Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
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Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
In mancanza di un riferimento legislativo chiaro e incontrovertibile rimango a quanto viene affermato nel pronunciamento del Garante, che trovo di una chiarezza esemplare: la richiesta stessa di comunicare quell'informazione, se fatta genericamente, tipicamente in fase di accettazione del paziente, è illegittima, e da una richiesta illegittima non consegue alcun obbligo. L'unico caso in cui questa informazione può essere raccolta è "se tale dato anamnestico sia ritenuto dal medico curante necessario in funzione del tipo di intervento sanitario o di piano terapeutico da eseguire sull'interessato", ma anche accettato ciò "resta fermo che quest'ultimo rimane libero di decidere in modo consapevole (e quindi informato) e responsabile di non comunicare al medico alcuni eventi sanitari che lo riguardano."
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Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Non credo vi sia un obbligo legale di dichiarare la propria condizione di sieropositività, vi può essere un'opportunità medica a conoscere le condizioni generali del paziente o per poter compiere una valutazione appropriata nel caso si debbano assumere farmaci ma, fino ad oggi e che io sappia, non c'è l'obbligo di dichiarare spontaneamente il proprio stato sierologico al dentista o al chirurgo. Se veramente la condizione di immunodeficenza può creare complicazioni in relazione all'intervento o alla prestazione da eseguire la domanda in merito alla propria condizione sierologica viene fatta espressamte e magari viene fatto anche il test HIV.
Vi racconto brevemente quello che è successo a me prima di iniziare la terapia.
Dovevo sottopormi a un piccolo intervento chirurgico, niente di importante, un intervento di routine insomma per il quale gli unici farmaci da assumere erano l'anestesia e gli antidolorifici post operatori. Io ho sempre avuto il problema di non riuscire a rivelare la mia condizione a chiunque e quindi anche ai medici e allora, spaventato dall'dea di dover dire al chirurgo di essere sieropositivo, ho chiesto al mio infettivologo se gli anestetici o comunque l'operazione in swe avesse potuto avere delle ripercussione sulla mia situazione immunologica e se avessi avuto l'obbligo di dirlo. L'infettivologo mi ha detto che non c'era alcun problema e che potevo benissimo evitare di dirlo al chirurgo.
Ebbene, durante l'intervento qualcosa è andata per il verso sbagliato. Al risveglio dall'anestesia il chirurgo mi viene a trovare e mi dice che forse una goccia del mio sangue è andata a finire sulla sua palpebra e mi chiede scherzosamente se io avessi qualche malattia infettiva. A quel punto mi sono reso conto che, anche se minimo, c'era stato il concreto rischio di contagio e con grande fatica metto la parte le mie paure e rivelo al chirurgo la mia condizione.
La sua reazione è stata pessima o forse umana non so, mi ha minacciato, mi ha urlato contro e trattato come il peggior criminale del mondo. In quell'ospedale ho passato la notte più lunga della mia vita. Il giorno dopo io sono stato dimesso e il medico ha iniziato la prep. Per i sei mesi successivi ho convissuto con la paura di aver infettato quell'uomo, marito e padre e l'ho cercato di continuo per sapere gli esiti dei test che faceva. Lui nel frattempo, dopo il primo, forse comprensibile sfogo, si era tranquilizzato, aveva parlato con degli infettivologi che lo avevano molto rassicurato sul basso rischio di contagio. Ha assunto il truvada per un mese e alla fine, per sua e mia fortuna, è risultato negativo all'hiv.
Ora, a parte l'aspetto personale, morale o etico, nel caso ci fosse stato il contagio, cosa avrei rischiato io legalmente? Nulla.
Non c'è una legge che mi obbliga a dirlo, i questionari pre operatori non prevedevano la domanda se fossi sieropositivo e l'anestesista, durante la visita mi ha chiesto solo se ero allergico a qualche farmaco e se ne assumevo. Io non ero in terapia e quindi ho detto semplicemente che non ne assumevo.
Il buon chirurgo invece cosa ha fatto? Ha proceduto all'operazione senza adottare neanche i più elementari presidi di sicurezza previsti, quelli sì, dalla legge (nello specifico quella mascherina tipo da saldatore). Negli ospedali e in generali in tutti i luoghi di lavoro, ma in ambito sanitario sicuramente di più, si fa un sacco di formazione sulla sicurezza, vi sono degli obblighi di sicurezza da rispettare, protocolli, procedure e tante norme, quelle sì penali, per chi non le rispetta. Il chirugo è il capo di una equipe di persone di cui lui è in qualche modo responsabile. Non adottare i presidi di sicurezza equivale a mettere in pericolo non solo la propria salute ma anche quella delle persone che collaborano con il lui oltre che del paziente. E già, perché il rischio di essere infettati da qualsiasi virus non lo corre solo il medico ma anche il paziente.
