COVID-19: la ricerca di una cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
uffa2
Amministratore
Messaggi: 6766
Iscritto il: lunedì 26 novembre 2007, 0:07

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da uffa2 » giovedì 4 giugno 2020, 21:21

Immagine
Scusa @Dora, eh, ma come puoi privare i nostri lettori di questa autentico passaggio da libro Cuore?
Aspiriamo sempre a svolgere le nostre ricerche in conformità con le più alte linee guida etiche e professionali.
Non possiamo mai dimenticare la responsabilità che abbiamo come ricercatori di garantire scrupolosamente che facciamo affidamento su fonti di dati che aderiscono ai nostri elevati standard.
Sulla base di questo sviluppo, non possiamo più garantire la veridicità delle fonti di dati primarie.
A causa di questo sfortunato sviluppo, chiediamo che il documento venga ritirato.
Siamo entrati tutti in questa collaborazione per contribuire in buona fede e in un momento di grande necessità durante la pandemia di COVID-19.
Ci scusiamo profondamente con lei (il direttore), con i redattori e con i lettori del journal per qualsiasi imbarazzo o inconveniente che ciò possa aver causato.
Io sono commosso, commosso oltre misura dell'amore per la Scienza dei tre Autori.
Amano così tanto la Scienza da non essersi fatta alcuna domanda sui dati che ricevevano da una misteriosa società spuntata fuori dal nulla: erano forse stati irretiti dalle scientifiche arti del direttore marketing? Cosa è successo? Cosa convince dei ricercatori la cui firma può apparire su The Lancet, a sottoscrivere un articolo così? Ma lo hanno davvero scritto loro? perché, di solito, se un lavoro lo fai tu, tosto o tardi la magagna ti appare. Cosa è successo?


HIVforum ha bisogno anche di te!
se vuoi offrire le tue conoscenze tecniche o linguistiche (c'è tanto da tradurre) o sostenere i costi per mantenere e sviluppare HIVforum, contatta con un PM stealthy e uffa2, oppure scrivi a staff@hivforum.info

uffa2
Amministratore
Messaggi: 6766
Iscritto il: lunedì 26 novembre 2007, 0:07

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da uffa2 » giovedì 4 giugno 2020, 21:28

Dora ha scritto:
mercoledì 3 giugno 2020, 18:14
E adesso l'AIFA che fa? Che fa?

dimenticavo: amici dell'AIFA, e voi che fate?
(non riposto Emilio Fede solo per non farvi consumare dati dal telefonino, ma il senso è quello)


HIVforum ha bisogno anche di te!
se vuoi offrire le tue conoscenze tecniche o linguistiche (c'è tanto da tradurre) o sostenere i costi per mantenere e sviluppare HIVforum, contatta con un PM stealthy e uffa2, oppure scrivi a staff@hivforum.info

Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » venerdì 5 giugno 2020, 6:11

uffa2 ha scritto:
giovedì 4 giugno 2020, 21:28
Dora ha scritto:
mercoledì 3 giugno 2020, 18:14
E adesso l'AIFA che fa? Che fa?
dimenticavo: amici dell'AIFA, e voi che fate?
Immagine


L'ineffabile AIFA che fa? Fa che adesso deve vedersela con gli avvocati dei medici - i Cavanna, i Garavelli, quelli che conoscono l'idrossiclorochina da una vita - che stavano trattando i pazienti COVID-19 con idrossiclorochina a casa e che hanno dovuto interrompere le terapie per la sconsiderata decisione presa dall'AIFA di “sospende l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2, al di fuori degli studi clinici, sia in ambito ospedaliero che in ambito domiciliare”.
Racconta infatti Repubblica che un gruppo di 140 medici - gli angeli, ricordate o avete già dimenticato tutto? gli eroi solo fino a un paio di giorni fa - hanno dato mandato a due avvocati di presentare un'istanza al Ministero della Salute e all'AIFA perché annullino la decisione del 26 maggio scorso.
“Atteso il rilevante impatto che tale sospensione ha e potrebbe avere nella gestione dell’epidemia da Covid-19, alla luce dell’assenza di valide alternative terapeutiche, contestiamo la decisione adottata superficialmente e in contrasto con le preliminari evidenze scientifiche, tra cui i rilevanti dati provenienti dal territorio (Novara, Piacenza, Alessandria, Milano e Treviso)”.
Se l'istanza non basta, è pronto il ricorso al TAR.

