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Tarek
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Messaggio da Tarek » giovedì 26 luglio 2012, 17:26

Ultimamente si é parlato di Diritto al lavoro che molti individuano come dignitá dell'uomo poiché, se la nostra societá é basata sul capitalismo, se non si fosse il lavoro, mancherebbero le basi della dignità, ma, viceversa, se non si tutela la "ricchezza" dello Stato si determinano conflitti di interesse poiché il depauperamento sociale sará l'unica soluzione alla crisi attuale .
Poi ci sono stati dei tafferugli o prese di posizione di utenti che si sono dissociati dalla "res publica". Sia la dignità dei sieropositivi schierati in una linea di condanna contro il ciarlatanismo, sia la dignitá dell'indivuduo tout court, si sono scontrate secondo la propria morale. Riporto qui di seguito un bel saggio di Jurgen Habermas "Questa Europa è in crisi (anticorpi)" per intendere la lama a doppio taglio chiamata dignità.

La funzione compromissoria che la «dignità umana» ha adempiuto nel corso della differenziazione ed estensione dei diritti dell’uomo, occasionalmente anche al fine di neutralizzare differenze insormontabili, non riesce a spiegare la sua tarda comparsa come concetto giuridico. Nel 1944 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) già si avvale in un contesto consimile della retorica dell’integrale dignità umana. E pochi anni dopo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’articolo 22 già esige la concessione di diritti economici, sociali e culturali affinché ognuno possa vivere in condizioni che sono «indispensabili per la sua dignità e il libero sviluppo della sua personalità». Da allora parliamo di diverse «generazioni» di diritti dell’uomo. Dalla funzione euristica della dignità umana si dischiude anche la connessione logica delle quattro note categorie dei diritti: i diritti fondamentali possono mantenere la promesssa morale di tenere politicamente conto della dignità umana di ciascuno soltanto allorché cooperano uniformemente in tutte le loro categotie. Da un lato sta la morale interiorizzata, ancorata nella coscienza soggettiva e razionalmente fondata, che in Kant si forma totalmente nell’ambito dell’intelligibile; dall’altro il diritto cogente, posto in essere in termini positivi, che ai sovrani assoluti e ai vecchi parlamenti corporativi serve da strumento organizzativo, manovrato dal potere, per costruire la macchina dello Stato moderno e il mercato capitalistico. Il concetto dei diritti dell’uomo si deve a una inverosimile sintesi di questi due elementi...

Per Hobbes e il diritto moderno è determinante l’autorizzazione conferita paritariamente a tutte le persone di poter fare o non fare nell’ambito della legge ciò che gli talenta. Coloro che agiscono assumono un’altra prospettiva quando, anziché osservare i comandamenti morali rivendicano i loro diritti. In un rapporto morale l’una persona si domanda di che cosa è debitrice a un’altra persona, del tutto indipendentemente da quale rapporto sociale abbia con lei, da quanto estranea l’altra persona sia, da come questa si comporti e da che cosa da lei ci si possa attendere. Le persone che si trovano tra loro in un rapporto giuridico reagiscono invece a rivendicazioni che l’altro di volta in volta avanza nei loro confronti. In una comunità basata sul diritto, per la prima persona si ingenerano degli obblighi solo in seguito a rivendicazioni che una seconda persona può muovere contro di lei. Immaginiamoci un funzionario di polizia che voglia strappare a una persona sospetta una confessione con la minaccia antigiuridica di torturarla. Nel ruolo della persona morale, già a questa minaccia, per non dire dei dolori che causerebbe, costui avrebbe una cattiva coscienza, qualunque fosse l’atteggiamento del delinquente. Un rapporto giuridico fra il funzionario di polizia che agisce illegalmente e l’interrogato si attualizza solo allorché quest’ultimo oppone resistenza e rivendica il suo diritto (o un procuratore dello Stato reagisce alla violazione giuridica). Naturalmente, la persona minacciata è in entrambi i casi una fonte di rivendicazioni normative, che dalla tortura vengono violate. Per la cattiva coscienza del responsabile della tortura è sufficiente che la morale sia violata dall’azione commessa, mentre il rapporto giuridico oggettivamente violato resta latente sinché non sia attualizzato dalla rivendicazione avanzata da qualcuno.

