UNA PARTE DELL'INTERVISTA AL "CORRIERE DELLA SERA"
https://www.corriere.it/spettacoli/23_m ... 119f.shtml
Per ventuno anni è stato un segreto, pesante come un macigno. Ora Elena Di Cioccio, attrice, conduttrice in radio e in tv, ha deciso di liberarsi del fardello che l’ha costretta, per non finirne schiacciata, a diventare nel tempo mille persone, tutte diverse da quella che lei è davvero.
Per stare finalmente bene, era necessario raccontare la sua verità: «Ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv». Lo ha detto alle «Iene», di cui per anni è stata un’inviata. Lo racconta senza il minimo sconto, nel libro in uscita il 4 aprile, Cattivo Sangue (edito da Vallardi), in cui ricapitola una vita clamorosamente fitta di sfide e dolori. «Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Ma ho dovuto processare molte cose», spiega.
Per quasi metà della sua vita ha cercato di nascondere il fatto di avere l’Hiv. Ora ha deciso di renderlo pubblico, scrivendoci anche un libro. Perché?
«Dopo anni passati divisa tra la paura e la rabbia, non mi sento più in difetto di niente. Io sono questa cosa qui e non voglio più nascondermi. Quando incontro ogni singola persona mi domando se, come e quando dire che sono sieropositiva: lasciando la mia parola scritta ora lo do per fatto, una volta per tutte».
In questi anni, scrive nel libro, ha nascosto le medicine nel frigo dietro la lattuga perché nessuno le vedesse, confidando il suo segreto solo a pochissime persone.
«E ho sperimentato ogni tipo di reazione in risposta a questa cosa: fuga, compassione, rabbia. Ma il problema è la partenza, non la risposta: è come sto io rispetto a questa cosa. Oggi un aiuto arriva grazie alla medicina che ha fatto finire l’epoca dell’alone viola, della paura, sia per voi ma anche per noi».
In che senso?
«Quindici anni fa: mi taglio la mano in una classe di teatro, esce del sangue. Si avvicinano per aiutarmi e io urlo: “No, non mi toccate”. Cavolo che brutto carattere. Oggi processare questa gigantesca marea di emozioni è possibile grazie a quello che la medicina ci dice, e cioè che siamo pazienti cronicizzati e in nessun modo io posso contagiare qualcuno. Per me è un sospiro di sollievo: non devo più stare sempre in allerta».
Eppure, dice, su questa malattia persiste lo stigma.
«Purtroppo sì, perché la comunicazione si è fermata al 1989: abbiamo fatto dei passi in avanti con quattro baci e strette di mano passate e poi il nulla. Ma non possiamo fare come i bambini che fingono che qualcosa non esista perché ti fa paura».
La malattia ha pesato anche sul suo desiderio di diventare mamma, scrive nel libro.
«È un capitolo molto sofferente per me. Oggi una donna sieropositiva negativizzata può avere rapporti anche senza preservativo e rimanere incinta. Per me non è stato così […]».