Io sommessamente ricordo che l'AIFA questa decisione sconsiderata non l'ha presa tutta da sola, ma in accordo con la Commissione Tecnico-Scientifica (CTS):
AIFA sospende l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento del COVID-19 al di fuori degli studi clinici

Fin dall’inizio dell’emergenza COVID-19, l’AIFA e la sua Commissione Tecnico-Scientifica (CTS) sono state costantemente impegnate in un processo di continuo aggiornamento delle evidenze scientifiche, e hanno predisposto delle schede che rendono via via espliciti gli indirizzi terapeutici entro cui è possibile prevedere un uso controllato e sicuro dei farmaci utilizzati nell’ambito di questa emergenza. [...]
E chi è a capo della CTS insieme al Direttore Generale dell'Agenzia Italiana del Farmaco, uno dei due soli componenti di diritto? Il Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Prof Silvio Brusaferro, che ancora ieri spendeva tante parole per spiegarci che le mascherine chirurgiche non vanno riutilizzate, ma che sulla questione della clorochina non ha ancora trovato il tempo per dire neppure un bah.
A me piacerebbe che il Prof Brusaferro ci spiegasse sulla base di quali evidenze la CTS ha concordato con l'AIFA la decisione di sospendere l'idrossiclorochina.
Evidenze scientifiche o pressioni ideologiche?
Evidenze scientifiche basate su dati taroccati o suggestioni politiche?
Possibile che un'ignorante come me abbia rilevato almeno le più gravi anomalie del lavoro su Lancet e nessuno degli esperti componenti della CTS si sia accorto che quel lavoro era truffaldino?
È consapevole, l'ineffabile Prof Brusaferro, del danno inflitto alla collettività che - lui, l'ISS, l'AIFA, la CTS - hanno il mandato di proteggere?
È consapevole della figura da buffoni di provincia che lui, l'AIFA e compagnia cantante hanno fatto in questa occasione?


Immagine


**********************

P.S. Dopo Lancet, anche NEJM ieri ha dovuto ritrattatare qualcosa: l'altro articolo basato sui dati farlocchi di Surgisphere, quello su Cardiovascular Disease, Drug Therapy, and Mortality in Covid-19.
Io devo scrivere su un altro articolo del New England, questa volta sull'idrossiclorochina come PEP, ma merita un post a parte. Se riesco, nel weekend.



uffa2
Amministratore
Messaggi: 6766
Iscritto il: lunedì 26 novembre 2007, 0:07

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da uffa2 » venerdì 5 giugno 2020, 8:31

Dora ha scritto:
venerdì 5 giugno 2020, 6:11
Possibile che un'ignorante come me abbia rilevato almeno le più gravi anomalie del lavoro su Lancet e nessuno degli esperti componenti della CTS si sia accorto che quel lavoro era truffaldino?
È consapevole, l'ineffabile Prof Brusaferro, del danno inflitto alla collettività che - lui, l'ISS, l'AIFA, la CTS - hanno il mandato di proteggere?
È consapevole della figura da cialtroncelli di provincia che lui, l'AIFA e compagnia cantante hanno fatto in questa occasione?[/size]
Ma no Dora, cosa vai a pensare!
E' Amore per la Scienza, anche qui.
Hai presente il pezzetto del libro Cuore che ho citato prima? siccome sei distratta te lo rimetto qui:
Aspiriamo sempre a svolgere le nostre ricerche in conformità con le più alte linee guida etiche e professionali.
Non possiamo mai dimenticare la responsabilità che abbiamo come ricercatori di garantire scrupolosamente che facciamo affidamento su fonti di dati che aderiscono ai nostri elevati standard.
...
Siamo entrati tutti in questa collaborazione per contribuire in buona fede e in un momento di grande necessità durante la pandemia di COVID-19.
Ecco, le stesse motivazioni nobili e pure, la stessa attenzione, gli stessi standard etici, la stessa attenzione al primum movens di ogni medico e di ogni scienziato, il benessere delle persone...
Gli stessi.


