Come un sasso caduto in un bicchiere

Divagazioni...
Dora
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Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Dora » mercoledì 9 ottobre 2013, 14:10

Oggi il Corriere ripropone un articolo che Dino Buzzati scrisse per il giornale l'11 ottobre 1963.

Natura crudele

Stavolta per il giornalista che commenta non c'è compito da risolvere se si può, con il mestiere e con la fantasia e col cuore. Stavolta per me, è una faccenda personale perché quella è la mia terra, quelli i miei paesi, quelle le mie montagne, quella la mia gente. E scriverne è difficile!
Un po’ come se a uno muore un fratello e gli dicono che a farne il necrologio deve essere proprio lui.
Conosco quei posti così bene, ci sono passato tante centinaia e forse migliaia di volte che da lontano posso immaginare tutto quanto come se fossi stato presente.
Per gli uomini che non sanno, per i paesi antichi e nuovi sulla riva del Piave, là dove il Cadore dopo tante convulsioni di valloni e di picchi apre finalmente la bocca sulla pianura e le montagne per l'ultima volta si rinserrano le une alle altre, è soltanto una bellissima sera d'ottobre.
In questa stagione l'aria è lassù limpida e pura e i tramonti hanno delle luci meravigliose. Ecco, il sole è scomparso dietro le scoscese propaggini dello Schiara, rapidamente calano le ombre, giù dalle invisibili Dolomiti comincia a soffiare un vento freddo, qua e là si accendono e si spengono i lumi, i buoi si assopiscono nelle stalle, gruppetti operai dalla fabbrica di faesite pedalano canterellando verso casa, un'eco di juke box con la rabbiosa vocetta di Rita Pavone esce dal bar trattoria con annessa colonnetta di benzina, rare macchine di turisti passano sulla strada di Alemagna, la stagione delle vacanze è finita. Proprio di fronte a Longarone la valle del Vajont è già buia, più che una valle è un profondo e sconnesso taglio nelle rupi, un selvaggio burrone, mi ricordo la straordinaria impressione che mi fece quando lo vidi per la prima volta da bambino, a un certo punto la strada attraversava l'abisso, da una parte e dall'altra spaventose pareti a picco.
Qualcuno mi disse che era il più alto ponte d'Italia, con un vuoto sotto, di oltre cento metri. Ci fermammo e guardai in giù con il batticuore.
Bene, proprio a ridosso del vecchio e romantico ponticello era venuta su la diga e lo aveva umiliato.
Quei cento metri di abisso erano stati sbarrati da un muro di cemento, non solo; il fantastico muraglione aveva continuato ad innalzarsi per altri centocinquanta metri sopra il ponticello e adesso giganteggiava più vertiginoso delle rupi intorno, con sinuose e potenti curve, immobile eppure carico di una vita misteriosa.
Notte. Due finestre accese nella cabina comandi centralizzati, nell’acqua del lago artificiale si specchia una gelida fascetta di luna, ronzii nei fili, giù nel tenebroso botro lo scrosciare dello scarico di fondo, a Longarone. Scheda
Faè, Rivalta, Villanova dormono, ma c'è ancora qualcuno che contempla il video, qualcuno nell'osteria intento all'ultimo scopone. In quanto alle montagne esse se ne stanno immobili, nere e silenziose come il solito.
No, a questo punto l'immaginazione non è più capace di proseguire, la valle, i monti, i paesi, le case, gli uomini, tutto riesco ad immaginare nella notte tranquilla poiché li conosco così bene, ma adesso non bastano le consuetudini e i ricordi. Come ricostruire ciò che è accaduto, la frana, lo schiantamento delle rupi, il crollo, la cateratta di macigni e di terra nel lago? E l'onda spaventosa, dal cataclisma biblico, che è lievitata gonfiandosi come... Sì come un immenso dorso di balena, ha scavalcato il bordo della diga, è precipitata a picco giù nel burrone, avventurandosi, terrificante bolide di schiuma, verso i paesi addormentati. E il tonfo nel lago il tremito della guerra, lo scrole dell'acqua impazzita, il frastuono della rovina totale, coro di boati stridori, rimbombi, cigolii, scrosci, urla, gemiti, rantoli, invocazioni, pianti? E il silenzio alla fine, quel funesto silenzio di quando l'irreparabile è compiuto, il silenzio stesso che c'è nelle tombe?
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Non è che si sia rotto il bicchiere quindi non si può, come nel caso del Gleno, dare della bestia a chi l'ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d'arte, testimonianza della tenacia, del talento, e del coraggio umano.
La diga del Vajont era ed è un capolavoro perfino dal lato estetico.
Mi ricordo che mentre la facevano l’ingegnere Gildosperti della S.A.D.E. Scheda mi portò alla vicina centrale di Soverzene dove c'era un grande modello in ottone dello sbarramento in costruzione ed era una scultura stupenda, Arp e Brancusi ne sarebbero stati orgogliosi.
Intatto, di fronte ai morti del Bellunese, sta ancora il prestigio della scienza, dell'ingegneria, della tecnica, del lavoro.
Ma esso non è bastato. Tutto era stato calcolato alla perfezione, e quindi realizzato da maestri, la montagna, sotto ai lati, era stata traforata come un colabrodo per una profondità di decine e decine di metri e quindi imbottita di cemento perché non potesse poi in nessun caso fare dei brutti scherzi, oppure apparecchiature sensibilissime registravano le più lievi regolarità o minimi sintomi di pericolo. Ma non è bastato. Ancora una volta la fantasia della natura è stata più grande ed asciutta che la fantasia della scienza. Sconfitta in aperta battaglia, la natura si è vendicata attaccando il vincitore alla spalle. Si direbbe quasi che in tutte le grandi conquiste tecniche, stia nascosta una lama segreta e invisibile che a un momento dato scatterà.
Intatto, e giustamente, è il prestigio dell'ingegnere, del progettista, del costruttore, del tecnico, dell'operaio, giù fino all'ultimo manovale che ha sgobbato per la diga del Vajont, ma la diga, non per colpa sua è costata diecimila morti. I quali morti non sono della Cina o delle Molucche, ma erano gente della mia terra che parlavano come me, avevano facce di famiglia e chissà quante volte ci siamo incontrati e ci siamo dati la mano e abbiamo chiacchierato insieme. E il monte che si e' rotto e ha fatto lo sterminio è uno dei monti della mia vita il cui profilo è impresso nel mio animo e mi rimarrà per sempre. Ragione per cui chi scrive si trova ad avere la gola secca e le parole di circostanza non gli vengono. Le parole incredulità, orrore, pietà, costernazione, rabbia, pianto, lutto, gli restano dentro col loro peso crudele.

