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Tra i nostri lettori non molti conosceranno il NICE (National Institute for Health and Care Excellence), ente britannico per nulla “simpatico” a dispetto del nome ma, anzi, vero e proprio cane da guardia della spesa sanitaria in UK e faro di ogni farmacoeconomista scatenato in giro per il mondo.

Con approccio tipicamente british, il NICE si occupa di HIV, e lo fa non per tagliare le gambe a farmaci troppo costosi, come è solito fare, ma per spingere l’acceleratore su quello che paradossalmente potrebbe sembrare un driver di costo: il test per l’HIV.
Scrive il NICE che «il test per l’HIV è fondamentale per prevenire la trasmissione. Questo perché oltre la metà dei nuovi casi sono dovuti a che ignoravano di essere sieropositive avendo rapporti sessuali non protetti. Le persone che non conoscono il loro stato di HIV+ sono ritenute essere 3 volte più a rischio di trasmettere l'infezione rispetto a coloro che conoscono il loro stato. Esse hanno anche il doppio delle probabilità di avere rapporti sessuali non protetti.»
Il NICE ricorda che «promuovere il test HIV può aiutare le persone a vivere più a lungo e una vita più sana attraverso l'accesso precoce ai farmaci anti-retrovirali, risparmiare denaro attraverso la riduzione dei ricoveri e dei costi di cura, e ridurre i tassi di trasmissione, migliorando i tassi di diagnosi».
Il professor Mike Kelly, direttore del Centro per la salute pubblica del NICE ha detto sottolineato che «Troppe persone affette da HIV nel Regno Unito non sanno di avere il virus. Si tratta di un grave problema di salute, che può beneficiare di un trattamento precoce. Si stima che poco meno di 100.000 persone vivessero con l'HIV nel Regno Unito nel 2012, ma che 1/5 di loro non sapeva di essere portatore del virus. Se queste persone fossero identificate e trattate, potrebbero essere prevenuti 3.500 casi di trasmissione del virus HIV entro 5 anni. La diagnosi precoce dell’HIV può significare che le persone sono in grado di vivere una vita piena e normale se prendono farmaci antiretrovirali. E una volta che le persone vengono trattate sono molto meno contagiose. Inoltre, nei primi cinque anni, si potrebbero risparmiare oltre 22 milioni di euro per anno, spesi per i costi di trattamento».

L’articolo originale in inglese è qui: https://www.nice.org.uk/News/Article/pe ... -diagnoses

è una questione molto interessante, in effetti.
i signori del NICE ragionano, in questo caso, come degli assicuratori - che notoriamente, in effetti, non godono di molta simpatia e non spiccano per empatia.
ma l'idea ci sta, in questa logica - e anzi, mi ricorda per certi versi la questione della spinta verso l' "immunità di gregge" - che andrebbe sbattuta in faccia a certi antivaccinisti, e che ha ben altro valore, da un punto di vista epidemiologico e sociale prima ancora che farmaco-economico.

quando invece quel che fanno è tagliare in nome di rientri e tagli di bilancio, a caporchia, indiscriminatamente - cioè, accorpando a cavolo servizi, presidi, prestazioni...
ecco, ho in mente chi non troppo tempo fa ha ostentatamente voltato le spalle alla bara di maggie thatcher, lungo la strada del suo funerale.

ma vabbè, anzitutto sono un estremista.
e poi non ho letto l'articolo per intiero, ora vo a farmi un giretto.
comunque lo trovo uno spunto interessante.

Il NICE rappresenta un punto di vista un po’ distante da quello di noi latini per cui “qualunque cifra (tanto non sono soldi miei) ma fate qualcosa” e leggere i provvedimenti del NICE è generalmente un pugno nello stomaco, ma ogni tanto mi sembra che abbiano ragione loro.

Il principio è “le cure devono aggiungere giorni e valore a quei giorni in modo significativo, più aggiungono giorni e valore più siamo disposti a spendere, se non riescono in questo obiettivo tanto vale non farle”.

Paradossalmente è un discorso che facciamo quasi tutti quando qualcuno si trascina in un’agonia senza senso, ma non siamo disposti ad accettare che sia un metro generale.
Eppure è razionale: spendere palate di soldi per aggiungere poche settimane di squallida sopravvivenza serve solo a lavare le coscienze, e per di più sottrae risorse (che per definizione sono limitate) a un sistema in cui magari quegli stessi soldi avrebbero potuto allungare e migliorare significativamente la vita di malati dalle patologie meno “eroiche” dal punto di vista delle emozioni.
Non è un caso che, il molto citato rapporto OMS del 2000 che metteva il SSN al secondo posto nel mondo avesse uno dei suoi perni nella sopravvivenza da tumore, uno di quei casi in cui effettivamente il sistema britannico è più “spietato” (forse dovrei dire “era”, perché qualche riflessione inizia a farsi anche dalle nostre parti…).
Comunque, nel caso concreto, il “bello” di questo approccio razionale è che, come osservavi, può essere pure “win-win”: scoprendo in anticipo i contagi e offrendo copertura a chi è contagiato e non sapeva di esserlo, miglioro le sue condizioni di salute grazie ai controlli frequenti e alla migliorata protezione immunitaria e, abbasso la contagiosità dei singoli e in qualche modo li spingo a considerare la propria condizione riducendo così anche il numero dei contagi ulteriori, sicché la maggiore spesa iniziale (test e, quando serve, terapia antiretrovirale) si traduce in un risparmio già nel breve termine.

sonounatigre ha scritto:l'idea ci sta, in questa logica - e anzi, mi ricorda per certi versi la questione della spinta verso l' "immunità di gregge" - che andrebbe sbattuta in faccia a certi antivaccinisti, e che ha ben altro valore, da un punto di vista epidemiologico e sociale prima ancora che farmaco-economico.

Non avevo mai pensato che l'immunità di gregge potesse essere tirata fino a farla rientrare in "Treatment as Prevention". È un'idea molto interessante.