HIVforum ha bisogno anche di te!
se vuoi offrire le tue conoscenze tecniche o linguistiche (c'è tanto da tradurre) o sostenere i costi per mantenere e sviluppare HIVforum, contatta con un PM stealthy e uffa2, oppure scrivi a staff@hivforum.info

Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » lunedì 8 giugno 2020, 8:25

Immagine


MONTAGNE RUSSE E ALTRE STORIE TRISTI - idrossiclorochina come profilassi post-esposizione e chiusura del braccio idrossiclorochina del trial RECOVERY


L'infodemia sulla pandemia e la polarizzazione politica che ha fatto assumere alla ricerca scientifica le vesti di una guerra di religione hanno prodotto - non so se solo in me, ma credo anche in molti altri - un nauseante effetto montagne russe.
Quindi, poiché la nausea è continuata per tutto un weekend in cui nel mondo è stata superata la soglia dei 400.000 morti e la voglia di tornarci sopra è poca, faccio breve una storia che potrebbe essere più lunga, ma resterebbe comunque triste.

La settimana scorsa, sul New England Journal of Medicine, David Boulware e colleghi della University of Minnesota hanno pubblicato i risultati di uno studio che era molto atteso perché - si diceva - era fatto proprio come si deve:

A Randomized Trial of Hydroxychloroquine as Postexposure Prophylaxis for Covid-19

Come si deve - e cioè una sperimentazione randomizzata, in doppio cieco e con placebo, condotta fra Stati Uniti e Canada per capire se la somministrazione di idrossiclorochina come PEP può impedire l'infezione sintomatica dopo una sicura esposizione a SARS-CoV-2.
Una sperimentazione pragmatica, però. E in quell'aggettivo sta, a mio parere, un indizio sul fatto che il come si deve della sperimentazione era piuttosto elastico.

Sono stati arruolati attraverso la Rete adulti che, o per ragioni professionali o perché avevano in casa qualcuno con COVID-19, erano stati esposti a rischio grave o moderato di infezione e a queste persone i ricercatori hanno fornito idrossiclorochina perché, entro 4 giorni dall'evento a rischio, la assumessero a casa loro: 800 mg come dose d'attacco, seguiti da 600 mg dopo 6-8 ore e da altri 600 mg al giorno per altri 4 giorni.
Poi hanno valutato, a 14 giorni, l'incidenza o di infezione da SARS-CoV-2 confermata da tampone o di sintomi riconducibili a COVID-19.
Età mediana 40 anni, donne 51,6%, il 27,4% ha riferito problemi di salute cronici (soprattutto ipertensione, seguita da asma).

Vediamo subito i risultati: degli 821 partecipanti asintomatici arruolati, l'87,6% dei quali ha dichiarato un'esposizione ad alto rischio al virus, 414 hanno ricevuto HCQ, 407 un placebo.
L'incidenza dell'infezione o di quello che le assomigliava è stata dell'11,8% nel gruppo HCQ e del 14,3% nel gruppo del placebo: statisticamente NON significativa (differenza in termini assoluti: -2,4%; 95% intervallo di confidenza da −7,0 a 2,2; P = 0,35).
2 persone, una per gruppo, sono finite in ospedale.
Nessuno è morto. Nessuno ha avuto aritmie. Nessuno ha avuto eventi avversi gravi. Di eventi avversi non gravi ne hanno avuti più spesso nel gruppo dell'HCQ, ma anche il placebo ha avuto nausea, diarrea, mal di pancia.
L'aderenza in entrambi i gruppi è stata scarsa: solo il 75,4% dei partecipanti nel gruppo HCQ e l'82,6% nel gruppo placebo ha preso tutte le dosi. Diversi abbandoni, anche nel gruppo placebo, causa effetti collaterali.

Le conclusioni dei ricercatori sono state che l'HCQ come PEP non funziona.

