Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

La condizione di sieropositività, la malattia da HIV e relativi problemi, di salute e no.
Dora
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Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

Messaggio da Dora » giovedì 11 luglio 2013, 7:55

Segni particolari: AIDS

di Chiara Lalli - 11/07/2013

Il fascicolo sanitario elettronico (FSE) minaccia la riservatezza dei nostri dati personali? Matteo Schwarz, avvocato e consulente legale della Linea Verde AIDS e IST ci parla di alcune possibili soluzioni


L’informatizzazione della pubblica amministrazione, la necessità di razionalizzare e di ridurre i costi hanno avviato un processo che riguarda la sanità pubblica, tra cui la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico e la distribuzione della tessera sanitaria elettronica. Ecco cosa dice il decreto-legge del 31 maggio 2010, n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria 
e di competitività economica” all’articolo 4 (Modernizzazione dei pagamenti effettuati
dalle Pubbliche Amministrazioni): “1. Ai fini di favorire ulteriore efficienza nei pagamenti e nei rimborsi dei tributi effettuati da parte di enti e pubbliche amministrazioni a cittadini e utenti, il Ministero dell’economia e delle finanze promuove la realizzazione di un servizio nazionale per pagamenti su carte elettroniche istituzionali, inclusa la tessera sanitaria”.

IL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO – La riservatezza dei dati sanitari corre qualche pericolo? Ne parlo con Matteo Schwarz, avvocato e consulente legale della Linea Verde AIDS e IST dell’Istituto Superiore di Sanità, 800 861061: ci concentriamo su uno degli aspetti più a rischio, ma le implicazioni sulla privacy riguardano in generale quello che vogliamo mostrare o no. Ovvero: tutti noi e le nostre cartelle cliniche, una volta avviato il “processo di ammodernamento della sanità” (per usare l’espressione delle Linee guida nazionali sul FSE del novembre 2010). C’è anche un meta-livello: la consapevolezza che ci sia un eventuale rischio di esporre informazioni riservate. Schwarz mi spiega le ragioni della sua preoccupazione: “immaginando un fascicolo sanitario elettronico, in cui confluiscono tutte le informazioni sanitarie di ciascuno di noi, non possiamo non porci alcune domande. Questa operazione coinvolge dati sensibili, perciò è stato necessario ascoltare vari interlocutori, tra cui il garante per la protezione dei dati personali. Il garante ha rilasciato un parere su cui sono state stilate delle linee guida per il fascicolo sanitario elettronico. Le linee guida hanno previsto una serie di indicazioni, tra cui la possibilità che un individuo possa optare per l’oscuramento di alcuni dati”.

HIV E OSCURAMENTO DI SECONDO LIVELLO – In ogni fascicolo sanitario c’è la nostra storia sanitaria. Non tutte le informazioni saranno percepite come altrettanto “sensibili”, ed è facile immaginare che informazioni o patologie sulle quali pesa un forte stigma sociale saranno quelle che ognuno di noi vorrà proteggere maggiormente. La maggior parte dei pazienti Hiv, per esempio, non vuole che tutti sappiano: quando si ricevono cure per altre patologie qualcuno potrebbe leggere dati riservati? “Se voglio mantenere l’anonimato, posso farlo tramite l’oscuramento. È previsto anche un oscuramento di secondo livello: non devi vedere che una parte è stata oscurata, perché non voglio che tu sappia che è stata oscurata”. La reale protezione della mia privacy deve essere una perfetta invisibilità, non una fascetta nera come nei dossier cartacei. Con il fascicolo e la tessera elettronici ci sarà qualche rischio?
“Lo scorso 10 giugno abbiamo incontrato un funzionario e un dirigente dell’Autorità garante che lavorano su questioni sanitarie. Abbiamo sottoposto loro il problema della richiesta, da parte delle Asl ai pazienti Hiv, di registrazione del codice numerico di esenzione”.

020 – È il codice di esenzione che dà accesso alle prestazioni in regime di esenzione. In passato i pazienti hanno avuto accesso all’esenzione – in day hospital, nei reparti di infettivologia o in altri reparti specifici – senza dover passare per il collo burocratico della registrazione nella Asl di residenza, cioè presentandosi con la prescrizione direttamente nel luogo in cui avrebbero ricevuto l’assistenza sanitaria. “Credo – continua Schwarz – che per esigenze di monitoraggio della spesa sanitaria e di valutazione della congruità delle prestazioni, oggi le Asl chiedano la registrazione per i pazienti Hiv. Devi andare con la documentazione riguardante la diagnosi a uno sportello per registrarti: il codice 020, nato per proteggere la privacy, la protegge come un mantello troppo corto. Basta andare su internet per sapere a quale patologia corrisponde, e in genere chiunque abbia familiarità con i codici sanitari sa benissimo che lo 020 indica Hiv. Tra il numero e la diagnosi esplicita non cambia molto”. Ovviamente, chi vuole proteggere l’informazione non si accontenterà di sapere che il funzionario della Asl potrà vedere “solo” il codice numerico.

