Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanitario
Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanitario
Hiv, rapporto Arcigay. Quando a discriminare i sieropositivi sono medici e dentisti. "Il 17% si è visto negare le cure"
Stefano Pitrelli, L'Huffington Post | Pubblicato: 08/11/2013 19:39 CET | Aggiornato: 08/11/2013 20:01 CET
Fra le leggende metropolitane che girano intorno alla sieropositività ce n’è una che è ormai un classico: non voler bere dallo stesso bicchiere. Un pregiudizio che diventa particolarmente grave se chi ce l’ha è un medico, o un infermiere. È così: lo stigma del sieropositivo risulta più forte perfino delle competenze e del metodo scientifico che si presumono appartenere agli operatori socio-sanitari. Il 56% di quelli intervistati non vorrebbe bere da quel bicchiere, pur nella consapevolezza teorica di un falso mito. Quando non sono i pregiudizi, poi, ci si mette la “morale”, come quella in base alla quale chi contrae l’HIV attraverso comportamenti promiscui, a differenza di chi lo contrae da una trasfusione, viene mediamente giudicato in modo più negativo.
Sono solo pochi aspetti di una ricerca molto più complessa (basata su una mole di più di 1300 interviste: oltre 500 persone sieropositive e circa 800 operatori) che verrà presentata domani mattina a Roma da Arcigay. Si tratta di un rapporto sugli operatori socio-sanitari e la discriminazione percepita – e subìta – da parte delle persone sieropositive.
Tanto per cominciare, quasi due terzi dei partecipanti hanno riportato di essersi sentiti trattare diversamente o ingiustamente a causa del loro “stato sierologico” almeno una volta nella vita. Altro che giuramento d’Ippocrate: il 17% ha riportato di essersi visto rifiutare l’aiuto proprio a causa della propria sieropositività. Il giudizio finale è avvilente, sembra che non sia fatto un solo passo avanti dagli anni ’90.
Soprattutto nel caso dei dentisti, che spiccano fra gli operatori che discriminano di più. Una storia su tutte: “Il dentista mi ha interrotto la cura dell’apparecchio ai denti perché sono diventato sieropositivo durante, mi ha lasciato sui denti un pezzo di metallo perché non ha più voluto toccarmi”.
L’Huffington Post ha avuto modo di scorrere in anteprima il rapporto, e di parlarne con Gabriele Prati, supervisore scientifico e coordinatore della ricerca.
Si può parlare di ghetto?
Quello che emerge è che in ultima analisi la maggior parte degli operatori sociosanitari non nutre atteggiamenti apertamente discriminatori, ma c’è un 10-15% che invece riporta comportamenti scopertamente negativi verso le persone sieropositive. Incluso l’essere d’accordo sul fatto che un sieropositivo abbia meno dignità degli altri. C’è chi non lo vorrebbe neanche come vicino di casa, indipendentemente dal fatto che sia una villetta o un appartamento in condominio… Se questo si può anche capire da parte di una persona che non abbia particolari conoscenze in ambito medico, risulta però difficilmente comprensibile in una persona che abbia fatto un determinato percorso. Da un medico piuttosto che da un infermiere o uno psicologo.
A che serve studiare medicina se poi ci si comporta in base a falsi miti?
Certamente c’è un’esigenza di lontananza verso le persone sieropositive che è di gran lunga eccessiva rispetto a quello che direbbero le conoscenze basilari circa la diffusione. Un bisogno di distanza, e in altri casi di giudizio. C’è perfino una resistenza a prendere lo stesso mezzo pubblico. Capisco la necessità di operare in condizioni di massima sicurezza e protezione, ma un problema a prendere lo stesso treno si scontra fortemente con l’abc della trasmissione dell’HIV.
C’è altro, oltre alla paura?
La paura è forte. Ma c’è anche un atteggiamento diverso a seconda della modalità con cui si è contratto il virus. Più negativo, quando avviene attraverso un comportamento giudicato criticamente a livello morale. Questo retaggio rimane. Ma aldilà della preparazione scientifica, la mia personale interpretazione dei risultati della ricerca è che la paura del contagio sia fondamentalmente tanto forte da far venir meno le proprie competenze. Hanno studiato ma i pregiudizi prendono il sopravvento.
Che genere di ghetto rischia di formarsi in base alla paura?
I dati che qui emergono sono decisamente più preoccupanti: se a livello generale la maggior parte non vive con particolare disagio il vicino sieropositivo, ben il 70-80% non mostra contrarietà rispetto a forme di discriminazione istituzionale. Ce ne saremmo aspettati meno. Sull’obbligo per le persone sieropositive a rivelare il proprio stato sierologico indipendentemente dalla tipologia della prestazione, ad esempio. E addirittura sette su dieci non sono contrari alla pratica di informare i familiari sullo stato del paziente indipendentemente dal suo consenso. Infine uno su quattro non è contrario a introdurre la possibilità di evitare il paziente in quanto sieropositivo.
