Multinazionali contro l’India la guerra dei farmaci poveri
Inviato: sabato 3 novembre 2012, 13:59
Due processi a New Delhi segneranno il destino dei generici a basso costo
Per milioni di malati di Aids nel Terzo Mondo è una questione di vita o di morte
La lotta contro l’Aids cammina su gambe scheletriche come quelle di Thembisile Ferguson, un sudafricano 40enne che ha scoperto di essere sieropositivo nel 1999. Da allora, periodicamente, la malattia gli succhia via la vita, lasciandogli solo la pelle scura, il metro e ottanta di altezza e 35 chili di ossa. La prima volta è successo dodici anni fa, prima che iniziasse a prendere i farmaci anti-retrovirali. Doveva pagarseli di tasca sua perché il governo sudafricano non poteva permettersi di curare i 4,1milioni di malati di Aids del Paese. Quando i pochi risparmi finirono, si rivolse alla clinica Ubuntu di Khayelitsha, un piccolo centro finanziato da Medici senza frontiere.
Era il 2000, e al tempo curare un malato costava 10mila dollari l’anno, perché bisognava pagare le royalty a chi i farmaci li aveva inventati e brevettati. Per questa ragione sono iniziate le prime campagne di Medici senza frontiere e del Tas, il movimento per l’accesso ai farmaci. Sotto la spinta dell’opinione pubblica, nel 2003, il Sudafrica ha modificato la legge sui brevetti per arginare la pandemia di Aids. La nuova legge ha portato la soluzione. Dall’India sono arrivate navi piene di anti-retrovirali generici che, invece di 10mila dollari l’anno, ne costavano appena 120. Thembisile, e con lui tanti altri, ha potuto cominciare a curarsi negli ospedali pubblici. Secondo i dati di Msf, la concorrenza dei generici a basso costo prodotti in India ha reso possibili le cure per 8milioni di sieropositivi in tutto il mondo. Anche oggi, il 91 per cento dei bambini affetti da Hiv e l’80 per cento dei malati si cura con generici indiani.
Thembisile non lo sa, ma la sua battaglia si combatte anche nelle aule di un tribunale lontano 10mila chilometri, quello di Nuova Delhi, dove si stanno svolgendo due processi che potrebbero avere enormi ricadute sulle possibilità di accesso ai farmaci. Dai camici bianchi alle toghe scure dei magistrati, perché la fortuna dell’industria farmaceutica indiana nasce da una legge: il Patent act del 1970, la legislazione sui brevetti che non riconosceva alcuna royalty alle case farmaceutiche. Per 35 anni l’industria indiana ha replicato, in forma generica, i farmaci creati in Occidente e li ha rivenduti nel Sud delmondo, contribuendo a fare crollare il prezzo di molte medicine del 99 per cento.
Dal 2005 però, come previsto dagli accordi per l’entrata nel Wto, il Patent Act è stato modificato per conciliare il diritto alla salute e quello sulla proprietà intellettuale. Da allora, Nuova Delhi ha concesso 3.488 brevetti in cinque anni. La legge, benché riformulata, mantiene due restrizioni importanti: anzitutto permette di brevettare solo le «vere innovazioni mediche», e non vecchie formulazioni per cui siano stati trovati nuovi modi d’utilizzo. L’altra condizione disciplina i brevetti forzosi, ovvero una clausola con cui lo Stato si riserva il diritto di consentire la produzione di un farmaco a un’azienda diversa da quella detentrice del brevetto se le esigenze sanitarie nazionali lo richiedono. Ad esempio, quando il prezzo di un medicinale è considerato «esorbitante».
Queste clausole sono al centro dei processi di Nuova Delhi, in cui sono impegnati due colossi farmaceutici europei: Novartis e Bayer. La svizzera Novartis contesta la sezione 3d, quella contro l’«evergreening», l’estensione di un brevetto ottenuta grazie a una leggera modificazione del principio attivo. Una pratica considerata da Msf «abusiva» ma assai diffusa, che permette di mantenere artificialmente alti i prezzi bloccando la concorrenza dei generici. Il processo, iniziato nel 2006, riguarda il Glivec, un farmaco antitumorale usato nella cura del leucoma che - secondo l’Ufficio brevetti indiano – sarebbe una semplice riformulazione in forma salina dell’imatinib, una medicina il cui brevetto è già scaduto.