REAZIONI – Le reazioni alla richiesta di registrazione sono stare emotivamente forti, soprattutto nei piccoli centri. Si tratta di andare da una persona che non è un sanitario né è il tuo medico e dire “ho questa patologia”. Se la patologia in questione è oppressa dallo stigma, la riluttanza è facile da capire. Continua Schwarz: “Nei piccoli centri ci si conosce direttamente, è un problema anche per chi lavora magari nella Asl: i dipendenti stessi possono non volere che i propri colleghi conoscano le loro condizioni di salute. Alcune persone hanno detto ‘Non vado a registrarmi perché in quella Asl ci lavora quello e mi conosce’. La paura di essere esposti, di non poter decidere quali informazioni siano accessibili vale per qualsiasi patologia. Per alcune, naturalmente, la privacy è più sentita”.

COME FARE? – Quale potrebbe essere la soluzione? “Insieme al garante, abbiamo cercato di immaginare alcune soluzioni. Stiamo valutando tre ipotesi. La prima: individuare alcune modalità che consentano l’immissione dei dati sanitari nella Asl senza passare per la Asl stessa e per la procedura di registrazione. Potrebbe essere il proprio medico a farlo, per esempio. Sembrerebbe che alcune aziende sanitarie si stiano orientando verso questa soluzione, che dovrebbe essere anche poco costosa. Si tratterebbe di attivare un canale di comunicazione tra il reparto di infettivologia – o comunque il proprio reparto – e la banca dati della Asl, evitando al paziente la gita allo sportello e i rischi connessi”.

STIGMA AL CUBO? – La seconda: nascondere il codice numerico 020. “Come ho già detto il codice non tutela granché, anche perché è specifico di una sola patologia. Ci siamo domandati se potesse essere una soluzione accorpare le patologie con l’esenzione totale: l’Hiv, le patologie neoplastiche, la tossicodipendenza. Almeno queste tre, perché lasciare un certo codice per Hiv e tossicodipendenza non solo non risolverebbe la questione della riservatezza, ma aggraverebbe il problema dello stigma. Creando invece una categoria ampia si potrebbe cercare di anonimizzare il codice”. Tuttavia viene da farsi qualche domanda sugli effetti: potremmo rischiare di ritrascinare il cancro nello stigma invece di, come sperato, alleggerire il peso sull’Hiv? C’è anche un altro ostacolo: le caratteristiche delle patologie sono diversissime. Di conseguenza, le esigenze e le prestazioni sono diverse. “Se l’immissione dei dati nelle Asl serve a controllare la spesa, con un codice unico per un dominio tanto ampio di patologie non posso controllare nulla”, conclude Schwarz.

CODICE A LETTURA SELETTIVA – La terza ipotesi sembra efficace. “Abbiamo pensato all’elaborazione di un codice non semplice, ma complesso. Una specie di codice a barre a lettura selettiva. A seconda dell’operatore, i dati leggibili sarebbero solo alcuni. Si risolverebbe anche il problema della semplice oscurazione: se ti trovi una striscetta nera – come quella nei documenti riservati – sai che qualcosa sotto c’è. La desinenza che identifica l’Hiv sarebbe visibile solo a chi deve vederlo. Non a tutti. Questo permetterebbe di registrarsi alla Asl senza rischiare di esporre i propri dati non necessari alla registrazione stessa”. Tutte le ipotesi hanno bisogno di essere approfondite. Serve anche uno studio di fattibilità e un passaggio per la conferenza tra stato e regioni. Schwarz ci ricorda che ci confrontiamo con un sistema che è stato reso molto complicato dal titolo quinto della Costituzione, la regionalizzazione sanitaria. Le regioni sono restie a cedere spazi di sovranità, e comunque possiamo trovarci davanti a diversi comportamenti. “La gestione da parte del reparto di infettivologia sembrerebbe forse quella più fattibile, ma dobbiamo ancora lavorarci su”.

