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LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 9:47
da stealthy
Io proprio non lo reggo questo presidente Obama. Il peggior presidente che gli USA abbiano mai avuto. Sta destabilizzando gli equilibri del mondo.
Romney sarà un mormone ma io fossi cittadino statunitense voterei senza dubbio per il repubblicano Romney

[Youtube]https://www.youtube.com/watch?v=eEzSaQgbM6s[/youtube]

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 11:49
da skydrake
stealthy ha scritto:Io proprio non lo reggo questo presidente Obama. Il peggior presidente che gli USA abbiano mai avuto. Sta destabilizzando gli equilibri del mondo.
Romney sarà un mormone ma io fossi cittadino statunitense voterei senza dubbio per il repubblicano Romney

[Youtube]https://www.youtube.com/watch?v=eEzSaQgbM6s[/youtube]
Se permetti, hanno avuto presidenti ben peggiori

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 11:57
da uffa2
Beh sì, Jimmy Carter :lol:

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 12:00
da uffa2
Al di là della battuta, che però rappresenta la verità del disastro dell’abbronzatissimo marito di Michelle, se devo dire il vero mi pare che la battaglia sia tra due titani dell’impresentabilità: da un lato un presidente che ha seminato guai più o meno ovunque, e dall’altro un signore che mi sembra un Berlusconi meno elegante…
Ma di che mi preoccupo, poi, già c’ho i miei di guai al pensiero dello schifo delle prossime elezioni di primavera :(

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 12:34
da skydrake
Il mio punto di vista è piuttosto è che, invece di riparare ai danni di Bush, non ha fatto nulla per quanto riguarda i meccanismi finanziari del mercato USA. Qualche intervento sui paradisi fiscali ma dentro casa si è limitato a parlare di riattribuire alcuni dei poteri sottratti alla SEC (equivalente della nostra CONSOB) e nulla di più. Le varie JPMorgan, Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley e Goldman Sach (non la Lenhman Brothers, quella è fuori uso), dopo aver causato la crisi del 2008, continuano a speculare come prima.
I suoi massimi interventi sono stati massicci iniezioni di liquidità con gli stimoli per l'economia e promuovere la politica di quantitative easing non convenzionale della Fed, sempre a spese del contribuente americano, oltre alla riforma della sanità americana, riforma che porterà risparmi fra molti anni ma che per ora aumenterà ulteriormente il debito americano, ormai al 100% del PIL (per il calcolo pro-capite, tenete conto che in USA sono 314 milioni di persone con un reddito pro-capite di circa 48.000 dollari annui):

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e con un deficit poco sotto il 10% annuo:

Immagine

Se non tagliano subito la spesa entro il 2018 si ritroveranno in una situazione peggio di quella europea (tutto più velocemente, tutto di un botto e senza ammortizzatori sociali).
Considerando che la Cina sta' "misteriosamente" accumulando oro 5 volte in più di quanto ufficialmente stia dichiarando (sommando i singoli acquisti sui mercati internazionali):
http://www.zerohedge.com/contributed/20 ... d-currency
http://www.zerohedge.com/news/hoarding- ... d-reserves
http://www.zerohedge.com/news/china-imp ... d-holdings

e che l'Europa è già KO, ho il sospetto che la nuova moneta di riserva valutaria per la prossima decade non sarà più il dollaro, nè tantomeno l'euro, bensì lo yuan-renminbi, oppure un paniere con dentro una significativa quota di yuan-renminbi.

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: mercoledì 17 ottobre 2012, 23:05
da Tarek
Recentemente ho letto "Obama contro Obama, il destino di un Presidente" di Mario Margiocco . Non riporto tutte le sottolineature (sono troppe) ma Obama ha scelto tutti economisti di Wall Street gli stessi che hanno lavorato con Bill Clinton e che hanno creato la bolla finanziaria. In pratica, in questi 4 anni, l'amministrazione Obama ha salvato le banche e continua a rifinanziare tutta questa carta straccia già scaduta e che nessuno sa come pagare. Il F.M.I. ha riveduto al ribasso il PIL mondiale (3,5 per cento) e la Cina, se non ha dove vendere (il Brasile è sceso al 1,5 per cento del PIL e vende materie prime ferrose sopratutto alla Cina) non ha neanche i soldi per pagare l'oro che oscilla secondo la domanda/offerta (friendless aveva postato un articolo del Sole24 sulla quotazione dell'oro in discesa e parlava appunto dei paesi emergenti che non comprano più). Il debito pubblico americano é un problema "marginale" per gli amerikani che si possono permettere di stampare dollari. Gli americani sono abituati a spendere e perciò il futuro è Romney ma le alternative non ci sono.