«Con questa tecnica le multinazionali tentano di ribrevettare le stesse medicine per estendere la durata dei brevetti, portandola dai vent’anni concessi dai trattati internazionali fino anche a quaranta o cinquant’anni», spiega Catherine Tomlinson, capo ricercatrice di Tas, l’Ong sudafricana che si occupa di accesso ai farmaci. La causa di Bayer riguarda invece il Nexavar, un farmaco contro il cancro ai reni e al fegato brevettato nel 2008. Nel marzo scorso però, l’ufficio brevetti ha decretato che lo stesso farmaco fosse prodotto anche in forma generica dalla Natco, con la sola clausola di destinare il 6 per cento dei ricavi alla casa tedesca. È stata la prima applicazione indiana del brevetto forzoso e ha permesso di fare crollare il prezzo del 97 per cento. La brevettazione forzosa è prevista non solo nel Patent act indiano, ma anche nella dichiarazione di Doha che integra gli accordi Trips, quelli stipulati in seno al Wto che hanno spinto l’India a riformare la legislazione sui farmaci. Pochi Paesi, però, fino a oggi hanno deciso di applicarla. E nessuno sugli ultimi ritrovati della lotta all’Aids.
Per capire cosa questo significhi occorre tornare in Sudafrica. Nel febbraio scorso, Thembisile Ferguson è ricomparso alla clinica di Ubuntu. La prima generazione di anti-retrovirali, quella che Msf e Tas sono riusciti a importare in versione generica in Sudafrica, sul suo corpo non ha più alcun effetto. La terza generazione di farmaci però costa molto, circa 4mila dollari l’anno, oltre la metà del reddito di un sudafricano.
Come 12 anni fa avveniva con i primi anti-retrovirali, oggi il sistema sanitario nazionale non può permettersi la terza generazione di cure perché non esistono versioni generiche di questi farmaci. Sono infatti sotto brevetto sia dove si potrebbero produrre - come in India - che dove si potrebbero esportare, come inSudafrica. Entro la fine di quest’anno, nel mondo, 500mila malati avranno bisogno di cure più avanzate. E le cliniche di Msf non possono permettersi farmaci per tutti. «Una soluzione potrebbe essere la brevettazione forzosa, per questo è così importante capire cosa accadrà con la causa della Bayer in India», spiega Catherine Tomlinson. Dal destino del discount indiano, dipende la possibilità di cura per Thembisile e milioni di altri ammalati nel resto del mondo.
http://www.lastampa.it/2012/11/03/ester ... agina.html
Per milioni di malati di Aids nel Terzo Mondo è una questione di vita o di morte
La lotta contro l’Aids cammina su gambe scheletriche come quelle di Thembisile Ferguson, un sudafricano 40enne che ha scoperto di essere sieropositivo nel 1999. Da allora, periodicamente, la malattia gli succhia via la vita, lasciandogli solo la pelle scura, il metro e ottanta di altezza e 35 chili di ossa. La prima volta è successo dodici anni fa, prima che iniziasse a prendere i farmaci anti-retrovirali. Doveva pagarseli di tasca sua perché il governo sudafricano non poteva permettersi di curare i 4,1milioni di malati di Aids del Paese. Quando i pochi risparmi finirono, si rivolse alla clinica Ubuntu di Khayelitsha, un piccolo centro finanziato da Medici senza frontiere.
Era il 2000, e al tempo curare un malato costava 10mila dollari l’anno, perché bisognava pagare le royalty a chi i farmaci li aveva inventati e brevettati. Per questa ragione sono iniziate le prime campagne di Medici senza frontiere e del Tas, il movimento per l’accesso ai farmaci. Sotto la spinta dell’opinione pubblica, nel 2003, il Sudafrica ha modificato la legge sui brevetti per arginare la pandemia di Aids. La nuova legge ha portato la soluzione. Dall’India sono arrivate navi piene di anti-retrovirali generici che, invece di 10mila dollari l’anno, ne costavano appena 120. Thembisile, e con lui tanti altri, ha potuto cominciare a curarsi negli ospedali pubblici. Secondo i dati di Msf, la concorrenza dei generici a basso costo prodotti in India ha reso possibili le cure per 8milioni di sieropositivi in tutto il mondo. Anche oggi, il 91 per cento dei bambini affetti da Hiv e l’80 per cento dei malati si cura con generici indiani.