Un chirurgo, un anestesista, uno strumentista, un dentista, un otorino, un qualsiasi operatore nel mondo della sanità non può prescindere dall'adozione di tutti i sistemi di sicurezza al fine di tutelare la propria salute, quella dei propri collaboratori e quella del paziente.
Quindi concludendo se io mi ritrovassi in una situazione come quella che ho vissuto sicuramente lo direi ma non perché "devo" dirlo ma perché non mi fido della diligenza, perizia e prudenza dei medici. Al mio dentista non lo dirò mai, lui mette sempre la mascherina
Vi racconto brevemente quello che è successo a me prima di iniziare la terapia.
Dovevo sottopormi a un piccolo intervento chirurgico, niente di importante, un intervento di routine insomma per il quale gli unici farmaci da assumere erano l'anestesia e gli antidolorifici post operatori. Io ho sempre avuto il problema di non riuscire a rivelare la mia condizione a chiunque e quindi anche ai medici e allora, spaventato dall'dea di dover dire al chirurgo di essere sieropositivo, ho chiesto al mio infettivologo se gli anestetici o comunque l'operazione in swe avesse potuto avere delle ripercussione sulla mia situazione immunologica e se avessi avuto l'obbligo di dirlo. L'infettivologo mi ha detto che non c'era alcun problema e che potevo benissimo evitare di dirlo al chirurgo.
Ebbene, durante l'intervento qualcosa è andata per il verso sbagliato. Al risveglio dall'anestesia il chirurgo mi viene a trovare e mi dice che forse una goccia del mio sangue è andata a finire sulla sua palpebra e mi chiede scherzosamente se io avessi qualche malattia infettiva. A quel punto mi sono reso conto che, anche se minimo, c'era stato il concreto rischio di contagio e con grande fatica metto la parte le mie paure e rivelo al chirurgo la mia condizione.
La sua reazione è stata pessima o forse umana non so, mi ha minacciato, mi ha urlato contro e trattato come il peggior criminale del mondo. In quell'ospedale ho passato la notte più lunga della mia vita. Il giorno dopo io sono stato dimesso e il medico ha iniziato la prep. Per i sei mesi successivi ho convissuto con la paura di aver infettato quell'uomo, marito e padre e l'ho cercato di continuo per sapere gli esiti dei test che faceva. Lui nel frattempo, dopo il primo, forse comprensibile sfogo, si era tranquilizzato, aveva parlato con degli infettivologi che lo avevano molto rassicurato sul basso rischio di contagio. Ha assunto il truvada per un mese e alla fine, per sua e mia fortuna, è risultato negativo all'hiv.
Ora, a parte l'aspetto personale, morale o etico, nel caso ci fosse stato il contagio, cosa avrei rischiato io legalmente? Nulla.
Non c'è una legge che mi obbliga a dirlo, i questionari pre operatori non prevedevano la domanda se fossi sieropositivo e l'anestesista, durante la visita mi ha chiesto solo se ero allergico a qualche farmaco e se ne assumevo. Io non ero in terapia e quindi ho detto semplicemente che non ne assumevo.
Il buon chirurgo invece cosa ha fatto? Ha proceduto all'operazione senza adottare neanche i più elementari presidi di sicurezza previsti, quelli sì, dalla legge (nello specifico quella mascherina tipo da saldatore). Negli ospedali e in generali in tutti i luoghi di lavoro, ma in ambito sanitario sicuramente di più, si fa un sacco di formazione sulla sicurezza, vi sono degli obblighi di sicurezza da rispettare, protocolli, procedure e tante norme, quelle sì penali, per chi non le rispetta. Il chirugo è il capo di una equipe di persone di cui lui è in qualche modo responsabile. Non adottare i presidi di sicurezza equivale a mettere in pericolo non solo la propria salute ma anche quella delle persone che collaborano con il lui oltre che del paziente. E già, perché il rischio di essere infettati da qualsiasi virus non lo corre solo il medico ma anche il paziente.