Re: LGBT for Obama - ma anche no!

Inviato: giovedì 18 ottobre 2012, 2:45
da Tarek
Barack Obama aveva ottenuto la nomination democratica con una campagna decisamente di sinistra, nella tradizione del suo partito. Gli amici di Wall Street erano nel clan dei Clinton. Obama li sfidava. E lo ha fatto fin dal primo giorno, all’appuntamento pre-campagna in Iowa, nel novembre 2007, dove lanciò quello che sarebbe stato l’argomento per battere Hillary Clinton: basta triangulation, il metodo clintoniano di assumere posizioni “mediane” tra repubblicani e democratici in nome di una “visuale superiore”, come dal vertice di un triangolo; basta strapotere ai lobbisti. Riprendiamoci il partito, diceva Obama, lasciando abilmente intendere che la sua avversaria alla nomination era una screditata prigioniera del passato, dal voto per l’intervento in Iraq alla sua fallita riforma sanitaria dei primi anni Novanta. Battuta Hillary Clinton, dopo tante fotografie rassicuranti in pose riflessive accanto a un didattico Volcker, il candidato alla presidenza incominciò, dal giugno 2008, a imbarcare nella sua squadra qualche uomo dei Clinton, e a fine novembre, quando ormai lo sfascio finanziario era evidente, aveva recuperato tutta la loro squadra economica. Geithner al Tesoro e come stratega-principe dell’economia Lawrence Summers, ultimo ministro del Tesoro di Clinton, fra i massimi protagonisti della deregulation selvaggia e della cocciuta illusione di una nuova economia cornucopia per tutti (certamente per lui, ben remunerato da Wall Street come consulente). E giù giù fino all’attuale capo dello staff della Casa Bianca, cioè primo ministro del presidente, Jacob Lew, e al suo immediato predecessore, William Daley, entrambi uomini dei Clinton e di Wall Street. Perché l’ha fatto? Perché Obama non ha seguito le orme di Franklin D. Roosevelt, che prese di petto gli irresponsabili signori del denaro? Ci sono delle differenze di epoca, e delle attenuanti per Obama, come vedremo. La questione tuttavia rimane aperta. Nel corso di questo lavoro cercheremo di dare qualche risposta. La prima è che Obama non è Roosevelt. L’attuale presidente ha in un certo senso squandered his credibility, ‘distrutto la sua credibilità’, e lo ha fatto fin dall’inizio schierandosi con le grandi banche e garantendo loro il tipo di salvataggio più gradito, che era poi quello già avviato da Paulson, e addirittura “migliorandolo”2. «Nessun salvataggio a buon mercato, nessun regalo, nessuna impunità», diceva Obama a tre anni esatti dal suo insediamento, quando tutto era già stato concesso. C’è una differenza tra il tenere giustamente a freno istinti vendicativi e rabbie popolari non sempre limpide e la copertura delle responsabilità. Sono trascorsi più di tre anni da allora. L’industria dell’auto, General Motors e Chrysler, non è più in rianimazione, dopo l’intervento del contribuente. Una parte dei prodotti-spazzatura della finanza innovativa ha recuperato qualche valore. Ma le grandi banche reggono solo grazie alla fed e al bassissimo costo, per loro, del denaro. I problemi maggiori sono solo accantonati, occorre ancora tempo, e non è facile avere un quadro abbastanza chiaro, almeno per l’elettore medio. I giornali hanno fatto bene il loro dovere di informazione, tre anni fa, e continuano a farlo; sono state realizzate decine di grosse inchieste tv e qualche film, ma i temi restano complessi. Obama potrebbe ancora farcela se l’economia crescesse, il lavoro aumentasse e i repubblicani continuassero a perdersi dietro feroci attacchi a Washington, dimenticando che è la loro Washington, da Ronald Reagan e George W. Bush, che ha generato i danni maggiori (con un buon aiuto da parte di Bill Clinton e di tutte le