Pagina 1 di 1

USA: il matrimonio ugualitario e le persone con HIV

Inviato: martedì 2 luglio 2013, 17:52
da uffa2
Ho già descritto altre volte la nostra malattia non solo come una semplice infezione, ma come la “figlia dell’esclusione”: una società che ti condanna e ti emargina, rende più scontati comportamenti più rischiosi, anche perché quelli “più sicuri” non sono possibili.
Per anni in nome della lotta alla droga si è cercato di impedire l’acquisto di siringhe, con l’ovvio risultato della loro condivisione. Con i gay invece, l’esclusione da ogni riconoscimento sociale ha semplicemente impedito la nascita di unioni veramente stabili, con tutto ciò che ne consegue.
Questo articolo è apparso su “HIV plus mag” e m’è parso importante condividerlo.


Perché la decisione della Corte Suprema USA è importante per le persone con HIV
Dopo avere visto il pregiudizio anti gay uccidere i suoi pazienti, una dottoressa ci racconta come è giunta a sostenere il matrimonio tra persone dello stesso sesso e perché dovreste farlo pure voi.

La prima volta che incontrai Josè era già intubato nell’unità di cure intensive, respirando solo grazie a un ventilatore. Soffriva di una grave polmonite, era stato trovato incosciente nel suo appartamento dal padrone di casa. José aveva un crocifisso appeso a una catenina al collo, il biglietto da visita di un centro LGBT locale e una confezione di antiretrovirali nella sua tasca. Non c’erano documenti a confermare la sua identità.

Per settimane, io e il mio team abbiamo vigilato sulle condizioni di salute di Josè. I suoi polmoni collassarono due volte e dovemmo cateterizzarlo per insufflargli l’aria. Andò in insufficienza respiratoria cinque volte nonostante il supporto meccanico alla respirazione fosse al massimo. Passammo ore spingendo l’aria a mano attraverso i tubi per tenerlo vivo. Una moltitudine di farmaci per endovena ed emoderivati mantenevano una sembianza di vita. Altri cateteri lo tenevano pulito e asciutto. Non potevamo alimentarlo a causa delle persistenti infezioni nel sangue. Ogni settimana il team di assicurazione della qualità veniva a chiederci «quali sono i vostri obiettivi terapeutici?»
Solitamente questa è una domanda che discutiamo col paziente o con la sua famiglia. Ma Josè non poteva essere risvegliato, e nessuno veniva a trovarlo. Le sue impronte digitali non portarono a nulla. Non c’erano denunce di scomparsa che rispondessero alla sua descrizione. Chiamammo il dottore che aveva prescritto i suoi farmaci. Ci diede un numero per un contatto di emergenza, ma l’uomo che rispose disse che non aveva notizie di José da mesi né aveva informazioni personali su di lui.

La profonda mancanza di connessioni di Josè mi turbava. Ogni giorno, la sua infermiera e io controllavamo tubi, farmaci e impostazioni delle macchine con grande cura, cercando di compensare questa sua solitudine. Gli stringevo la mano per un momento prima di lasciarlo, chiedendomi se fosse ancora con noi in questo mondo. L’immensità della sua solitudine pesava su di me. Avrebbe potuto morire senza che a nessuno fosse importato.

Come poteva essere accaduto che José fosse così isolato? Era perché era gay, o HIV positivo, o entrambi, o altro ancora? Lavorando in un ospedale pubblico, avevo curato per molti anni persone come José, ai margini della società. Ciò che li uccide, e spesso in modo straziante, non è la malattia fisica. È l’isolamento sociale. Lo stigma è lo stress culturale che, alla fine, spegne le loro vite.

Quando gli accademici parlano di “popolazioni vulnerabili” si riferiscono a persone senza denaro né potere, o che devono affidarsi alla sussistenza pubblica. Le differenze nell’accesso alle cure sono definite da fattori demografici come etnia, reddito, lavoro o disoccupazione, educazione e status familiare. Ma alla fine, credo, ciò che rende certi gruppi più vulnerabili rispetto ad altri non è la categoria d’appartenenza, ma il modo in cui si relazionano con altri esseri umani. Anche i poveri possono far parte di forti comunità che si prendono cura di loro nel momento del bisogno, e quindi essere in grado di affrontare e superare le avversità della vita.. lo stesso vale per disoccupati, disabili, o con un basso livello di educazione. Le persone finiscono sulla strada solo quando non hanno proprio nessuno.

È in questa luce che sono giunta ad apprezzare il matrimonio ugualitario come un tema politico importante e rilevante per la nostra società. Al di là dei diritti civili e della basilare dignità umana, il matrimonio crea una connessione che protegge contro gli incerti della vita. Quando la crisi colpisce, il matrimonio è una barriera che evita alle persone di finire come José divenuto un soggetto sotto la protezione dello Stato. Cosa spinge il pubblico a negare uguali benefici ad adulti consenzienti che vogliono impegnarsi reciprocamente per la vita? Perché continuiamo a cavillare sul sesso di queste persone, quando sono gioco così tanti beni collettivi?

Lo stesso mese di José, incontrai Oscar e il suo “cugino” Eddie. Come José, Oscar arrivò in ospedale con una grave polmonite, ma Eddie era con lui e lo portò in ospedale in condizioni meno critiche. Fui in grado di suggerire loro l’intubazione quando la respirazione divenne troppo difficile. Oscar nominò Eddie come suo rappresentante per le cure. Fintantoché Eddie era lì, Oscar non aveva bisogno di sedazione o antidolorifici. Potevamo vedere come rapidamente migliorassero la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna quando Eddie era al suo fianco. Profittando di una notte tranquilla, alla fine chiesi a Eddie perché si fosse presentato come “cugino” di Oscar, quando era ovvio che fosse il suo compagno. Con lo sguardo rivolto a terra, Eddie mormorò che temeva lo avremmo cacciato se non avessimo pensato che era “di famiglia”. Iniziai a scusarmi per il caso avessimo fatto qualcosa che lo aveva messo a disagio in qualsiasi modo, ma Eddie mi interruppe dicendo «non siete voi, è la Proposition 8 a essere stata dura con noi», mentre poneva la testa sul petto di Oscar. «Dottoressa, quando sarete in grado di togliere questi tubi?»

Nell’insieme, abbiamo già sufficienti gravi problemi di cui occuparci, senza dover perdere tempo e risorse per rimediare a inciampi non necessari. Lo scopo finale di un governo è quello di offrire un’infrastruttura alle persone affinché vivano in pace, felicemente e liberamente insieme. L’uguaglianza nell’accesso al matrimonio, da questo punto di vista, non riguarda l’interpretazione di testi religiosi, precedenti storici o tecnicalità giuridiche. Né riguarda il fatto se la vita sessuale del nostro prossimo ci disgusti o meno. Per quanto riguarda i nostri rappresentanti, il matrimonio è una semplice costruzione civile finalizzata a sostenere benefiche connessioni umane che ricadono su tutti gli aspetti delle nostre vite, al lavoro, a scuola, in ospedale, nel nostro quartiere, e oltre. L’orgoglio può superare l’imbarazzo individuale, ma solo tutti assieme possiamo rimuovere lo stigma. È tempo di porre fine alle sofferenze non necessarie.

E. Wu è una dottoressa di Los Angeles.

http://www.hivplusmag.com/opinion/guest ... people-hiv

Re: USA: il matrimonio ugualitario e le persone con HIV

Inviato: giovedì 7 novembre 2013, 13:36
da bluflame
grazie dell'articolo molto interessante.
i diritti sociali vanno di pari passo con la salute