PROSSIMI PASSI – Uno dei prossimi passi sarà quello di redigere un documento dettagliato sul problema e sulle possibili soluzioni. Poi sarà necessario parlare con le regioni e chiedere loro quali sono le loro prassi. “Come procedete? Cosa dite ai pazienti? Potremmo trovare anche altre soluzioni. Vorremmo fare un questionario per avere le informazioni fondamentali sul piano regionale, per poter ricostruire il quadro a livello nazionale e immaginare un manuale di buone pratiche, possibilmente omogenee sul territorio nazionale”. È bene aggiungere che anche la paura di non poter proteggere i propri dati deve essere presa sul serio, indipendentemente dal rischio oggettivo di esposizione. Come abbiamo visto, a volte basta la paura a non fare la richiesta di esenzione.

RISCHIO DI SALUTE PUBBLICA – “Io ho ricevuto la tessera sanitaria tramite posta ordinaria. Come informiamo le persone? Lo si spiega nei reparti? Si dice che esiste il diritto all’oscuramento, di primo e secondo livello? A chi bisogna rivolgersi per farlo? Ci sono le linee guida, ma cosa accade oggi davvero nei reparti non lo so. Immagino che molti pazienti non ne sappiano nulla: molti cui ho parlato non ne avevano idea. Anche a molti operatori sociosanitari mancano le informazioni adeguate. Temo che la regola sia che chi accede al fascicolo sanitario senza oscuramento può leggere tutto: c’è un rischio di visibilità tremendo”. Molte persone hanno chiamato il Telefono Verde AIDS e IST (da qualche anno è disponibile il “Rapporto Attività Counseling Telefonico”, svolto tra il 1987 e il 2010) dicendo: “mi hanno detto di fare questa registrazione, ma non voglio espormi e piuttosto non mi vado a registrare e non ottengo il codice di esenzione” – e magari non si curano pur di non correre il rischio che qualcuno acceda a informazioni riservate. “Se allontaniamo le persone della cura è tremendo. Nel caso dell’Hiv, dove l’aderenza e la sorveglianza di una corretta assunzione sono fondamentali, i rischi sono elevati. Anche in termini di spesa pubblica, non solo sul fronte del rischio personale”.

COME FUNZIONA LA TESSERA? – Appena vi scadrà la vostra vecchia tessera sanitaria, riceverete questa nuova dotata di un microchip dorato. L’invio, da parte dell’Agenzie delle Entrate, è cominciato alla fine del 2011. Per usarla in tutta le sue potenzialità, dovrete attivarla presso uno sportello abilitato nella regione di appartenenza (si veda “Come si attiva la CNS”). Cercando ulteriori dettagli, ci si accorge che le diversità regionali emergono fin dal sito. Tra le regioni che offrono informazioni più dettagliate ci sono: la Provincia autonoma di Bolzano; anche la Basilicata non è male. Altri promossi: Friuli, Molise, Lombardia e Sardegna. Il Lazio rimanda genericamente al sito della Regione Lazio, così l’Abruzzo, la Campania.

PRIVACY – Il rischio di non capirci molto o di stufarsi presto è abbastanza alto. La responsabilità potrebbe essere del sito dedicato alla tessera, ma il risultato non cambia e il sito è quello ufficiale, non una fanzine di qualche appassionato di questioni sanitarie. In nessun caso la questione della privacy sembra essere messa sufficientemente in evidenza. Se il fascicolo sanitario elettronico è il “pilastro” per la garanzia della migliore continuità assistenziale, tale obiettivo non può certo realizzarsi a capito della protezione dei dati personali né – verrebbe da aggiungere – con un rischio di diversità regionale tanto profondo, diversità che non dovrebbe toccare i diritti fondamentali, ma solo alcune procedure per garantirli.



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Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

Messaggio da stealthy » giovedì 11 luglio 2013, 10:31

Che pasticcio e che rottura. Da una parte sono per il fascicolo elettronico perché ti togli la rottura dell'Asl e d'altra parte si pone il problema hiv. Ed io sono anche stanco di guardarmi le "spalle" per questa maledetta patologia.
Avrei tante cose da fare e da cambiare nella mia vita e per colpa di questa bestia non posso farle. Quanta fatica che mi costa!
Comunque tornando al discorso: la soluzione del codice a barre non mi sembra male, poi bisogna vedere come la fanno e che non facciano le cose a metá, come al solito della pubblica amministrazione



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Re: Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

Messaggio da uffa2 » giovedì 11 luglio 2013, 11:54

Il codice esenzione effettivamente è una foglia di fico veramente picccolina: il codice a barre sarenne anche più rapido da leggere automaticamente... tra l'altro una volta sono andato in una farmacia e il farmacista s'è messo a discettare con me del fatto che a suo avviso il codice esenzione non era aggiornato rispetto a non so cosa, roba un po' strana visto che la ricetta veniva dal mio Centro, che immagino sappia che cosici usare... insomma chi è "del giro" lo riconosce e ti scoccia pure!