maggioranze congressuali di quegli anni). Se Barack Obama vincerà ancora, a un anno da oggi o poco più sarà possibile capire quanto l’uomo sia consapevole di essere uno statista, o se rimanga un opportunista. Ultima annotazione. Il lettore italiano forse dovrebbe cercare di non leggere la sfida elettorale in corso negli Stati Uniti con lo schema classico del Novecento europeo, quello di destra-sinistra. Lo schema ha delle verità perenni, la differenza tra “have” and “have not”, ricchi e poveri, ma non sempre le categorie funzionano, soprattutto in America. Oggi negli Stati Uniti si parla piuttosto di un 1 per cento, i veri ricchi, e del 99 per cento, tutti gli altri, la metà dei quali non sono esattamente degli “have not”. Osservando la realtà americana occorre tenere presente, soprattutto oggi, la pervasiva categoria del “populismo”, termine che negli Stati Uniti ha una connotazione non necessariamente negativa come in Europa, dove equivale genericamente a “irrazionale demagogia”. In America, “populismo” è anche dignità del common man, Main Street che si ribella a Wall Street, il paese “vero” contro i signori del denaro. Da Andrew Jackson in poi, il populismo americano si oppone allo spettro dei grandi banchieri e dei grandi speculatori, racchiusi nella generica etichetta “Wall Street”, che minacciano l’economia reale, fatta di fabbriche, uffici, fattorie e di una classe media che vive non di rendita, ma di lavoro. Il nemico del populismo è il banchiere fedifrago, fuggitivo, corrotto e senza scrupoli, l’apologeta del business di Ombre rosse di John Ford, Gatewood, che nella diligenza in corsa proclama il suo credo truffaldino. Purtroppo per loro, i repubblicani non riescono, oggi meno che mai, a formulare un messaggio che risponda alla realtà, troppo spesso negano le enormi responsabilità delle grandi banche, e questa volta potrebbero lasciare a troppi common men eccessivi sospetti e incertezze, e perdere voti. Non è ancora chiaro quanto il candidato repubblicano, rappresentante di un partito dalle idee oggi quanto mai confuse, possa essere una minaccia. Ma, come tutti i presidenti che chiedono la rielezione, Obama dovrà confrontarsi con le promesse fatte quattro anni fa, con le emozioni sollevate allora e con i risultati di oggi. C’è l’Obama, come ricordava Arianna Huffington sul suo quotidiano online «Huffington Post», che accettando l’investitura democratica del 2008 diceva: «[...] il più grosso rischio che possiamo correre è riproporre le stesse vecchie politiche con la stessa gente e aspettarci un risultato diverso». E c’è l’Obama che due mesi dopo o poco più, appena vinte le elezioni, presentava così un uomo chiave della sua squadra: «Ha aiutato a guidare la nazione attraverso varie crisi internazionali, sono contento che sia al mio fianco e farò molto affidamento sui suoi consigli». L’uomo era Lawrence Summers, ministro del Tesoro di Clinton e uno dei massimi responsabili di una crisi che ora era chiamato a risanare. E su cui avrebbe sbagliato tempi e diagnosi. Di quale dei due Obama si ricorderanno gli elettori il 6 novembre 2012?Tutto, o quasi, dipenderà dall’economia. Persino un’eventuale bocciatura a giugno 2012 della riforma sanitaria da parte della Corte Suprema potrebbe essere superata se la disoccupazione, fra sei mesi, fosse sotto l’8 per cento – un tasso in passato punitivo per qualunque nazione, ma di questi tempi un trend incoraggiante – e se i redditi delle famiglie fossero in leggera ma sicura ascesa. In caso contrario, non è facile immaginare come andrà a finire. Obama farà una campagna elettorale spregiudicata. Ha già incominciato, e alla fine con un po’ di fortuna potrebbe convincere gli americani di essere il male minore.