Un chirurgo, un anestesista, uno strumentista, un dentista, un otorino, un qualsiasi operatore nel mondo della sanità non può prescindere dall'adozione di tutti i sistemi di sicurezza al fine di tutelare la propria salute, quella dei propri collaboratori e quella del paziente.
Quindi concludendo se io mi ritrovassi in una situazione come quella che ho vissuto sicuramente lo direi ma non perché "devo" dirlo ma perché non mi fido della diligenza, perizia e prudenza dei medici. Al mio dentista non lo dirò mai, lui mette sempre la mascherina

Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Appunto, parla che "non consegue nessun obbligo (di comunicare)",georg.frideric ha scritto:In mancanza di un riferimento legislativo chiaro e incontrovertibile rimango a quanto viene affermato nel pronunciamento del Garante, che trovo di una chiarezza esemplare: la richiesta stessa di comunicare quell'informazione, se fatta genericamente, tipicamente in fase di accettazione del paziente, è illegittima, e da una richiesta illegittima non consegue alcun obbligo. L'unico caso in cui questa informazione può essere raccolta è "se tale dato anamnestico sia ritenuto dal medico curante necessario in funzione del tipo di intervento sanitario o di piano terapeutico da eseguire sull'interessato", ma anche accettato ciò "resta fermo che quest'ultimo rimane libero di decidere in modo consapevole (e quindi informato) e responsabile di non comunicare al medico alcuni eventi sanitari che lo riguardano."
che si è liberi di decidere di "non comunicare", non di "comunicare il falso"
Oppure secondo te il Garante autorizza a dichiarare il falso per iscritto in barba all''art.76 della Legge 445 del 2000 e a contraffare certificati medici in barba all'art.482 del Codice Penale?
Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Purtroppo sei legalmente obbligato a dichiarare la tua sieropositività nel caso descritto sopra. A dirlo è la Corte Costituzionale, che con questa sentenza:nuovo giorno ha scritto:Non credo vi sia un obbligo legale di dichiarare la propria condizione di sieropositività, vi può essere un'opportunità medica a conoscere le condizioni generali del paziente o per poter compiere una valutazione appropriata nel caso si debbano assumere farmaci ma, fino ad oggi e che io sappia, non c'è l'obbligo di dichiarare spontaneamente il proprio stato sierologico al dentista o al chirurgo. Se veramente la condizione di immunodeficenza può creare complicazioni in relazione all'intervento o alla prestazione da eseguire la domanda in merito alla propria condizione sierologica viene fatta espressamte e magari viene fatto anche il test HIV.
Vi racconto brevemente quello che è successo a me prima di iniziare la terapia.
Dovevo sottopormi a un piccolo intervento chirurgico, niente di importante, un intervento di routine insomma per il quale gli unici farmaci da assumere erano l'anestesia e gli antidolorifici post operatori. Io ho sempre avuto il problema di non riuscire a rivelare la mia condizione a chiunque e quindi anche ai medici e allora, spaventato dall'dea di dover dire al chirurgo di essere sieropositivo, ho chiesto al mio infettivologo se gli anestetici o comunque l'operazione in swe avesse potuto avere delle ripercussione sulla mia situazione immunologica e se avessi avuto l'obbligo di dirlo. L'infettivologo mi ha detto che non c'era alcun problema e che potevo benissimo evitare di dirlo al chirurgo.
Ebbene, durante l'intervento qualcosa è andata per il verso sbagliato. Al risveglio dall'anestesia il chirurgo mi viene a trovare e mi dice che forse una goccia del mio sangue è andata a finire sulla sua palpebra e mi chiede scherzosamente se io avessi qualche malattia infettiva. A quel punto mi sono reso conto che, anche se minimo, c'era stato il concreto rischio di contagio e con grande fatica metto la parte le mie paure e rivelo al chirurgo la mia condizione.
La sua reazione è stata pessima o forse umana non so, mi ha minacciato, mi ha urlato contro e trattato come il peggior criminale del mondo. In quell'ospedale ho passato la notte più lunga della mia vita. Il giorno dopo io sono stato dimesso e il medico ha iniziato la prep. Per i sei mesi successivi ho convissuto con la paura di aver infettato quell'uomo, marito e padre e l'ho cercato di continuo per sapere gli esiti dei test che faceva. Lui nel frattempo, dopo il primo, forse comprensibile sfogo, si era tranquilizzato, aveva parlato con degli infettivologi che lo avevano molto rassicurato sul basso rischio di contagio. Ha assunto il truvada per un mese e alla fine, per sua e mia fortuna, è risultato negativo all'hiv.
