bluflame ha scritto:il ritornello del "non ci sono categorie a rischio" mi ha proprio stancato.
Questa tua rivelazione mi conforta: un membro in più nel club di quelli che si prendono regolarmente dei *fascisti! omofobi! retrogradi!*, perché della correttezza linguistica che impedisce di vedere che le tanto bistrattate categorie a rischio sono una triste e vitalissima realtà NON NE POSSONO PIÙÙÙÙÙ.
Di come si faccia prevenzione so troppo poco per discuterne, ma mi sono sempre chiesta che senso abbia parlare negli stessi termini e con gli stessi argomenti di HIV a un adolescente gay, a una donna eterossessuale e magari pure a un etero 60enne.
Non ero mai arrivata tanto lontano. Dipende probabilmente dalla mia lontananza dalle associazioni, dal loro modo di elaborare culturalmente la realtà e dal modo in cui i loro meccanismi interni devono interagire con l'ambiente - anche politico/istituzionale - circostante.dietro ci sta l'ostilità e la distanza di chi non vuole occuparsi della salute di chi ha più bisogno.
Ma quello che dici su ostilità e distanza mi offre una chiave di lettura nuova per un problema che mi sono sempre posta: perché una associazione con diffusione capillare come l'Arcigay non ha affrontato per tempo la recrudescenza delle infezioni nel mondo omosessuale? I segnali per vederla (e chissà? magari anche prevenirla) c'erano tutti.
La mia speranza è che la nascita di PLUS e il lavoro che persone come Sandro Mattioli stanno facendo aiutino la dirigenza di Arcigay (e di riflesso quella di altre associazioni nazionali, la LILA in primo luogo) a sviluppare un'attenzione meno ideologica, più flessibile e profonda alla prevenzione dell'HIV nel mondo omosessuale. Insomma, a tirar fuori un po' di intelligenza.
Grazie Bluflame, la sto leggendo e mi pare utilissima.ho trovato questa bella presentazione sul modello delle syndemics vs. resilienza negli msm
http://www.fenwayhealth.org/site/DocSer ... docID=7623