Thembisile non lo sa, ma la sua battaglia si combatte anche nelle aule di un tribunale lontano 10mila chilometri, quello di Nuova Delhi, dove si stanno svolgendo due processi che potrebbero avere enormi ricadute sulle possibilità di accesso ai farmaci. Dai camici bianchi alle toghe scure dei magistrati, perché la fortuna dell’industria farmaceutica indiana nasce da una legge: il Patent act del 1970, la legislazione sui brevetti che non riconosceva alcuna royalty alle case farmaceutiche. Per 35 anni l’industria indiana ha replicato, in forma generica, i farmaci creati in Occidente e li ha rivenduti nel Sud delmondo, contribuendo a fare crollare il prezzo di molte medicine del 99 per cento.
Dal 2005 però, come previsto dagli accordi per l’entrata nel Wto, il Patent Act è stato modificato per conciliare il diritto alla salute e quello sulla proprietà intellettuale. Da allora, Nuova Delhi ha concesso 3.488 brevetti in cinque anni. La legge, benché riformulata, mantiene due restrizioni importanti: anzitutto permette di brevettare solo le «vere innovazioni mediche», e non vecchie formulazioni per cui siano stati trovati nuovi modi d’utilizzo. L’altra condizione disciplina i brevetti forzosi, ovvero una clausola con cui lo Stato si riserva il diritto di consentire la produzione di un farmaco a un’azienda diversa da quella detentrice del brevetto se le esigenze sanitarie nazionali lo richiedono. Ad esempio, quando il prezzo di un medicinale è considerato «esorbitante».
Queste clausole sono al centro dei processi di Nuova Delhi, in cui sono impegnati due colossi farmaceutici europei: Novartis e Bayer. La svizzera Novartis contesta la sezione 3d, quella contro l’«evergreening», l’estensione di un brevetto ottenuta grazie a una leggera modificazione del principio attivo. Una pratica considerata da Msf «abusiva» ma assai diffusa, che permette di mantenere artificialmente alti i prezzi bloccando la concorrenza dei generici. Il processo, iniziato nel 2006, riguarda il Glivec, un farmaco antitumorale usato nella cura del leucoma che - secondo l’Ufficio brevetti indiano – sarebbe una semplice riformulazione in forma salina dell’imatinib, una medicina il cui brevetto è già scaduto.
«Con questa tecnica le multinazionali tentano di ribrevettare le stesse medicine per estendere la durata dei brevetti, portandola dai vent’anni concessi dai trattati internazionali fino anche a quaranta o cinquant’anni», spiega Catherine Tomlinson, capo ricercatrice di Tas, l’Ong sudafricana che si occupa di accesso ai farmaci. La causa di Bayer riguarda invece il Nexavar, un farmaco contro il cancro ai reni e al fegato brevettato nel 2008. Nel marzo scorso però, l’ufficio brevetti ha decretato che lo stesso farmaco fosse prodotto anche in forma generica dalla Natco, con la sola clausola di destinare il 6 per cento dei ricavi alla casa tedesca. È stata la prima applicazione indiana del brevetto forzoso e ha permesso di fare crollare il prezzo del 97 per cento. La brevettazione forzosa è prevista non solo nel Patent act indiano, ma anche nella dichiarazione di Doha che integra gli accordi Trips, quelli stipulati in seno al Wto che hanno spinto l’India a riformare la legislazione sui farmaci. Pochi Paesi, però, fino a oggi hanno deciso di applicarla. E nessuno sugli ultimi ritrovati della lotta all’Aids.
Per capire cosa questo significhi occorre tornare in Sudafrica. Nel febbraio scorso, Thembisile Ferguson è ricomparso alla clinica di Ubuntu. La prima generazione di anti-retrovirali, quella che Msf e Tas sono riusciti a importare in versione generica in Sudafrica, sul suo corpo non ha più alcun effetto. La terza generazione di farmaci però costa molto, circa 4mila dollari l’anno, oltre la metà del reddito di un sudafricano.
Come 12 anni fa avveniva con i primi anti-retrovirali, oggi il sistema sanitario nazionale non può permettersi la terza generazione di cure perché non esistono versioni generiche di questi farmaci. Sono infatti sotto brevetto sia dove si potrebbero produrre - come in India - che dove si potrebbero esportare, come inSudafrica. Entro la fine di quest’anno, nel mondo, 500mila malati avranno bisogno di cure più avanzate. E le cliniche di Msf non possono permettersi farmaci per tutti. «Una soluzione potrebbe essere la brevettazione forzosa, per questo è così importante capire cosa accadrà con la causa della Bayer in India», spiega Catherine Tomlinson. Dal destino del discount indiano, dipende la possibilità di cura per Thembisile e milioni di altri ammalati nel resto del mondo.
http://www.lastampa.it/2012/11/03/ester ... agina.html