Klaus Günther vede perciò nel «passaggio da obblighi morali reciproci a diritti reciprocamente istituiti e ammessi» un atto «di autoautorizzazione ad autodeterminarsi». Il passaggio dalla morale razionale al diritto razionale esige un cambiamento dalle prospettive simmetricamente incrociate della considerazione e dell’apprezzamento dell’autonomia altrui alle rivendicazioni del riconoscimento e dell’apprezzamento della propria autonomia da parte dell’altro. In luogo dell’attenzione moralmente offerta all’altro vulnerabile subentra la consapevole esigenza di un riconoscimento giuridico di sé in quanto soggetto autodeterminato che «vive, sente e opera sulla base del proprio giudizio». Il riconoscimento reclamato dai cittadini va oltre il reciproco riconoscimento morale di soggetti responsabilmente agenti; ha il senso convincente del rispetto richiesto per uno status ricevuto meritatamente e si nutre sotto questo aspetto delle connotazioni di quelle «dignità» che un tempo erano legate all’appartenenza a stimate corporazioni. (b) Il concetto concreto di dignità o di «onore sociale» appartiene al mondo delle società tradizionali articolate in gerarchie. In quelle società una persona poteva acquisire la sua dignità e il rispetto di sé per esempio dal codice d’onore della nobiltà, dall’ethos delle corporazioni artigianali o dalla coscienza corporativa delle università. Ora, se queste dignità connesse con uno status, che figurano al plurale, vengono contratte nella dignità generale «dell’»uomo, questa nuova, astratta dignità perde le qualità di volta in volta peculiari proprie di un ethos corporativo. Al tempo stesso, però, anche la dignità universalizzata, che spetta in eguale misura a tutte le persone, conserva la connotazione di un rispetto di sé che poggia su un riconoscimento sociale. Al pari di una simile dignità anche la dignità umana desidera fortemente ancorarsi a uno status civile, cioè a una appartenenza a una comunità organizzata nello spazio e nel tempo. Ora però lo status deve essere per tutti il medesimo. Il concetto di dignità umana trasmette il contenuto di una morale tesa all’eguale considerazione per ogni persona con il rango di status di cittadini, i quali attingono il rispetto che hanno di sé dal fatto di essere riconosciuti da tutti gli altri cittadini come soggetti con gli stessi diritti rivendicabili per vie legali. Non è tuttavia irrilevante che questo status possa essere stabilito soltanto nell’ambito di uno Stato costituzionale, il quale non nasce mai spontaneamente. Lo Stato costituzionale deve essere prodotto con gli strumenti del diritto positivo dai suoi stessi cittadini, e difeso e fatto progredire in circostanze storicamente mutevoli.

Jeremy Waldron richiama l’attenzione sul paradossale dato di fatto che il concetto egualitario di dignità umana risulti dalla generalizzazione di dignità particolaristiche, che non può perdere completamente la connotazione delle «sottili differenze»: «Associata un tempo alla differenziazione gerarchica di rango e status, la ‘dignità’ trasmette ora l’idea che tutte le persone umane appartengono allo stesso rango e che si tratta di un rango molto elevato». Waldron si figura la generalizzazione in questi termini: ora tutti i cittadini occupano un posto il più alto possibile nella vita sociale, per esempio quello che un tempo era riservato all’aristocrazia. Ma questo riesce a cogliere il senso della medesima dignità umana di ciascuno? Anche i precursori diretti che il concetto di dignità ha nella filosofia greca (soprattutto nella Stoà), e nell’umanesimo romano (per esempio in Cicerone) non costituiscono un ponte semantico al senso egualitario del concetto moderno. La dignitas humana si spiega a quell’epoca in forza del posto ontologicamente d’eccellenza occupato dall’uomo nel cosmo, e in forza del rango peculiare a lui riservato per le qualità, come la ragione e la riflessione, del genere cui appartiene, rispetto agli esseri viventi «inferiori». La superiore valenza della specie può forse costituire una salvaguardia, ma non fondare l’intangibilità della dignità della singola persona come fonte di esigenze normative.

Per chi volesse conoscere anche il pensiero di http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Schmitt. Habermas lo cita spesso nel suo saggio



isabeau
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Re: Dignità&Forum

Messaggio da isabeau » martedì 31 luglio 2012, 20:21

sempre dal l'Eco posto sta' lettera della Bruna..una delle tante ke sono arrivate in redazione, quella ke più mi e' "piaciuta"
http://www.ecodibergamo.it/stories/Cron ... ia_dignit/



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