Una specie di obiezione di coscienza…
Altro che giuramento d’Ippocrate.
Stefano Pitrelli, L'Huffington Post | Pubblicato: 08/11/2013 19:39 CET | Aggiornato: 08/11/2013 20:01 CET
Fra le leggende metropolitane che girano intorno alla sieropositività ce n’è una che è ormai un classico: non voler bere dallo stesso bicchiere. Un pregiudizio che diventa particolarmente grave se chi ce l’ha è un medico, o un infermiere. È così: lo stigma del sieropositivo risulta più forte perfino delle competenze e del metodo scientifico che si presumono appartenere agli operatori socio-sanitari. Il 56% di quelli intervistati non vorrebbe bere da quel bicchiere, pur nella consapevolezza teorica di un falso mito. Quando non sono i pregiudizi, poi, ci si mette la “morale”, come quella in base alla quale chi contrae l’HIV attraverso comportamenti promiscui, a differenza di chi lo contrae da una trasfusione, viene mediamente giudicato in modo più negativo.
Sono solo pochi aspetti di una ricerca molto più complessa (basata su una mole di più di 1300 interviste: oltre 500 persone sieropositive e circa 800 operatori) che verrà presentata domani mattina a Roma da Arcigay. Si tratta di un rapporto sugli operatori socio-sanitari e la discriminazione percepita – e subìta – da parte delle persone sieropositive.
Tanto per cominciare, quasi due terzi dei partecipanti hanno riportato di essersi sentiti trattare diversamente o ingiustamente a causa del loro “stato sierologico” almeno una volta nella vita. Altro che giuramento d’Ippocrate: il 17% ha riportato di essersi visto rifiutare l’aiuto proprio a causa della propria sieropositività. Il giudizio finale è avvilente, sembra che non sia fatto un solo passo avanti dagli anni ’90.
Soprattutto nel caso dei dentisti, che spiccano fra gli operatori che discriminano di più. Una storia su tutte: “Il dentista mi ha interrotto la cura dell’apparecchio ai denti perché sono diventato sieropositivo durante, mi ha lasciato sui denti un pezzo di metallo perché non ha più voluto toccarmi”.
L’Huffington Post ha avuto modo di scorrere in anteprima il rapporto, e di parlarne con Gabriele Prati, supervisore scientifico e coordinatore della ricerca.
Si può parlare di ghetto?
Quello che emerge è che in ultima analisi la maggior parte degli operatori sociosanitari non nutre atteggiamenti apertamente discriminatori, ma c’è un 10-15% che invece riporta comportamenti scopertamente negativi verso le persone sieropositive. Incluso l’essere d’accordo sul fatto che un sieropositivo abbia meno dignità degli altri. C’è chi non lo vorrebbe neanche come vicino di casa, indipendentemente dal fatto che sia una villetta o un appartamento in condominio… Se questo si può anche capire da parte di una persona che non abbia particolari conoscenze in ambito medico, risulta però difficilmente comprensibile in una persona che abbia fatto un determinato percorso. Da un medico piuttosto che da un infermiere o uno psicologo.
A che serve studiare medicina se poi ci si comporta in base a falsi miti?
Certamente c’è un’esigenza di lontananza verso le persone sieropositive che è di gran lunga eccessiva rispetto a quello che direbbero le conoscenze basilari circa la diffusione. Un bisogno di distanza, e in altri casi di giudizio. C’è perfino una resistenza a prendere lo stesso mezzo pubblico. Capisco la necessità di operare in condizioni di massima sicurezza e protezione, ma un problema a prendere lo stesso treno si scontra fortemente con l’abc della trasmissione dell’HIV.
C’è altro, oltre alla paura?
La paura è forte. Ma c’è anche un atteggiamento diverso a seconda della modalità con cui si è contratto il virus. Più negativo, quando avviene attraverso un comportamento giudicato criticamente a livello morale. Questo retaggio rimane. Ma aldilà della preparazione scientifica, la mia personale interpretazione dei risultati della ricerca è che la paura del contagio sia fondamentalmente tanto forte da far venir meno le proprie competenze. Hanno studiato ma i pregiudizi prendono il sopravvento.
Che genere di ghetto rischia di formarsi in base alla paura?
I dati che qui emergono sono decisamente più preoccupanti: se a livello generale la maggior parte non vive con particolare disagio il vicino sieropositivo, ben il 70-80% non mostra contrarietà rispetto a forme di discriminazione istituzionale. Ce ne saremmo aspettati meno. Sull’obbligo per le persone sieropositive a rivelare il proprio stato sierologico indipendentemente dalla tipologia della prestazione, ad esempio. E addirittura sette su dieci non sono contrari alla pratica di informare i familiari sullo stato del paziente indipendentemente dal suo consenso. Infine uno su quattro non è contrario a introdurre la possibilità di evitare il paziente in quanto sieropositivo.