Questo è un trial fatto come si deve, ci era stato detto. Ehm ...
Persone contattate via internet senza che nessun medico le abbia viste.
Persone che si sono fatte la diagnosi da sole, perché di PCR in USA a marzo e aprile se ne facevano poche e non si facevano proprio ai malati fuori dagli ospedali (e come abbiamo visto solo 2 sono finiti in ospedale).
Quindi tutti i ragionamenti di Boulware e colleghi hanno dovuto basarsi su poche diagnosi confermate e moltissime auto-diagnosi, in cui abbondano possibili fattori confondenti, ad esempio la diarrea (che ricorre sia come effetto avverso dell'HCQ, sia come sintomo dell'infezione).
Gli autori dello studio ammettono di non essere in grado di dire nulla sull'effetto dell'HCQ sulle infezioni asintomatiche, ma anche il fatto che i pazienti abbiano auto-riferito i loro dati e che un quinto dei partecipanti non abbiano preso tutte le dosi previste, così come il fatto che il campione iniziale previsto fosse quasi il doppio (1500) di quello su cui poi si è effettivamente svolta la sperimentazione rende difficile escludere che la HCQ abbia avuto un effetto preventivo.
In sostanza: solo l'~80% ha preso dosaggio pieno; solo il ~20% ha ricevuto diagnosi mediante PCR.
Quindi abbiamo dati corretti solo sul 16% dei pazienti che hanno preso i dosaggi giusti E sono stati correttamente testati.
Inoltre, abbiamo partecipanti molto giovani, che notoriamente si ammalano di meno e in modo meno severo. Anche questo rende meno significativi i risultati.
Aggiungiamo il fatto che un trial in cieco smette di essere in cieco se i partecipanti si rendono conto se stanno prendendo il farmaco o il placebo - e questo è accaduto in un gran numero di casi.
E c'è anche un'altra cosa che mi ha colpito quando ho letto l'articolo: la grande maggioranza dei partecipanti ha iniziato a prendere HCQ/placebo al terzo e quarto giorno dall'esposizione al virus.
Sappiamo che, nel caso dell'infezione da HIV, la PEP è considerata quasi sicuramente efficace se presa molto in fretta, già dopo 48 ore la probabilità che funzioni scende di molto e a 72 ore non vale neppure la pena tentare. Possibile che nel caso di un virus respiratorio la finestra di opportunità sia così più ampia?
Allora sono stati proprio dei gran furboni i ricercatori degli NIH che alle scimmie il remdesivir l'hanno iniziato a 12 ore dall'esposizione al SARS-CoV-2?

Poi ho letto l'editoriale di Myron Cohen che accompagna l'articolo sul NEJM (per chi non lo sapesse, Myron Cohen è uno dei papà della PrEP contro HIV):

Hydroxychloroquine for the Prevention of Covid-19 — Searching for Evidence

E Cohen conferma quello che io - da ignorante - immaginavo:

In the current trial, the long delay between perceived exposure to SARS-CoV-2 and the initiation of hydroxychloroquine (≥3 days in most participants) suggests that what was being assessed was prevention of symptoms or progression of Covid-19, rather than prevention of SARS-CoV-2 infection.

Boulware e colleghi hanno in corso un trial sull'efficacia dell'idrossiclorochina come trattamento precoce. Non so se sia impostato nello stesso modo pragmatico, ma in ogni caso i risultati sembrano già scritti dal trial sulla presunta PEP.

Che ce ne facciamo dei risultati di questo studio? E se queste sono le sperimentazioni come si deve, come faremo ad avere risultati conclusivi?
Lascio la parola a Cohen:

So, what are we to do with the results of this trial? The advocacy and widespread use of hydroxychloroquine seem to reflect a reasonable fear of SARS-CoV-2 infection. However, it would appear that to some extent the media and social forces — rather than medical evidence — are driving clinical decisions and the global Covid-19 research agenda. On June 1, 2020, ClinicalTrials.gov listed a remarkable 203 Covid-19 trials with hydroxychloroquine, 60 of which were focused on prophylaxis. An important question is to what extent the article by Boulware et al. should affect planned or ongoing hydroxychloroquine trials. If postexposure prophylaxis with hydroxychloroquine does not prevent symptomatic SARS-CoV-2 infection (with recognition of the limitations of the trial under discussion), should other trials of postexposure prophylaxis with hydroxychloroquine continue unchanged? Do the participants in these trials need to be informed of these results? Do these trial results with respect to postexposure prophylaxis affect trials of preexposure prophylaxis with hydroxychloroquine, some of which are very large (e.g., the Healthcare Worker Exposure Response and Outcomes of Hydroxychloroquine [HERO-HCQ] trial, involving 15,000 health care workers; ClinicalTrials.gov number, NCT04334148)? The results reported by Boulware et al. are more provocative than definitive, suggesting that the potential prevention benefits of hydroxychloroquine remain to be determined.

Boulware non l'ha presa bene e sembra farne una questione di soldi: Cohen sta facendo un trial finanziato dal governo americano con 9 milioni di dollari, invece la sua sperimentazione ne è costata solo 100.000 e it was run on a shoestring budget. … We didn’t wait around to wait for funding, we just did it.