Ora, a parte l'aspetto personale, morale o etico, nel caso ci fosse stato il contagio, cosa avrei rischiato io legalmente? Nulla.
Non c'è una legge che mi obbliga a dirlo, i questionari pre operatori non prevedevano la domanda se fossi sieropositivo e l'anestesista, durante la visita mi ha chiesto solo se ero allergico a qualche farmaco e se ne assumevo. Io non ero in terapia e quindi ho detto semplicemente che non ne assumevo.
Il buon chirurgo invece cosa ha fatto? Ha proceduto all'operazione senza adottare neanche i più elementari presidi di sicurezza previsti, quelli sì, dalla legge (nello specifico quella mascherina tipo da saldatore). Negli ospedali e in generali in tutti i luoghi di lavoro, ma in ambito sanitario sicuramente di più, si fa un sacco di formazione sulla sicurezza, vi sono degli obblighi di sicurezza da rispettare, protocolli, procedure e tante norme, quelle sì penali, per chi non le rispetta. Il chirugo è il capo di una equipe di persone di cui lui è in qualche modo responsabile. Non adottare i presidi di sicurezza equivale a mettere in pericolo non solo la propria salute ma anche quella delle persone che collaborano con il lui oltre che del paziente. E già, perché il rischio di essere infettati da qualsiasi virus non lo corre solo il medico ma anche il paziente.
Un chirurgo, un anestesista, uno strumentista, un dentista, un otorino, un qualsiasi operatore nel mondo della sanità non può prescindere dall'adozione di tutti i sistemi di sicurezza al fine di tutelare la propria salute, quella dei propri collaboratori e quella del paziente.
Quindi concludendo se io mi ritrovassi in una situazione come quella che ho vissuto sicuramente lo direi ma non perché "devo" dirlo ma perché non mi fido della diligenza, perizia e prudenza dei medici. Al mio dentista non lo dirò mai, lui mette sempre la mascherina
http://www.giurcost.org/decisioni/1994/0218s-94.html
Ha dichiarato parzialmente incostituzionale l'art.5 della legge 135 del 1990, la quale non si può applicare quando sussistono rischi alla salute, all'incolumità e alla sicurezza verso terzi:
https://books.google.it/books?id=vd6GIw ... 94&f=false
Con tale sentenza si è ribadito che il diritto alla privacy, anche quando si tratta di HIV, è un "diritto affievolito" nei confronti a quello della salute e all'incolumità quando il rischio è estremamente concreto e specifico, come nel caso di un medico che si ferisce/viene a contatto con del sangue del paziente durante un'operazione.
E contro una sentenza della Corte Costituzionale non c'è sentenza del Garante e nemmeno legge ordinaria che tenga.
Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
meditate gente, meditatenuovo giorno ha scritto:
Ebbene, durante l'intervento qualcosa è andata per il verso sbagliato. Al risveglio dall'anestesia il chirurgo mi viene a trovare e mi dice che forse una goccia del mio sangue è andata a finire sulla sua palpebra e mi chiede scherzosamente se io avessi qualche malattia infettiva. A quel punto mi sono reso conto che, anche se minimo, c'era stato il concreto rischio di contagio e con grande fatica metto la parte le mie paure e rivelo al chirurgo la mia condizione.
La sua reazione è stata pessima o forse umana non so, mi ha minacciato, mi ha urlato contro e trattato come il peggior criminale del mondo. In quell'ospedale ho passato la notte più lunga della mia vita. Il giorno dopo io sono stato dimesso e il medico ha iniziato la prep. Per i sei mesi successivi ho convissuto con la paura di aver infettato quell'uomo, marito e padre e l'ho cercato di continuo per sapere gli esiti dei test che faceva. Lui nel frattempo, dopo il primo, forse comprensibile sfogo, si era tranquilizzato, aveva parlato con degli infettivologi che lo avevano molto rassicurato sul basso rischio di contagio. Ha assunto il truvada per un mese e alla fine, per sua e mia fortuna, è risultato negativo all'hiv.
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Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Grazie sky per la sentenza, riepiloga un po' tutta la normativa in questione. Non credo però che questa sentenza sia attinente al mio caso. L'ho letta sommariamente ma mi sembra di aver capito che il soggetto che invocava l'applicabilità della L. 135/90 fosse un aspirante operatore sanitario addetto alla cura delle persone e non un paziente.
