Mi permetto di sfancularvi tutti, in maniera ecumenica e democratica.
Tutte le vostre ricostruzioni sono per me manichee e superficiali.
Io sono un convinto kossighiano, che negava la matrice fascista dell’attentato, diceva essere palestinese ma, in realtà, era abbastanza convinto che si fosse trattato d’un “accidente”, forse nella decisione, forse nell’evento stesso.
La mia personalissima opinione è che quei quindici anni circa che vanno dal ’68 al sequestro Dozier siano un inestricabile verminaio in cui fatti, responsabilità e caso si sono mescolati in maniera irreversibile, per impedire qualsiasi accesso alla “verità”.
Forse potremo farci delle opinioni “politiche” sulle responsabilità, ma mai nulla di più.
L’Italia è stata a lungo il crocevia di trame, traffici e trattative d’ogni genere, in una mescolanza da romanzo di spionaggio, in cui l’alleato era allo stesso tempo il traditore, lo Stato praticamente non esisteva e i suoi organi e rappresentanti ritenevano di avere ciascuno titolo a non essere fedeli alla propria filiera di comando o di legittimazione. Partiti politici al soldo del nemico militare, i cui militanti avevano ancora le armi in cantina, altri fedeli solo al loro imprersentabile passato, organismi di difesa che –non avendo fiducia nello Stato- lo bypassavano per fare politica direttamente, accordandosi coi servizi segreti di paesi “alleati”, i quali a differenza dei nostri sapevano bene che bandiera servire.
Ci sono stati il prolungamento della guerra civile del ’43-’45 e lo svolgimento di un’altra guerra –quella cosiddetta “fredda”- con gruppi armati finanziati e difesi da paesi stranieri, perché in Italia, diversamente che in Grecia, nei Caraibi, in America Latina e nell’estremo Oriente, non si potevano muovere direttamente gli eserciti.
Poi ci sono stati il caso, l’incapacità di molti investigatori, molte storie personali che si sono incrociate aumentando l’inintelligibilità.
Ci sono stati questurini che “volevano credere” alla matrice anarchica di piazza Fontana, altri per il quali Bologna doveva essere una strage “nera”, investigatori per cui era più comodo che il DC9 I-TIGI si fosse spezzato in due da solo (ricordo ancora un articolo su un settimanale, che parlava di “carrette dei cieli”) piuttosto che fosse rimasto vittima di una bomba o di uno scontro militare nei cieli del Mediterraneo che, per la sicurezza di tutti, era meglio negare fino alla fine dei giorni.
È il destino di questo tipo di eventi, ed è per questo che personalmente sono favorevole all’oblio: se non è possibile capirci qualcosa, se qualunque spiegazione sarà sempre macchiata dal dubbio, è meglio dimenticare.
Ciò che veramente impedisce questo sano esercizio è una peculiarità tutta italiana: una classe politica più che longeva, che vive nel passato e combatte ancora oggi la seconda guerra mondiale.
Gli Stati Uniti hanno avuto le morti dei Kennedy, eppure sono andati avanti, noi stiamo ancora a discutere quali gonfaloni debbano essere presenti alle varie ricorrenze funebri che affollano il nostro calendario civile.
Addio, manichei!