**************************

L'altra storia triste questa volta è davvero breve: i ricercatori del trial britannico RECOVERY, quelli che avevano deciso di proseguire il braccio sulla HCQ quando l'OMS ha sospeso tutto, perché avevano valutato non rilevante l'articolo poi ritrattato da Lancet, adesso hanno chiuso la parte della sperimentazione sull'idrossiclorochina.
Perché l'hanno fatto? Per futilità - perché non hanno rilevato un chiaro beneficio clinico nei pazienti ospedalizzati che venivano trattati con HCQ:

A total of 1542 patients were randomised to hydroxychloroquine and compared with 3132 patients randomised to usual care alone. There was no significant difference in the primary endpoint of 28-day mortality (25.7% hydroxychloroquine vs. 23.5% usual care; hazard ratio 1.11 [95% confidence interval 0.98-1.26]; p=0.10). There was also no evidence of beneficial effects on hospital stay duration or other outcomes.
These data convincingly rule out any meaningful mortality benefit of hydroxychloroquine in patients hospitalised with COVID-19. Full results will be made available as soon as possible.

Reazioni abbastanza isteriche su entrambi i fronti: Simon Collins, HIV i-Base, che di solito è più equilibrato, parla di terrible failure e chiede che i responsabili del trial rendano conto del perché la sperimentazione è continuata così a lungo; France Soir, notando che il tasso di mortalità è abnorme rispetto a quanto si è visto in altri studi e lo stato dei pazienti molto più grave che nei casi in cui l'HCQ è sembrata dare un beneficio, sottolinea che il dosaggio scelto nel RECOVERY è pericolosamente alto, tanto da far rischiare un'overdose di idrossiclorochina (coïncidence?): suicide de l’essai Recovery à l'hydroxychloroquine, soyons sérieux!

E su queste soavi note di armonia mi fermo a prendere un bel respiro.


https://www.youtube.com/watch?v=sG8NDw3Tv6c



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » venerdì 19 giugno 2020, 5:39

Immagine


AIFA: dare un farmaco ai malati sbagliati e poi interrompere la sperimentazione dicendo che non funziona? FATTO!

Ieri la notizia che l'AIFA ha interrotto prima della sua fine naturale uno studio randomizzato sul tocilizumab ha fatto il giro del mondo.

Immagine

Ma che senso ha dare il tocilizumab a pazienti COVID che sono in una fase iniziale o non grave della malattia, quando questo farmaco serve per contrastare la tempesta di citochine (in particolare l'innalzamento ben oltre il livello fisiologico della IL-6) che può verificarsi quando l'infezione è in fase molto avanzata?
Anzi, impedire che l'IL-6 svolga la sua funzione nei limiti fisiologici non è addirittura controproducente?

Adesso i giornali all'estero ricordano il fiasco di un altro farmaco contro l'IL-6, il Kevzara di Regeneron, che ad aprile ha fallito in un trial di pazienti COVID. Ma quel trial era appropriato, perché i malati erano gravi. Non come questi 123 italiani.
Ora, io non ho una particolare simpatia per Paolo Ascierto, che ha trattato pazienti con tocilizumab a Napoli e ha cercato in tutti i modi la ribalta nei mesi scorsi. Ma mi pare che le sue obiezioni siano perfettamente fondate:
Sarei cauto nell'affermare che questo farmaco non funziona, a causa di una serie di limitazioni che riguardano lo studio in questione, che è giunto a conclusioni già note, su pazienti non gravi. [...] I dati che vengono fuori dallo studio emiliano - evidenzia il medico - non fanno altro che confermare risultati già noti. E c'è una serie di punti da notare: innanzitutto parliamo di due studi, il nostro 'Tocivid-19' e quest'ultimo, che arruolano due categorie di pazienti diversi. Nel trial emiliano i pazienti vengono trattati in una fase precoce e in una situazione più lieve, rispetto allo studio Tocivid-19. Ancora, nello studio emiliano per definire la risposta infiammatoria il paziente doveva corrispondere a una sola di queste tre situazioni: una misurazione della febbre al di sopra di 38° C negli ultimi 2 giorni, l'incremento della Pcr di almeno due volte il valore basale, oppure una Pcr sierica maggiore o uguale a 10 mg/dl. In pratica il paziente poteva anche solo avere avuto la febbre. Infine, i risultati riguardano 123 pazienti (anzi, la metà sono quelli effettivamente trattati essendo uno studio randomizzato): una coorte di sicuro piccola rispetto al Tocivid-19, che viene condotto su 330 pazienti, ma con una coorte osservazionale di oltre 2.500 pazienti. [...] La chiave - prosegue l'esperto - sta tutta nella tempesta citochinica: se non c'è, il farmaco non funziona. Questo medicinale, in fondo, viene studiato proprio per trattare questa complicanza e non serve per prevenirla.
Ho l'impressione che questo si prepari a diventare l'ennesimo passo falso commesso dall'AIFA in questa epidemia.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » mercoledì 24 giugno 2020, 6:20

