ZERO NUOVE INFEZIONI: San Francisco ci sta provando.
Inviato: mercoledì 15 aprile 2015, 20:35

Devo dire la verità, per qualche tempo ho guardato a questo obiettivo con disgustata sfiducia.
L’idea che, in assenza di una soluzione farmacologica effettiva all’infezione instaurata, si potesse anche solo pensare di interrompere i nuovi contagi mi pareva una di quelle robe da incantatori abili a lucidare specchietti per abbagliare le allodole.
Ho probabilmente commesso lo stesso errore di chi, nei primi anni ‘90 del secolo scorso, pensava di fermare l’HIV con un solo farmaco somministrato a dosi crescenti, mentre invece la strategia vincente è stata quella di usare (relativamente) basse dosi di più farmaci in cocktail.
Ma, altrettanto probabilmente, il cocktail di cui si parla qui stava aspettando l’ultimo ingrediente, la PrEP.
San Francisco e l’HIV
Siamo a San Francisco, una delle capitali mondiali dell’AIDS nei tristi giorni della sua apparizione in Occidente, una città che ha pagato un prezzo pesante all’infezione. San Francisco è tutt’ora una delle capitali USA dell’HIV/AIDS: ha circa 360 nuove infezioni/anno pur avendo più di 837.442 abitanti. Si tratta di un numero molto elevato non solo facendo il paragone con l’Italia, ma anche con gli USA che, con poco meno di 320 milioni di abitanti hanno quasi 50.000 infezioni l’anno, una ogni 6400 abitanti, contro una nuova infezione ogni 2332 abitanti nella cittadina californiana.
Pur con questi numeri, San Francisco è alla guida tra le città degli Stati Uniti nella lotta contro l’HIV.
In questa città, percentuali più elevate di persone sieropositive conoscono il loro stato, sono seguite e in trattamento e sono viralmente soppresse rispetto al resto degli USA. Inoltre, i casi di nuova diagnosi di infezione da HIV sono calati notevolmente negli ultimi anni. Questi risultati sono probabilmente alla base dell’idea che San Francisco potesse diventare la prima città a giungere a zero morti per HIV, zero nuove infezioni e di zero casi di stigma HIV-correlato.
Il punto di partenza: offrire il trattamento ai neodiagnosticati
Nel 2014 è stato costituito un consorzio di agenzie per sviluppare e controllare l’attuazione di una strategia per “arrivare a zero”. Con pragmatismo, il consorzio è partito dalla premessa del mantenimento ai livelli attuali del modello di risposta di San Francisco all’epidemia, prevedendo una serie di nuove iniziative che potrebbero avere un impatto significativo sul controllo dell’HIV in città.
Il punto di partenza è stata una politica di intervento adottata nel 2010, che al tempo aveva suscitato molte polemiche: offrire servizi e trattamento per l’HIV a tutti i neo diagnosticati. Quello che a noi può sembrare scontato non lo è in un Paese in cui la copertura sanitaria universale non esiste: un’amministrazione locale ha dovuto scegliere di destinare dei fondi a questo progetto, contro ovviamente le infinite alternative, magari meno “scomode”. Negli anni questa politica di intervento precoce ha mostrato non solo di migliorare la salute delle persone con HIV ma anche di essere fortemente responsabile del calo dei nuovi casi di infezione sperimentato negli ultimi anni.
Andare oltre: tre piani di intervento
1) Accesso rapido e mantenimento
Anzitutto l’obiettivo è di assicurare che le persone con nuova diagnosi di HIV sono acquisiti dal sistema di servizi e trattamento (cd. linkare) ancora più rapidamente di quanto non siano oggi. Nel caso delle persone nelle prime fasi di infezione, quando è particolarmente possibile trasmettere l’HIV, il sistema cerca di facilitare l’accesso a servizi e trattamento il giorno stesso della diagnosi. Per tutti gli altri soggetti di nuova diagnosi, il collegamento sarà per quanto possibile realizzato entro 48 ore.
Poi, diventa fondamentale che le persone con HIV restino inserite nel programma e sotto trattamento. Molte persone vengono “perse al sistema” per una serie complessa di ragioni. Così è previsto un programma di mantenimento e di rinnovo del coinvolgimento in cui ai pazienti HIV si ricordano le visite mediche e, se mancano gli appuntamenti, li si assiste per determinare che tipo di sostegno potrebbe essere necessario per rimanere o impegnarsi nuovamente nella cura. Poiché situazioni abitative instabili, problemi di salute mentale e uso di sostanze sono ostacoli significativi per linkage e ritenzione alla cura per molte persone, il consorzio supporta anche un’espansione dei finanziamenti per questi servizi di supporto.
2) PrEP
Il secondo punto è l’ingrediente più nuovo del cocktail d’intervento: la PrEP. I risultati della PrEP nel prevenire nuovi contagi sono già stati al centro del recente CROI 2015 e abbondantemente illustrati in un altro thread, ciò che qui rileva è che San Francisco è stato il luogo di sperimentazioni cliniche e progetti per valutare l’efficacia della PrEP e le buone prassi per la distribuzione dei farmaci, però l’assunzione della PrEP è ancora insufficiente per avere un impatto sensibile sull’epidemia.
