rif. http://hivforum.info/forum/viewtopic.ph ... 762#p29762Sandro Mattioli ha scritto:Ciao.
Che idea mi sono fatto? Mah... credo che qualcuno incomincia a capire che una persona sieropositiva coinvolta, o che si accetta, o riesce a vivere meglio la propria condizione, riesce mediamente ad essere più aderente. Le associazioni di pazienti spesso hanno key opinion leader che riescono ad avere un peso nella gestione sociale e clinica della terapia e dell'infezione. Alla fine di tutto è ovvio che le multinazionali sono imprese e cercano di incrementare i propri affari. Il "trucco", se così posso definirlo, è cercare di far coincidere i nostri interessi con quelli delle imprese. E' difficile indubbiamente, anche a motivo di una serie infinita di pregiudizi da entrambe le parti.
Tanto per fare un piccolo esempio: i workshop HIVoices sono stati finanziati da Abbott. Tralascio le impressioni positive dei partecipanti, ma ma dal piccolo studio sociale che ne è nato, è emersa una corrispondenza fra l'accettazione e la tendenza a prendere in considerazione l'aderenza alla terapia, sono anche emerse le molte paure che abbiamo nei confronti dei farmaci. D'altra parte ci salvano la vita e mi piace pensare che Abbott terrà in considerazione alcune osservazioni. Ovvio che Abbott ha il suo porco interesse perché vende farmaci, ma è anche vero che noi abbiamo interesse a che le persone stiano meglio. Se c'è una convergenza perché no? Questo non mi ha impedito di partecipare alla marcia di protesta contro Abbott a Città del Messico nel 2008, dove lo stand dell'azienda fu tappezzato di post it. D'altra parte le ricerche di Abbott in Messico sono state una vera <edit automatico> e la reazione delle associazioni qualcosa ha risolto. Scusate il ragionamento un po' confuso, la stanchezza sta avendo la meglio, ma ci tenevo almeno ad abbozzare una risposta.
ciao .grazie si anche a me sembra evidente che l'unico punto di convergenza tra gli interessi dei pazienti e quello delle case farmaceutiche possa riguardare l'aderenza. a loro interessa che si consumino i farmaci.e più se ne consumano e meglio è. i miei dubbi sono sui " nostri interessi".Parto anche da un principio però. E cioè che considero sacrosanta la libertà personale di cura e di non cura. cioè di poter decidere se.. e come curarsi . se.. e come morire . se e ..come vivere.e non lo considero solo un patrimonio degli "iimbecilli".
gli interessi "nostri"....invece sono o dovrebbero essere più vicini a noi:
il rapporto con le assicurazioni
con la giustizia
con la privacy
con le pensioni
con il mondo del lavoro
la relazione tra invecchiamento precoce e prepensionamento...
l'asssistenza ai malati terminali
i rapporti con le strutture ospedaliere
il diritto ad essere affiancati da uno psicologo , un dietologo , un preparatore atletico (per limitare i danni dei farmaci)...sono i primi che mi vengono in mente ma credo che l'elenco potrebbe essere più lungo. e cosa si vede nelle associazioni di pazienti? che iniziative vengono portate avanti?che diritti vengono promossi o difesi?
e per quanto riguarda l'assunzione dei farmaci.. le paure non sono solo immotivate.e il "dovere" di forzarne l'assunzione da parte delle associazioni nei confronti dei pazienti è una responsabilità enorme.sopratutto per chi ha osservato nel tempo sulle persone e sugli amici le contraddizioni e i misteri che ancora riguardano il decorso e l'evoluzione della malattia. questa responsabilità dovrebbe essere svincolata il più possibile da "altri" interessi.