Immagine


REMDESIVIR: finalmente anche in una formulazione da inalare

Come ho scritto più volte, la somministrazione per infusione del remdesivir lo rende molto poco adatto a trattare precocemente l'infezione da SARS-CoV-2, specie in pazienti non ospedalizzati.
D'altra parte, l'efficacia piuttosto modesta di questo antivirale richiede che sia somministrato nelle fasi iniziali dell'infezione, se si vuole sperare che serva a qualcosa.
Fin da marzo-aprile, Gilead aveva negato di avere in preparazione una formulazione orale del farmaco e lasciato invece trapelare la possibilità di una preparazione da inalare. Vivtex Corporation, invece, una società biotecnologica fondata da uno scienziato dell'MIT e che si occupa di produrre formulazioni orali di farmaci biologici, aveva annunciato a fine aprile di essere intenzionata a provare a sviluppare una versione orale del remdesivir.
Ma che una simile, più comoda, formulazione sia possibile, Gilead lo esclude nel documento che ha presentato all'EMA a inizio aprile per ottenere l'indicazione all'uso compassionevole del suo antivirale nei malati di COVID-19 in Europa.
Le ragioni per cui un farmaco può non essere adatto all'assunzione per bocca sono sostanzialmente due: 1. perché non viene assorbito dall'intestino, ma viene direttamente escreto attraverso le feci; oppure 2. perché viene assorbito dall'intestino e arriva al fegato, ma dal fegato viene fatto a pezzi che perdono ogni proprietà terapeutica e mandato ai reni, per essere espulso attraverso le urine.
Il caso del remdesivir è il secondo:
Remdesivir is not suitable for oral delivery as its poor hepatic stability would likely result in almost complete first-pass clearance.
Ma dal momento che era chiaro a tutti che un antivirale che dovrebbe essere dato subito, agli esordi dell'infezione, diventa molto meno utile se si aspetta che il malato sia così grave da finire in ospedale, Gilead aveva annunciato di avere in studio qualche formulazione più adatta:
Our researchers are also looking at the future potential for developing inhaled and potentially oral dosage forms of remdesivir to help alleviate the need for hospital administration of the drug.
Daniel O’Day, CEO di Gilead, ha una predilezione per le lettere aperte. Ne ha scritta una due giorni fa per comunicare al mondo che Gilead ha ricevuto dall'FDA il permesso di procedere ed è dunque pronta a iniziare delle sperimentazioni cliniche con la versione da inalare del remdesivir: questa settimana parte un trial su volontari sani, ad agosto inizierà un trial su persone malate di COVID-19.

La somministrazione da inalare spiana la via a maggiori successi? Gli steroidi in polvere, ad esempio, hanno rivoluzionato il trattamento dell'asma. Può succedere la stessa cosa nel caso di una malattia infettiva?
C'è ovviamente solo da augurarselo, anche se non è detto che mandare direttamente un farmaco nei polmoni risolva tutti i problemi di una infezione sistemica, con un virus che attacca prevalentemente cellule localizzate nelle vie respiratorie, ma non soltanto quelle. Inoltre, gli antibiotici che si assumono per via inalatoria sono usati in genere per infezioni polmonari croniche, come la fibrosi cistica, qui invece il remdesivir deve trattare un'infezione virale acuta e non è scontato che sarà sicuro ed efficace.
In ogni caso, le sperimentazioni di quest'estate qualche risposta la dovranno dare.

Visti anche i risultati non proprio esaltanti sui malati gravi, il farmaco nella sua versione da iniettare sarà testato su persone con infezione meno grave da SARS-CoV-2 e sarà testato in combinazione con altri farmaci che hanno il compito di intervenire sul danno infiammatorio causato dal virus.
Anzi, è già in sperimentazione insieme a farmaci immunomodulanti: baricitinib, un JAK inibitore, e tocilizumab, inibitore dell'IL-6. In entrambi i casi, la combinazione viene messa a confronto con remdesivir più placebo.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » giovedì 25 giugno 2020, 8:54

Dora ha scritto:
venerdì 19 giugno 2020, 5:39
AIFA: dare un farmaco ai malati sbagliati e poi interrompere la sperimentazione dicendo che non funziona? FATTO!

