Se, se, se… se mio nonno avesse avuto le ruote, sarebbe stato una carriola.
Si chiama “corporate social responsability”, è il nuovo nome della beneficienza d’un tempo.
È il modo attraverso il quale società rendono una parte dei propri profitti alla collettività per mostrare di essere inserite nel tessuto in cui operano e non solo dei commercianti.
Un tempo gli industriali costruivano asili, case per gli operai, strade, ed erano chiamati “filantropi”, ora che alle aziende di proprietà individuale si sono sostituite le corporation, e che asili, case e strade sono più che disponibili, le aziende spendono in sostegno a iniziative sociali di terzi. Perché lo fanno? perché gli va, perché è fiscalmente conveniente, perché anche nelle aziende ci sono le persone e alle persone fa piacere pensare di essere “utili” oltre l’utile di bilancio.
Ci sono multinazionali che finanziano le campagne per i diritti civili, altre che sostengono programmi per le famiglie dei propri dipendenti colpite dalle sfortune della vita, altre che finanziano la cultura e così via.
Poi ci sono le aziende farmaceutiche: la loro pessima immagine è anche un eccellente driver per la “spesa sociale”. Tutte le aziende farmaceutiche sostengono le associazioni di pazienti, in ogni settore.
Un po’ lo fanno spontaneamente, un po’ lo fanno
spintaneamente, nel senso che ricevono richieste da ogni dove: in una situazione disastrata come questa, le associazioni dei pazienti spesso fanno una parte del lavoro che la mano pubblica non riesce a fare e i soldi delle aziende farmaceutiche sono fondamentali, sicché le associazioni ottengono fondi per le loro attività: chi produce anticoagulanti aiuta i pazienti anticoagulati, chi si occupa di sclerosi multipla aiuta i pazienti con SM, chi si occupa di colesterolo finanzia le campagne di sensibilizzazione per una dieta migliore e così via…
In generale si tratta di aiuti “di servizio”: le associazioni stampano opuscoli, realizzano manifestazioni, fanno incontri, e le aziende sostengono alcuni costi di queste iniziative in cambio del loro marchietto sui materiali distribuiti; raramente ci sono soldi che vanno direttamente alle associazioni poiché si tratta di organizzazioni altamente costo-efficienti (ossia che vivono di volontariato puro) e che non hanno bisogno di particolari fondi per i costi generali.
Tutto avviene in maniera più che trasparente, anche perché le farmaceutiche li qualificano come costi pubblicitari, con una detraibilità maggiore rispetto alle erogazioni liberali, e quindi il loro logo appare sempre in queste iniziative.
A conferma di tutto ciò, il fatto che la stessa Abbott pubblica pedantemente la lista di tutto ciò che ha sostenuto: per una casa farmaceutica, sostenere le organizzazioni di pazienti è un vanto, e quindi la notizia viene diffusa il più possibile: del resto, quando Nostro Signore insegnava che la carità va fatta in silenzio, il marketing non era stato ancora inventato.
Può pure darsi che anche qualche iniziativa web sia sostenuta dalle farmaceutiche, anche nell’area dell’HIV, non ci sarebbe nulla di male: non cambierebbe una virgola nella realtà dei fatti. Anzi, se devo dirla tutta, sarei felice se siti e forum “concorrenti” ottenessero fondi da privati, significherebbe per loro poter offrire servizi ancora migliori.
Per quello che ci riguarda, come HLA ha ricordato qualche giorno fa, qui le spese sono sostenute con piccole collette tra qualcuno, e se non ricordo male lo stesso Mariolino ne è stato testimone. La situazione mi pare che vada più che bene così e non abbiamo particolari esigenze.
Infine, se qualche farmaceutica (ma anche qualche privato) volesse sostenere iniziative a favore dei pazienti con HIV, ricordo che a Milano c’è la ASA con il suo meritorio servizio “
ASA mobile” di accompagnamento per i malati a ridotta mobilità: i pieni benzina costano sempre di più e se la Abbott, o BMS, o Pfizer, o Gilead o qualcun altro volessero contribuire, sono sicuro che farebbero solo del bene…