3) Divulgazione
E per questo c’è il terzo elemento, infine, del piano per arrivare a zero: una serie di misure per aumentare l’assunzione della PrEP attraverso una più vasta attività di divulgazione, a livello di comunità, dei fornitori di servizi correlati, ospedaliera, assieme al supporto offerto alle persone per muoversi tra i sistemi di assistenza sanitaria e di assicurazione dell’area.
Il costo per l’attuazione del piano nel suo primo anno è di circa 2,3 milioni di US$, un costo neppure spropositato, che la municipalità potrebbe sostenere per gran parte e che attende la partecipazione di sostenitori dal mondo privato e delle fondazioni.
Un servizio sulla PBS
La PBS (una sorta di rete di stazioni televisive pubbliche con caratteristiche un po’ diverse da quelle della RAI) ha in questi giorni mandato in onda un breve servizio proprio sull’esperienza di San Francisco.
Nel servizio in particolare vengono incontrati alcuni protagonisti di questo progetto, con i quali si parla apertamente di alcuni timori in particolare sulla PrEP e i suoi effetti diciamo “di costume”.
Uno degli intervistati è Scott Wiener, che è “city supervisor”, una sorta di consigliere comunale, eletto in rappresentanza del distretto amministrativo che comprende anche il quartiere di Castro. Scott è -guardacaso- gay e lo scorso autunno ha fatto un nuovo “coming out” annunciando di avere deciso di prendere la sua bella pillola di Truvada tutte le mattine, a mo’ di PrEP.
Scott è convinto che «se si prende la pillola una volta al giorno, e la si prende costantemente, si ridurrà il rischio di infezione da HIV almeno del 90%, e forse addirittura del 99%.»
La decisione di rivelare che fa uso della PrEP è stata “politica”: Scott voleva sensibilizzare la comunità, così che più persone potessero rifletterci, per dare lo slancio per un migliore accesso a questo trattamento e per cercare di ridurre lo stigma contribuendo a ridurre gli stereotipi.
L’intervistatore osserva che, tra quegli stereotipi, c’è l’obiezione sollevata da alcuni critici che prendere una pillola che previene l’infezione da HIV porterebbe ad un comportamento più promiscuo.
Wiener risponde con argomenti che peraltro conosciamo, e cioè che queste obiezioni sono «come si sostiene che se si dà alle donne accesso alla pillola anticoncezionale, si sta solo incoraggiandole a essere promiscue. O che vaccinare giovani ragazze contro l’HPV le trasformerà in ninfomani. Oppure che parlare di educazione sessuale agli studenti li incoraggerà a essere promiscui.» Questi argomenti per Wiener sono del tutto pretestuosi, mentre si tratta di dare ai cittadini ogni strumento a disposizione per proteggere la loro salute sessuale.
Nell’intervista si discute anche delle criticità della PrEP, per esempio il fatto che mentre gli studi hanno dimostrato che il regime può avere un’efficacia superiore al 90% quando assunto tutti i giorni, l’efficacia scende quando le persone saltano la loro dose quotidiana, nonché il fatto che la prevenzione basata su una pillola invece di un preservativo può portare a un aumento delle altre malattie sessualmente trasmissibili.
Questi aspetti sono un nervo scoperto della PrEP che Wiener non ignora, ma che cerca di spogliare di accenti moralistici: «…gli uomini in generale non voglio indossare il preservativo… e non è sorprendente. Ma, si sa, non indossiamo le cinture di sicurezza o i caschi o un sacco di altre cose, che pure sono una necessità.»
E poi c’è il problema dell’aderenza, e del rischio che la copertura della PrEP sia illusoria non per limiti del farmaco ma perché il farmaco non è assunto come prescritto.
Di questo tema si occupa Barbara Garcia, capo del Dipartimento di Sanità Pubblica di San Francisco, per la quale la città sta lavorando per assicurarsi che il farmaco venga assunto come prescritto, e che la diffusione della PrEP non porti all’abbandono delle pratiche di sesso sicuro. La città sta cercando anzitutto di educare i giovani, in particolare su questo.
Il rischio di MTS correlate al sesso non protetto è concreto e la Garcia ammette che s’è visto un certo aumento di altre MTS a San Francisco, ma non è chiaro se e quanto sia correlabile alla diffusione della PrEP.
Di una cosa la Garcia è sicura: che la strategia di San Francisco porterà a ridurre le infezioni, salvare vite, risparmiare denaro e che sia possibile in particolare risparmiare denaro passando dal mero trattamento dei pazienti sieropositivi alla prevenzione delle nuove infezioni.
In conclusione: l’esperimento di San Francisco è affascinante: se si dimostrerà che l’approccio integrato tra PrEP, divulgazione e trattamento rapido universale per i sieropositivi può fermare l’infezione questo potrebbe essere un punto di svolta, certo molto meno radicale di ciò che vorremmo, ma che potrebbe comunque cambiare il panorama.
Per realizzare questo post sono state consultate alcune fonti:
http://www.pbs.org/newshour/bb/san-fran ... tions-hiv/ (con trascrizione)
http://www.projectinform.org/hiv-policy ... francisco/
http://rhrealitycheck.org/article/2015/ ... nfections/
http://www.huffingtonpost.com/mehroz-ba ... 90636.html