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Puzzle
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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Puzzle » mercoledì 9 ottobre 2013, 15:36

Avevo 6 anni e ricordo ancora bene quando avvenne la tragedia. Ricordo che con mio padre andammo lassù con la sua Fiat Topolino per vedere quei luoghi poco tempo dopo il disastro. Erto e Casso all'epoca erano provincia di Udine e qui del Vajont se ne è sempre parlato, si è smesso di parlarne quando c'è stato il terremoto del '76. Nonostante ciò che si è detto e si è scritto in tutti questi anni, non sono mai riuscito a sapere chi è stato l'ingegnere che ha fatto i calcoli strutturali della diga, perché in questa grande tragedia è stato merito suo il fatto che abbia retto a quella forza d'urto enorme e non abbia ceduto. Ho ancora una fotografia dove si vede che l'enorme massa d'acqua che l'ha saltata ha solo scalfitto la balaustra superiore lasciandola intatta, e così rimarrà ancora per molti secoli, 360.000 m³ di calcestruzzo come monumento alla cupidigia umana.



Dora
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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Dora » mercoledì 9 ottobre 2013, 16:08

Io quello che mi chiedo è come facesse Buzzati ad essere così fatalista, quando le responsabilità umane parevano fin dall'inizio enormi.
La natura è cattiva e lo sappiamo tutti. Ma quella che tu chiami cupidigia umana ci ha ben messo del suo, no?



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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da uffa2 » mercoledì 9 ottobre 2013, 16:41

Alla fine è stato un insieme di bieca superficialità e cocciutaggine: un monte la cui storia e il cui nome (il “monte marcio”, giacché questo voleva dire “Toc” nel dialetto locale) parlavano di frane da tempi immemorabili, una costellazione di eventi sentinella recentissimi e decisioni sciagurate da parte di chi non ha mai avvertito la responsabilità verso chi abitava quei luoghi.
Una strage, per la quale ovviamente pagarono (e pure poco) le solite poche comparse.


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Puzzle
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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Puzzle » mercoledì 9 ottobre 2013, 16:54

Dora ha scritto:Io quello che mi chiedo è come facesse Buzzati ad essere così fatalista, quando le responsabilità umane parevano fin dall'inizio enormi.
La natura è cattiva e lo sappiamo tutti. Ma quella che tu chiami cupidigia umana ci ha ben messo del suo, no?
Non quanto subito dopo il disastro si sia cercato di insabbiare le responsabilità, oggi di materiale sul Vajont ce n'è molto e nell'era internet è a disposizione. Il punto focale della vicenda è che le perizie geologiche esistevano, i segni premonitori c'erano (soprattutto dopo le prime frane e i primi cedimenti) e gli avvertimenti erano stati dati, ma sono stati ignorati. La natura non è cattiva, né buona, perché non ha alcuna morale. L'unico fine della natura è la ricerca dell'equilibrio, come i 270 milioni di m³ di terra che dopo aver perso la coesione, hanno solo cercato l'equilibrio verso il basso, spinti dalla legge di gravità.



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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Puzzle » mercoledì 9 ottobre 2013, 17:06

uffa2 ha scritto:Alla fine è stato un insieme di bieca superficialità e cocciutaggine
Non per fare il complottista, però un tantino di suo qualcuno ce l'ha messo per continuare imperterriti, era il periodo della statalizzazione dell'energia per cui la SADE sarebbe entrata a far parte dell'ENEL e la chiusura di quella centrale qualche problema l'avrebbe comportato.



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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da uffa2 » mercoledì 9 ottobre 2013, 17:10

No guarda, fu peggio, non c'era neppure il movente immediatamente economico... eventuali problemi alla diga non avrebbero impedito (come non hanno di fatto impedito) il passaggio di quella società all'ENEL... solo che non si voleva ammettere che dei problemi ci fossero, e qualcuno ha giocato all'apprendista stregone sulla pelle di una vallata, mentre piccole e grandi frane già avevano annunciato la catastrofe...


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Re: Come un sasso caduto in un bicchiere

Messaggio da Puzzle » mercoledì 9 ottobre 2013, 17:51

Non intendevo in termini di mancata acquisizione, quanto in perdita di valore. Quindi immagino che la centrale doveva lavorare al massimo della potenza e che qualcuno avrà voluto strafare. Ho letto nelle cronache ricostruite del periodo antecedente che l'invaso è stato riempito oltre il massimo consentito e sembra si sia iniziata l'opera di svuotamento solo dopo che era stato dato l'allarme, ovvero si vedevano gli alberi del pendio inclinati, e la strada sul Toc era diventata impraticabile.



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