Una specie di obiezione di coscienza…
Altro che giuramento d’Ippocrate.
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
e poi la mia infettivologa mi dice che io DEVO informare il chirurgo che dovrà operarmi per un dovere morale....ma STI GRAN CAZ...!!!! Mi informerò io sulle medicine e antibiotici che mi darà il chirurgo per vedere se ci sono interazioni e per tutelare LA MIA di salute,ma non rivelerò nulla proprio.
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Mi ero sempre ripromessa di aggiornare questo thread. Non ne ho mai avuto il tempo, né purtroppo ce l'ho adesso.
La continua presenza di atteggiamenti e comportamenti stigmatizzanti nei confronti delle persone con HIV da parte di medici e infermieri è un tema che meriterebbe una riflessione più seria di quella che sono in grado di fare adesso, perché indica la permanenza di una sorta di zoccolo duro, un groviglio di emozioni molto difficile da scalfire, dal momento che quasi tutto quello che si poteva fare razionalmente, tramite l’informazione corretta sull’infezione e le modalità di trasmissione, credo sia stato fatto.
Chi meglio di medici e infermieri può sapere come si prende o non si prende il virus? Sanno benissimo di non correre nessun rischio a curare un malato di HIV, eppure persiste in alcuni di loro qualcosa che temo abbia a che fare con il disgusto e una paura molto profonda.
Ben al di là dell’ignoranza, e perfino al di là del giudizio morale o moralistico su pratiche e scelte sessuali, mi sembra che in alcuni medici e infermieri ci sia l’incapacità di osservare dall’esterno le tante emozioni che si collegano al sesso, al sangue e alla morte, che si agitano dentro di loro e che si coagulano attorno all’HIV.
Se ne fanno sopraffare, un po’ come accade ai tanti ipocondriaci che frequentano i forum divorati da un’ansia che le informazioni non fanno altro che nutrire.
Creano attorno all’HIV delle fantasie e se ne lasciano imprigionare, perdendo ogni lucidità di giudizio e ogni senso della misura e finendo con il mettere in atto dei comportamenti non etici.
Mi dispiace di non poter scrivere di più e meglio. Vi lascio dunque, come spunto di studio e di riflessione, il report preparato da Gabriele Prati, Università di Bologna, relativo all'indagine commissionata da Arcigay, che Prati mi ha mandato un anno e mezzo fa - riguarda persone LGBT con HIV, ma i molti casi di discriminazione che abbiamo visto anche in anni recenti contro eterosessuali con HIV mi spingono a pensare che il rischio di essere vittima di comportamenti stigmatizzanti in ambito sanitario lo si corra indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Anche se, certo, l'essere LGBT può facilmente peggiorare le cose, perché risveglia anche altri pregiudizi.
La continua presenza di atteggiamenti e comportamenti stigmatizzanti nei confronti delle persone con HIV da parte di medici e infermieri è un tema che meriterebbe una riflessione più seria di quella che sono in grado di fare adesso, perché indica la permanenza di una sorta di zoccolo duro, un groviglio di emozioni molto difficile da scalfire, dal momento che quasi tutto quello che si poteva fare razionalmente, tramite l’informazione corretta sull’infezione e le modalità di trasmissione, credo sia stato fatto.
Chi meglio di medici e infermieri può sapere come si prende o non si prende il virus? Sanno benissimo di non correre nessun rischio a curare un malato di HIV, eppure persiste in alcuni di loro qualcosa che temo abbia a che fare con il disgusto e una paura molto profonda.
Ben al di là dell’ignoranza, e perfino al di là del giudizio morale o moralistico su pratiche e scelte sessuali, mi sembra che in alcuni medici e infermieri ci sia l’incapacità di osservare dall’esterno le tante emozioni che si collegano al sesso, al sangue e alla morte, che si agitano dentro di loro e che si coagulano attorno all’HIV.
Se ne fanno sopraffare, un po’ come accade ai tanti ipocondriaci che frequentano i forum divorati da un’ansia che le informazioni non fanno altro che nutrire.
Creano attorno all’HIV delle fantasie e se ne lasciano imprigionare, perdendo ogni lucidità di giudizio e ogni senso della misura e finendo con il mettere in atto dei comportamenti non etici.