Ieri la notizia che l'AIFA ha interrotto prima della sua fine naturale uno studio randomizzato sul tocilizumab ha fatto il giro del mondo.
[...]
Ma che senso ha dare il tocilizumab a pazienti COVID che sono in una fase iniziale o non grave della malattia, quando questo farmaco serve per contrastare la tempesta di citochine (in particolare l'innalzamento ben oltre il livello fisiologico della IL-6) che può verificarsi quando l'infezione è in fase molto avanzata?
Anzi, impedire che l'IL-6 svolga la sua funzione nei limiti fisiologici non è addirittura controproducente?

Adesso i giornali all'estero ricordano il fiasco di un altro farmaco contro l'IL-6, il Kevzara di Regeneron, che ad aprile ha fallito in un trial di pazienti COVID. Ma quel trial era appropriato, perché i malati erano gravi. Non come questi 123 italiani.
Ora, io non ho una particolare simpatia per Paolo Ascierto, che ha trattato pazienti con tocilizumab a Napoli e ha cercato in tutti i modi la ribalta nei mesi scorsi. Ma mi pare che le sue obiezioni siano perfettamente fondate:
Sarei cauto nell'affermare che questo farmaco non funziona, a causa di una serie di limitazioni che riguardano lo studio in questione, che è giunto a conclusioni già note, su pazienti non gravi. [...] I dati che vengono fuori dallo studio emiliano - evidenzia il medico - non fanno altro che confermare risultati già noti. E c'è una serie di punti da notare: innanzitutto parliamo di due studi, il nostro 'Tocivid-19' e quest'ultimo, che arruolano due categorie di pazienti diversi. Nel trial emiliano i pazienti vengono trattati in una fase precoce e in una situazione più lieve, rispetto allo studio Tocivid-19. Ancora, nello studio emiliano per definire la risposta infiammatoria il paziente doveva corrispondere a una sola di queste tre situazioni: una misurazione della febbre al di sopra di 38° C negli ultimi 2 giorni, l'incremento della Pcr di almeno due volte il valore basale, oppure una Pcr sierica maggiore o uguale a 10 mg/dl. In pratica il paziente poteva anche solo avere avuto la febbre. Infine, i risultati riguardano 123 pazienti (anzi, la metà sono quelli effettivamente trattati essendo uno studio randomizzato): una coorte di sicuro piccola rispetto al Tocivid-19, che viene condotto su 330 pazienti, ma con una coorte osservazionale di oltre 2.500 pazienti. [...] La chiave - prosegue l'esperto - sta tutta nella tempesta citochinica: se non c'è, il farmaco non funziona. Questo medicinale, in fondo, viene studiato proprio per trattare questa complicanza e non serve per prevenirla.
Ho l'impressione che questo si prepari a diventare l'ennesimo passo falso commesso dall'AIFA in questa epidemia.

Contrordine compagni! Se dato ai malati "giusti", il tocilizumab funziona.

Ehm ...
Esce su The Lancet Rheumatology uno studio retrospettivo svolto in diversi centri dell'Emilia Romagna sul tocilizumab a pazienti con COVID-19 confermata da PCR e sintomi gravi. Serio e ben fatto, vi hanno partecipato anche persone ben note a chi si occupa di HIV - primo nome Giovanni Guaraldi, ultimo nome Cristina Mussini, e in mezzo tanti bravi medici e ricercatori:

Tocilizumab in patients with severe COVID-19: a retrospective cohort study

Su 544 pazienti, 365 hanno ricevuto le cure standard (ossigeno, idrossiclorochina, azitromicina, lopinavir/r, eparina a basso peso molecolare), mentre 179 oltre alle cure standard hanno ricevuto il tocilizumab (91 per via sottocutanea, 88 per via intravenosa) e il tocilizumab, sia che sia stato somministrato per via endovenosa o sottocutanea, si è dimostrato un successo: ha diminuito il rischio di morte e quello di progressione della malattia e di ventilazione meccanica.