La “triangolazione” clintoniana, che in seguito Obama avrebbe attaccato, dovendo battere da sinistra la rivale Hillary, era nelle sue corde. E difatti la “Terza Via” clintoniana camminava da tempo sulle gambe di Robert Rubin, ex copresidente di Goldman Sachs, l’uomo che a partire dagli anni Ottanta aveva avvicinato la grande finanza al Partito Democratico. Era stato consigliere economico di Clinton poi suo ministro del Tesoro (così come il suo braccio destro e successore Summers, promotore della deregulation dei prodotti finanziari derivati) e artefice nel 1999 della legge bancaria che aboliva la vecchia Glass Steagall. Con Rubin, Wall Street si avvicinava al partito che era stato della piccola gente - i democratici, da quasi mezzo secolo hanno ampio seguito anche fra i ceti alti - e i democratici accettavano la regola della disciplina di bilancio che Wall Street riteneva fondamentale per assicurare in futuro il proprio ruolo di capitale finanziaria mondiale. Ora, se si vanno a leggere alcune pagine di Audacia della speranza, nel quinto capitolo per l'esattezza, si vede come l'istinto politico di Obama lo portasse più a collaborare con la "terza via" che a opporvisi. Rubin era già un suo interlocutore prima della corsa presidenziale, ascoltato con attenzione e rispetto, e con questo spirito ricordato nel libro , dove non trova invece spazio Paul Volcker, di cui pure Obama farà un'icona quando nel 2008 montava il dissesto finanziario (da Volker più volte anticipato e denunciato). Altrove si ricorda come Obama fosse presente quando gli uomini della "terza via" organizzavano a Washington L'Hamilton project, incubatore di quella che avrebbe potuto essere la seconda amministrazione Clinton, con Hillary presidente. L'Hamilton Project divenne invece il bacino da cui pescare gli uomini dell'amministrazione Obama, a partire da Jason Furman, direttore del progetto passato con Obama già nel giugno 2008 e poi vice di Summers. Se si ritiene Obama uomo della sinistra democratica, il fatto di avere imbarcato figure vicine a Clinton – e soprattutto esponenti di Wall Street come Summers e il ministro del Tesoro Timothy Geithner – in posti chiave nel suo governo resta un mistero. Se invece si pensa a Obama come a un professionista della politica che ha saputo cogliere l’opportunità presentatasi a un afroamericano di correre per le presidenziali, allora le cose cambiano. Obama ha istinti di mediazione, si è visto ampiamente. È un negoziatore paziente. Un leader cauto. Ha saputo osare, come nel caso dell’attacco finale a Osama bin Laden. Ma le complessità di una situazione finanziaria ed economica come quella del 2008 sono un’altra faccenda. Senza contare i finanziamenti elettorali, che Obama ebbe, più ancora della Clinton, proprio dal mondo di Wall Street. La storia di una campagna sostenuta soprattutto da piccole donazioni è, appunto, solo una storia, come dimostrano le analisi del Center for Responsive Politics, che conferma il pieno appoggio dell’alta finanza a Obama, in misura doppia rispetto ai fondi concessi all’avversario, John McCain. Il secondo Obama non riuscirà mai – neppure adesso, al momento della sua seconda campagna elettorale – a superare le critiche, l’ostilità e l’aperta disistima con cui gran parte della sinistra democratica, soprattutto la più articolata fazione dell’accademia e del giornalismo, giudica il suo operato. Si ritiene infatti che il presidente abbia avallato la concessione di eccessivi aiuti finanziari alle banche, con troppe poche condizioni, senza quasi considerare le effettive responsabilità della crisi. Di fronte all’enormità del disastro – si pensa a sinistra – un simile atteggiamento è inaccettabile. Arianna Huffington nel marzo 2012 faceva del suo «Huffington Post» il metro della credibilità del presidente, il quale sarebbe stato valutato dal giornale online ponendolo non contro gli inefficaci e confusi sfidanti repubblicani, ma contro se stesso: realizzazioni contro promesse, realtà contro sogni, Obama contro Obama. La promessa fatta da Paulson, poi da Geithner e dallo stesso Obama, è che il salvataggio di Wall Street avrebbe salvato Main Street, perché le banche avrebbero ripreso a concedere credito. Ciò non è avvenuto, né poteva avvenire, dato che dopo una crisi finanziaria di enorme portata le banche diventano prudenti e usano la liquidità più per ripianare gradatamente le perdite e scongiurare il fallimento che per rilanciare l’economia. Come promessa era decisamente azzardata, e non suffragata dall’esperienza storica. Se gli anni Trenta dovevano essere un modello, e per vari aspetti lo erano, è evidente come all’epoca le banche avessero ridotto nettamente i prestiti. Per tutto il decennio, rispetto alle riserve bancarie, i dollari dati a credito si dimezzarono a confronto con quelli concessi negli anni Venti. Le politiche di intervento decise a partire dal 2007 dalla fed non sono paragonabili a quelle degli anni Trenta quanto a massa di liquidità fornita al sistema. È chiaro che dopo l’orgia di indebitamenti – banche in primis – che ha caratterizzato gli anni Novanta e i primi Duemila, ci vorrà molto tempo per tornare alla normalità. Fra i vari saggi pubblicati sulla presidenza Obama, uno in particolare affronta le scelte economiche del primo anno alla luce della sorprendente squadra economica della Casa Bianca (...)