Mi dispiace di non poter scrivere di più e meglio. Vi lascio dunque, come spunto di studio e di riflessione, il report preparato da Gabriele Prati, Università di Bologna, relativo all'indagine commissionata da Arcigay, che Prati mi ha mandato un anno e mezzo fa - riguarda persone LGBT con HIV, ma i molti casi di discriminazione che abbiamo visto anche in anni recenti contro eterosessuali con HIV mi spingono a pensare che il rischio di essere vittima di comportamenti stigmatizzanti in ambito sanitario lo si corra indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Anche se, certo, l'essere LGBT può facilmente peggiorare le cose, perché risveglia anche altri pregiudizi.
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Io taccio che è meglio...E comunque è vero, al di là del camice e del comportamento apparentemente lucido e tranquillo, molti medici ed operatori si lasciano sopraffare da ansie, ipocondrie e paure ingiustificate che mettono a disagio pazienti e colleghi. Per fortuna non sono tutti così e c'è anche gente preparata e con un equilibrio mentale sano. Bisogna solo sperare di avere a che fare con questi ultimi e non con i primi.
CIAO GIOIE
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Che le discriminazioni (e soprattutto l'ignoranza) siano ancora largamente diffuse in ambito medico, lo testimonia anche questo reportage: http://www.franceinfo.fr/vie-quotidienn ... ifs-688198
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Sono il primo ad essere consapevole delle discriminazioni che girano intorno all'hiv, pero devo dire che certi articoli mi sembrano esagerati rispetto a quello che mi è stato raccontato da s+ che non hanno vissuto gli anni 80 e 90( le peggiori discriminazioni quindi) ma che convivono con l hiv anche da 10-15 anni, non poco quindi. Mi colpì' uno recentemente che diceva di aver avuto 3 relazioni una dopo l 'altra con donne s- senza mai avere problemi , da quando era s+, e di non avere mai avuto particolari problemi coi medici.
Forse è anche questione di fortuna non saprei.
Forse è anche questione di fortuna non saprei.
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Sì, c'è chi è "fortunato" e chi non lo è. Ma se ragioniamo in termini di "fortuna" dobbiamo fermarci qui e al più possiamo battere sulla spalla a uno "sfortunato", che ci racconta di avere subito umiliazioni dal dentista, e dirgli "poverino, che sfiga, mi dispiace tanto per te".alfaa ha scritto:Sono il primo ad essere consapevole delle discriminazioni che girano intorno all'hiv, pero devo dire che certi articoli mi sembrano esagerati rispetto a quello che mi è stato raccontato da s+ che non hanno vissuto gli anni 80 e 90( le peggiori discriminazioni quindi) ma che convivono con l hiv anche da 10-15 anni, non poco quindi. Mi colpì' uno recentemente che diceva di aver avuto 3 relazioni una dopo l 'altra con donne s- senza mai avere problemi , da quando era s+, e di non avere mai avuto particolari problemi coi medici.
Forse è anche questione di fortuna non saprei.
Le esperienze personali devono essere sommate e analizzate tutte insieme per poter capire quale sia il livello dello stigma e della discriminazione in un dato campo e per stabilire quali sono gli strumenti migliori per contrastarlo. Cioè per cambiare le cose. Per non restare dentro nella spirale del vittimismo e della sfiga.
Per questo servono gli studi scientifici - per allargare la stretta prospettiva individuale e capire quanto sia rappresentativa di quel che accade in generale.
Altrimenti si trasforma la propria esperienza in regola generale e ci si impedisce di comprendere quello che effettivamente accade nel mondo.
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
Certo, è solo che mi stupisce questo studio letto qui perchè da quel che avevo letto in giro per i forum, non mi sembrava che il tasso di discriminazione tra i medici fosse cosi alto . Sono rimasto stupito.
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- Iscritto il: martedì 18 settembre 2012, 22:32
Re: Rapporto Arcigay su discriminazioni e HIV in campo sanit
non mi sono mai fatto condizionare da un camice bianco, so che dietro ci sono persone, alcuni di basso livello culturale anche se sono delle cime nel loro campo, alcuni con pregiudizi talmente profondi che neanche di fronte ai fatti scientifici dimostrabili indietreggiano, nel sentire comune il camice bianco rappresenta un alone di purezza etica e morale che non può essere sfiorato da un atteggiamento razzista e discriminatorio, non è così e quasi tutti noi abbiamo avuto a che fare con "qualcosa che non va" o con un atteggiamento palesemente ostile. Io me ne sono fatto una ragione ma allontano con altrettanta durezza chi si mostra in un determinato modo, in fondo sono dei meschini che si dilaniano fra conflitti e repressioni traportandola nella loro vita lavorativa. Sta a noi stanarli, individuarli e "stigmatizzarli" per la loro miserevole vita e per il fango che gettano sulla scienza. nessuna pietà, via a gambe levate dopo una sana strigliata , perché il silenzio è quello che vogliono. 