Cioè in questa sentenza la Corte dice " quando le attività e servizi che comportano rischi per la salute dei terzi, derivanti dall'essere gli operatori addetti portatori di una malattia diffusiva quale l'AIDS, ne segue la necessità, a tutela del diritto alla salute, di accertare lo stato sierologico". Quindi può essere chiesto di sottoporsi al test a un medico, un infermiere, un operatore e a chiunque svolga un'attività che per sua natura possa ritenersi a rischio contagio per terzi.
Non si parla di pazienti. Se noti nella sentenza si parla di persone che svolgono qualche azione, compiono un'attività, di lavoratori insomma. Un paziente non fa assolutamente nulla. Giace nel suo letto sperando di tornare a casa. Anzi la sentenza mi sembra proprio improntata alla tutela della salute del paziente. I terzi di cui si parla nella sentenza sono in primis i pazienti.
Comunque oggetto della parziale incostituzionalità della legge è limitata all'art. 5.
L'art. 7 della legge 135/1990 "Protezione dal contagio professionale" che recita: "Il Ministro della sanità, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana, sentiti la Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS e l'Istituto superiore di sanità, un decreto recante norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private" rimane pienamente valido.
Proprio in applicazione di tale articolo, il Ministero della Sanità in data 28/09/90 ha emanato un decreto, contenente “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private.” L’articolo 1, comma 1 di tale decreto stabilisce che tutti gli operatori sanitari “… debbono adottare misure di barriera idonee a prevenire l’esposizione della cute e delle mucose nei casi in cui sia prevedibile un contatto accidentale con il sangue o altri liquidi biologici”.
Nel mio caso il principio espresso dalla sentenza non sarebbe stato attinente, secondo me, e al medico o presidio ospedaliero, sarebbe stato contestato la violazione del decreto.
Comunque sia per fortuna non ce n'è stato bisogno
Cioè in questa sentenza la Corte dice " quando le attività e servizi che comportano rischi per la salute dei terzi, derivanti dall'essere gli operatori addetti portatori di una malattia diffusiva quale l'AIDS, ne segue la necessità, a tutela del diritto alla salute, di accertare lo stato sierologico". Quindi può essere chiesto di sottoporsi al test a un medico, un infermiere, un operatore e a chiunque svolga un'attività che per sua natura possa ritenersi a rischio contagio per terzi.
Non si parla di pazienti. Se noti nella sentenza si parla di persone che svolgono qualche azione, compiono un'attività, di lavoratori insomma. Un paziente non fa assolutamente nulla. Giace nel suo letto sperando di tornare a casa. Anzi la sentenza mi sembra proprio improntata alla tutela della salute del paziente. I terzi di cui si parla nella sentenza sono in primis i pazienti.
Comunque oggetto della parziale incostituzionalità della legge è limitata all'art. 5.
L'art. 7 della legge 135/1990 "Protezione dal contagio professionale" che recita: "Il Ministro della sanità, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana, sentiti la Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS e l'Istituto superiore di sanità, un decreto recante norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private" rimane pienamente valido.
Proprio in applicazione di tale articolo, il Ministero della Sanità in data 28/09/90 ha emanato un decreto, contenente “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private.” L’articolo 1, comma 1 di tale decreto stabilisce che tutti gli operatori sanitari “… debbono adottare misure di barriera idonee a prevenire l’esposizione della cute e delle mucose nei casi in cui sia prevedibile un contatto accidentale con il sangue o altri liquidi biologici”.
Nel mio caso il principio espresso dalla sentenza non sarebbe stato attinente, secondo me, e al medico o presidio ospedaliero, sarebbe stato contestato la violazione del decreto.
Comunque sia per fortuna non ce n'è stato bisogno
Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Visto la tarda ora, non sto a riportare ulteriori link, ma quella sentenza della Corte Costituzionale è stata ampiamente dibattuta, ripresa da circolari. Con un punto fermo: l'inapplicabilità della 135 del 1990 avviene solo se il rischio per l'incolumità e la salute di terzi è tangibile.
Quindi il divieto ai controlli sancito dalla 135 del 1990 permane per quanto riguarda controlli generici alla popolazione (che sono da ritenersi vietati).
