti-infiammatori, ma anche di regolare lo stato di attivazione delle cellule, rendendo le cellule sane attorno a una cellula infetta meno suscettibili di essere infettate e impedendo quindi all’HIV di diffondersi.
Inoltre, ruxolitinib e tofacitinib hanno dimostrato di avere anche una capacità inattesa: un’attività direttamente antivirale, che sopprime la replicazione dell’HIV nelle cellule, e un’inibizione della riattivazione dell’HIV latente.
Il tutto a dosaggi molto bassi (submicromolari) dei farmaci, senza tossicità significative sulle cellule, senza la selezione di virus resistenti e, per di più, agendo contro ceppi di HIV resistenti ai principali NRTI.
Il fatto che si sia vista in vitro un’attività antivirale diretta nei macrofagi, oltre a quella mediata dalla diminuzione dell’infiammazione, suggerisce poi che in vivo questi due JAK inibitori siano in grado di bloccare la replicazione dell’HIV nei reservoir virali presenti in cellule della linea mieloide (i macrofagi e le microglia), riuscendo così a colpire la replicazione virale attiva che persiste in questi comparti cellulari raggiunti in modo subottimale dagli antiretrovirali standard. Passando la barriera ematoencefalica, i JAK inibitori potrebbero ridurre la disfunzione neurocognitiva associata all’HIV, che si associa a sua volta con gli eventi infiammatori che si verificano nel sistema nervoso centrale.
Sulla base dei risultati molto incoraggianti visti nei macachi con infezione cronica da SIV, nei quali, trattati con dosi di Jakafi che corrispondono a 10 mg due volte al giorno negli uomini, si è confermato che non si aveva nessun aumento nelle viremie, all’HIV DART è stato reso pubblico il protocollo di una sperimentazione clinica congiunta NIH-ACTG, che in una riunione dell'ACTG network a inizio dicembre veniva data "in sviluppo".
Lo studio A5336 su Jakafi è un trial multicentrico di fase IIa, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo.
Durerà 12 settimane, durante le quali verranno fatte 9 visite. Saranno arruolate 60 persone stabilmente in ART, con viremia soppressa da almeno 2 anni e almeno 350 CD4.
I regimi terapeutici devono includere TDF/FTC, ABC/3TC più un NNRTI o un INSTI per almeno due mesi.
La randomizzazione 3:1 comporterà che 10 mg di ruxolitinib siano somministrati oralmente due volte al giorno a 40 pazienti e un placebo a 20 per 5 settimane, seguite da 7 settimane di follow up.
Obiettivi primari della sperimentazione saranno la valutazione della sicurezza e tollerabilità del farmaco e il confronto dei livelli di IL-6 nei pazienti trattati con ruxolitinib e in quelli trattati con placebo durante le 5 settimane di trattamento.
Obiettivi secondari saranno la valutazione di una serie di marker di infiammazione e di attivazione e la misurazione mediante single copy assay (SCA) dell’HIV RNA nel plasma, dell’HIV DNA integrato e dei circoli 2 LTR.
FONTI:
- - articolo di Raymond Schinazi su Antimicrobial Agents and Chemotherapy, 2014: Ruxolitinib and Tofacitinib Are Potent and Selective Inhibitors of HIV-1 Replication and Virus Reactivation In Vitro;
- presentazione di Christina Gavegnano a HIV DART, Miami 2014: Role of JAK Inhibitors in Controlling Inflammation and HIV Reactivation;
- presentazione del trial clinico: A5336A Phase IIa, Double-blind, Placebo-controlled, Randomized Trial of Ruxolitinib in Antiretroviral-treated HIV-Infected Adults;
- poster di Schinazi al Workshop on HIV & Hepatitis Virus Drug Resistance and Curative Strategies, Sitges 2012: Jak inhibitors exhibit a novel mechanism of HIV inhibition in primary human and rhesus macaque macrofages and lymphocytes;
- intervista di Nelson Vergel a Schinazi per The Body, 2012: How Can "JAK Inhibitors" Help Salvage Patients and the Search for an HIV Cure?