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Re: Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

Messaggio da Puzzle » venerdì 12 luglio 2013, 0:57

A proposito di privacy, m'è tornato in mente un episodio: qualche anno fa parlai della mia sieropositività ad un amico che mi rispose di averlo sempre saputo e mi raccontò come: nel 1985, dopo la diagnosi, mi feci seguire dal dottor Tirelli al CRO di Aviano che era stato aperto da poco. All'epoca c'era tutto da scoprire sull'hiv e lui era un medico giovane, dinamico e ambizioso. (Ricordo che andava a fare i test alle prostitute di Pordenone). Inoltre inizialmente al CRO avevano cominciato a fare ricerca. Era il periodo in cui veniva tutto "categorizzato" per cui, oltre alle categorie dei gay, dei tossicodipendenti (gli eterosessuali erano poco più dell'1%) lui aveva aggiunto quella dei lavoratori/trici del sesso e, dopo avermi conosciuto, la categoria delle persone che avevano soggiornato e vissuto all'estero (lo so perché lo lessi in una sua intervista locale e capii che parlava di me). Questa cosa è finita in una pubblicazione o uno studio di casi clinici (naturalmente anonimi) o qualcosa del genere ed è stata letta dalla cugina del mio amico, che all'epoca si stava laureando in medicina. Essendo io un amico di famiglia, leggendo il caso clinico e chi lo aveva scritto, non gli ci è voluto molto per fare 2 + 2 e capire che quel caso clinico ero io e quindi ne ha parlato in famiglia. Sono persone corrette e riservate e non me ne hanno mai accennato fin quando diversi anni dopo non gliene ho parlato io.

Ma la morale di questa storia mi ha insegnato che non ci sono codici a barre che tengano se una storia deve saltar fuori, salta fuori e basta, attraverso le vie più imprevedibili. Nella vita ho imparato che un segreto è tale solo se conosciuto da una sola persona, due sono già troppe. Io non ho particolari problemi ad usare il codice 020 e penso che i casi limite delle persone che rifiutano di farsi curare piuttosto di registrarsi avrebbero bisogno, prima dei codici magnetici, di un cammino di supporto finalizzato all'accettazione. Continuare a seppellire e a nascondersi, soprattutto nell'ambito sanitario, non porta da nessuna parte.



skydrake
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Re: Fascicolo sanitario elettronico e riservatezza dei dati

Messaggio da skydrake » venerdì 12 luglio 2013, 16:01

Questo argomento lo avevamo affrontato anche qui:

http://hivforum.info/forum/viewtopic.ph ... aia#p17370

Dove descrivevo di un caso di un mio amico, sua madre e il medico di famiglia.
Altrove su questo sito, non mi ricordo più dove, c'era chi si lamentava che ad una visita dal medico di famiglia con sua madre il medico esclamò "ma cosa é 'sto codice 020?"
Un altro mio amico preferisce essere seguito dall'infettologia di un'ospedale della provincia accanto in quanto il suo medico di base era un amico di famiglia. Infine, il mio ex, poliziotto di quartiere in un piccolo comune, sapeva i cacchi di tutti non solo per via del suo lavoro, ma perché il paese é piccolo e mormora, specie ad uno in divisa e sopratutto il medico del paese, il quale quando beveva si prodigava ad informare non solo quelli in divisa.

Gira e rigira, qui gioca sempre un ruolo fondamentale il medico di famiglia che ha accesso a certe informazioni (inutilmente, la nostra patologia ci impone di essere seguiti da centri specialistici) e non le sa gestire.

Questa é una semplice conseguenza della prima legge di Murphy ("se qualcosa può andare male lo andrà"). Se dai ai medici di famiglia, spesso a contatto col resto della famiglia, tali informazioni, prima o poi potrebbe capitare che le possano diffondere (si, ogni volta per errore, per pura coincidenza, per violazione del PC da parte di terzi ecc., ogni volta si fa la solita frittata). Ma perché dare tale informazione ai medici di famiglia anche contro la nostra volontà? Alcuni qui si lamentano che non sono adeguatamente seguiti dal proprio medico in infettologia. Io invece lo sono e quindi posso fare a meno del medico di famiglia. Anche per cosa banali (es lombalgia), io non mi fiderei perché un normale medico di famiglia non é in grado di gestire un paziente sieropositivo (es. per la mia ultima lombalgia mi ha prescritto inizialmente del cortisone, sono stato io a farglielo cambiare con de Voltaren+Muscoril).

Io vedo solo una soluzione: permettere ai centri di infettologia (o gli altri centri specialistici, per altre patologie), di blindare i dati nel fascicolo elettronico di loro competenza, in caso di esplicita richiesta del paziente.



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