Mentre nel gruppo di cura standard è morto il 20% dei pazienti, nel gruppo del tocilizumab "solo" il 7% (p<0,0001): una riduzione di un terzo.
Dopo gli aggiustamenti per sesso, età, centro di reclutamento, durata e gravità dei sintomi, il rischio di ventilazione invasiva e di morte nei pazienti trattati con tocilizumab è stato enormemente inferiore che nei pazienti trattati con cura standard.
Eventi avversi pari nei due gruppi.
Certo, è uno studio retrospettivo e non un trial randomizzato in cieco. Ma il campione è grande e la potenza statistica c'è.
Risultati incoraggianti anche se, come concludono gli autori, they should be confirmed in ongoing randomised studies.

Immagine

Immagine

Immagine

Immagine


Una conferma che l'interruzione del trial decisa la settimana scorsa non è stata propriamente una trovata brillante. D'altra parte non era stata una trovata brillante neppure la scelta dei pazienti.

Immagine

EDIT: mi era sfuggito che l'articolo di Guaraldi et al è accompagnato da un commento molto lusinghiero di Grant Schulert, reumatologo dello University of Cincinnati College of Medicine:

Can tocilizumab calm the cytokine storm of COVID-19?

Lusinghiero, perché nota come finalmente si tratti di uno studio molto ben condotto, a dimostrazione del fatto che è possibile lavorare in modo intelligente e razionale anche nel pieno infuriare di un'epidemia (d'altra parte, è la scuola di Modena e sappiamo che sono persone serie):
This study is the largest of its kind reported thus far and represents a crucial addition to the literature regarding tocilizumab in COVID-19. It is also an impressively rigorous effort undertaken at the height of the pandemic in northern Italy, with patients enrolled in a systematic manner with informed consent, standardised data collection, and predefined study outcomes. Dosing was also standardised at either 8 mg/kg (up to 800 mg) administered twice intravenously, or 162 mg administered subcutaneously in two simultaneous doses (81 mg in each thigh). These doses were based on pharmacokinetic data and were intended to mimic peak plasma concentration. Finally, patients receiving tocilizumab were compared with a contemporaneous cohort of controls with the same inclusion and exclusion criteria. The primary limitation of this study, and all cohort studies, is that the patients and controls were not randomly chosen, thus introducing both measurable and unknown potential biases. Patients were offered tocilizumab treatment mainly on the basis of availability of the drug, but potentially also because of both demographic and disease-specific factors. Indeed, the patients treated with tocilizumab were younger, and in Modena (where more granular clinical data was available), they were more likely to have comorbidities. Treated patients also had worse baseline oxygenation and SOFA scores, and those in Modena had more severe markers of cytokine storm, including higher C-reactive protein, IL-6, and lactate dehydrogenase concentrations, and worse thrombocytopenia. However, the authors adjusted results for several of the key variables and found no differences based on these strata.

This study adds key new information to our understanding of tocilizumab in COVID-19. Previous studies of tocilizumab in COVID-19 have largely been encouraging, but either did not have a matched comparator group, did not match to contemporaneous controls, or were small and probably underpowered for key safety and efficacy outcomes. This study provides strong evidence that tocilizumab might prevent intubation and death in adults with severe COVID-19 pneumonia. These findings are also in agreement with emerging evidence that, in the setting of COVID-19-induced cytokine storm, immunosuppressive treatments might be most helpful earlier in the disease: after the onset of severe disease but before florid respiratory failure. The precise group of patients who might benefit from tocilizumab and the optimal biomarkers for identifying cytokine storm in the setting of COVID-19 remain unknown. The most crucial question concerns the relative utility of tocilizumab treatment versus other non-specific immunomodulatory agents (including corticosteroids) and other cytokine-directed therapies, which is the focus of multiple ongoing randomised trials.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » giovedì 25 giugno 2020, 15:42

Immagine

Parere positivo del Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP); e dunque richiesta di autorizzazione condizionale all'immissione in commercio in Europa per Veklury (remdesivir).



Articolo su Pharmastar:

Approvazione europea preliminare per remdesivir, primo farmaco validato anti Covid



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » lunedì 29 giugno 2020, 16:01

Gilead ha fissato il prezzo del remdesivir per i Paesi ricchi: 390 $ a fiala, cioè 2.340 $ a trattamento (5 giorni, 6 fiale).
We have decided to price remdesivir well below this value. To ensure broad and equitable access at a time of urgent global need, we have set a price for governments of developed countries of $390 per vial. Based on current treatment patterns, the vast majority of patients are expected to receive a 5-day treatment course using 6 vials of remdesivir, which equates to $2,340 per patient.
2.340 $ per un trattamento che ha un tasso di successo del 33%.
Complimenti.



Rispondi