Purtroppo tale sentenza della Costituzionale è stata inizialmente usata anche dal Ministero della Difesa per imporre gli esami sui militari, perché, secondo la sua interpretazione, l'esistenza del rischio contagio tra commilitoni durante le azioni di guerra è incontrovertibile. Ultimamente mi pare che abbia desistito, per non rischiare che il divieto gli fosse confermato in sede giudiziaria. Questa faccenda è seguita sul forum di NPS Italia, dove scrive un militare (o ex militare) in carriera sieropositivo.
Ovviamente, nella dichiarazione della parziale incostituzionalità della 135 del 1990 in caso di rischio per l'incolumità e la salute di terzi, non si distingue se questi terzi siano infermieri, pazienti o medici (potrebbe essere altrimenti?).
PS
Prima di andare a dormire un link lo riporto, dove c'è un esempio di estensione per analogia della sentenza della Corte Costituzionale ai ricoveri e ai trattamenti sanitari coatti dei pazienti psichiatrici e/o minorenni:
https://books.google.it/books?id=2nOjAw ... co&f=false
Quindi il divieto ai controlli sancito dalla 135 del 1990 permane per quanto riguarda controlli generici alla popolazione (che sono da ritenersi vietati).
Purtroppo tale sentenza della Costituzionale è stata inizialmente usata anche dal Ministero della Difesa per imporre gli esami sui militari, perché, secondo la sua interpretazione, l'esistenza del rischio contagio tra commilitoni durante le azioni di guerra è incontrovertibile. Ultimamente mi pare che abbia desistito, per non rischiare che il divieto gli fosse confermato in sede giudiziaria. Questa faccenda è seguita sul forum di NPS Italia, dove scrive un militare (o ex militare) in carriera sieropositivo.
Ovviamente, nella dichiarazione della parziale incostituzionalità della 135 del 1990 in caso di rischio per l'incolumità e la salute di terzi, non si distingue se questi terzi siano infermieri, pazienti o medici (potrebbe essere altrimenti?).
PS
Prima di andare a dormire un link lo riporto, dove c'è un esempio di estensione per analogia della sentenza della Corte Costituzionale ai ricoveri e ai trattamenti sanitari coatti dei pazienti psichiatrici e/o minorenni:
https://books.google.it/books?id=2nOjAw ... co&f=false
Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Non fa nulla ... certo, come no! Andare in un ospedale a fare un intervento per te è non fare nulla. Come se non esistesse una coscienza di ciò che si sta facendo (non in senso morale, in senso di consapevolezza). E' un azione anche quella. Che nessun medico poi vada al di là di quello che è successo a te (la sfuriata) è logico, dal momento che anche lui ha delle colpe evidenti (non ha usato le protezioni).nuovo giorno ha scritto:chiunque svolga un'attività che per sua natura possa ritenersi a rischio contagio per terzi.
Non si parla di pazienti. Se noti nella sentenza si parla di persone che svolgono qualche azione, compiono un'attività, di lavoratori insomma. Un paziente non fa assolutamente nulla. Giace nel suo letto sperando di tornare a casa.
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Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Quindi, per sintetizzare e essere più chiari possibile, se dico che attualmente non esiste un obbligo giuridico "generalizzato" di informazione spontanea della propria condizione, per qualsiasi prestazione sanitaria (dentista, piccole operazioni, prelievi etc) a carico dei cittadini sieropositivi, in veste di "pazienti", adulti e capaci di intendere e di volere, dico una cosa giusta o no?
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Re: Dentisti si rifiutano di curare carie! ;(
Poponar rileggiti la sentenza e capirai cosa intedo per "non fa nulla" E poi che significa che il medico non fa niente perché ha sbagliato pure lui. L'obbligo giuridico o c'è o non c'è. Facciamo come per gli incidenti stradali? 50% di responsabilità ciascuno?poponar ha scritto:Non fa nulla ... certo, come no! Andare in un ospedale a fare un intervento per te è non fare nulla. Come se non esistesse una coscienza di ciò che si sta facendo (non in senso morale, in senso di consapevolezza). E' un azione anche quella. Che nessun medico poi vada al di là di quello che è successo a te (la sfuriata) è logico, dal momento che anche lui ha delle colpe evidenti (non ha usato le protezioni).nuovo giorno ha scritto:chiunque svolga un'attività che per sua natura possa ritenersi a rischio contagio per terzi.
Non si parla di pazienti. Se noti nella sentenza si parla di persone che svolgono qualche azione, compiono un'attività, di lavoratori insomma. Un paziente non fa assolutamente nulla. Giace nel suo letto sperando di tornare a casa.