Invece la mia sieropositività fu comunicata secondo i protocolli in attuazione delle più generiche le linee guida del Ministero (compilate per più tipi di gravi eventi avversi):
http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubb ... legato.pdf
Da notare che alcuni protocolli interni, es. di questa clinica privata, prevedono addirittura, se materialmente disponibile, la presenza di uno psicologo durante la comunicazione della diagnosi:
http://www.clinicagrimaldi.it/evento_avverso.pdf
Articolo discorsivo, ma molto dettagliato, sulla comunicazione dell "evento avverso" specifica per il paziente sieropositivo:
http://www.igorvitale.org/2014/03/17/co ... opositivo/
Io fui contattato dal mio medico di famiglia (precedentemente contattato dal Centro di infettivologia, sarà forse una modalità unica del Veneto o della mia ASL) che mi chiese di recarmi da lui, senza spiegare il motivo, ma raccomandosi che dovevo passare da lui il prima possibile. Non era ai capitato fino allora che mi chiamasse (tra l'altro non aveva nemmeno il mio cellulare).
Fu chiamato se non sbaglio anche Rospino, però con la motivazione che doveva ripetere un esame:
http://hivforum.info/forum/viewtopic.ph ... est#p47150
Come anche Firenze87:
http://hivforum.info/forum/viewtopic.ph ... etere+test
Nonché diversi altri di cui mi ricordo.
Le raccomandazioni del Ministero prevedono:
1) il luogo dove deve svolgersi il colloquio: luogo appartato e raccolto nel quale sia possibile comunicare senza interruzioni, garantendo assoluta riservatezza;
2) il momento :
la comunicazione deve avvenire non appena accertato il fatto;
3) la modalità: il professionista deve spiegare con chiarezza la situazione, utilizzare modalità di linguaggio appropriate, non criticare, giudicare o censurare, non esprimere mai troppi concetti contemporaneamente, accertarsi che il messaggio trasmesso sia stato compreso correttamente, esprimere sempre un atteggiamento aperto e disponibile, guardare il paziente negli occhi mentre si sta parlando con lui, accompagnare le parole con i gesti e allo stesso tempo comprendere gli stati d’animo del paziente e le sue motivazioni; è importante dare al paziente la possibilità di esprimere le conoscenze che possiede riguardo alla malattia e ascoltare i suoi silenzi.
Riassumendo, si deve instaurare quello che si chiama un “rapporto empatico".
Fonte:
http://www.igorvitale.org/2014/03/17/co ... opositivo/
Notare che neè le linee guida ministeriali, né i protocolli locali che ho finora visto, prevedono esplicitamente che il paziente debba essere contattato subito via telefono, casomai "
non appena accertato il fatto" delegando al personale medico la modalità di come contattare il paziente (certo, fare finta che nel 2016 non si sappia comporre il numero telefonico eventualmente lasciato dal paziente è piuttosto discutibile).
Il metodo invece di lasciare il referto da ritirare dopo molti giorni dal paziente, in solitudine e senza alcun supporto, viola tutti e tre i punti elencati qui sopra.