Solo
Inviato: martedì 6 giugno 2017, 21:27
In vita mia mi è capitato più volte di sentirmi diverso, così diverso da ritrovarmi in un mondo mio.
Ma ultimamente... Oltre che diverso mi sento parecchio solo, come non mi sono mai sentito prima.
Lo scorso novembre mi trovavo a Milano. Ero lì per lavoro da un paio di mesi e stavo costruendo la mia indipendenza, lontana da casa, piena di novità e di un certo livello di serenità. Succede che mi tengo in contatto con un ragazzo e un giorno si parla di poter passare un weekend in compagnia: lui mi parla di aver fatto da poco il test per l'HIV per dei sospetti avuti, e di essere in attesa del risultato. Tirando in ballo l'argomento mi incuriosisco, chiedo ogni delucidazione possibile e per rispetto della sua sincerità e per mia tutela decido di fare il test a mia volta. Passano un pò di giorni dal prelievo. Lui si fa sentire e mi dice di essere risultato negativo. Ottimo! Toccava a me... Un pomeriggio dopo il lavoro passo a ritirare il referto delle analisi, sperando di non trovare sorprese.
La signora allo sportello prende i miei fogli e mi dice di sedermi, ad aspettare... Un'attesa snervante, che adesso vorrei fosse durata un milione di volte tanto... Perché poi, a un certo punto, vedo due dottori precipitarsi verso lo sportello e entrare negli uffici. La signora fa il mio nome e mi dice di entrare... Da quel momento è iniziato il mio personale inferno.
I signori in camice bianco mi dicono che il mio sangue è infetto dal virus HIV. Io non riesco a crederci... Non ci voglio credere. Vorrei piangere, urlare, distruggere le pareti ma... Sono fermo, immobile e non riesco a capire quello che dicono i medici. Sento solo la mia esistenza sgretolarsi sotto i miei piedi. In pochi giorni mi ritrovo persino ricoverato in ospedale... Dicono che l'infezione è acuta e che si può far tanto per evitare ulteriori ripercussioni. Sento i miei amici più stretti via chat che mi incoraggiano a concentrarmi sugli esami che mi faranno... Ma a fine serata, quando mia madre chiama dal profondo Sud e mi chiede... Com'è andata la giornata? mi tocca dirgli che sono stanco a causa di una sfilza infinita di faccende e spostamenti, mentre senza che lei lo sappia me ne sto moribondo sul letto dell'ospedale. Inizio a mentire spudoratamente alla mia famiglia sulla mia salute, ma anche sul mio stato di quiete. Ho paura, sono solo. I giorni passano... Esco dall'ospedale con un flacone di Truvada e uno di Tivicay. Mi spiegano come, quando e perché assumerle e mi forniscono un calendario di appuntamenti con diversi specialisti per sostenere ancora altri esami da lì a venire.
I farmaci diventano una scomoda compagnia: li assumo con regolarità, all'ora indicata, senza sgarrare una sola volta. Ma puntualmente, dieci minuti dopo averli mandati giù è come beccarsi una tegola in testa. Il mio umore cambia, non riesco a controllare i pensieri negativi e il mal di testa si fa tanto pesante da non reggermi in piedi. Faccio presente la cosa ai medici, che mi offrono la possibilità di variare la terapia, pur consigliandomi di resistere per avere risultati migliori... Decido di accettare il consiglio e lottare. Dopo un paio di controlli trovo la mia viremia azzerata e valori CD4 eccellenti. Evviva! Si torna a vivere come ho sempre fatto, pur osservando delle nuove regole. No... Non finirà così. Nel giro di poche settimane perdo il lavoro. Cerco di mandare curriculum ovunque, pur di trovare un modo per pagare l'affitto e restare lì, nella mia nuova città, dove riesco a gestire tutto da solo. Ma nulla da fare... Mi tocca fare le valige e tornare al Sud perché se ne va via anche l'ultimo gruzzolo di risparmi. In valigia ci metto pure il Triumeq, che mi hanno prescritto da poco. Mi toccherà nasconderlo, mi toccherà nascondere i referti dei miei controlli, mi toccherà nascondere gli ultimi mesi della mia esistenza e trovare un altro reparto di M.I. che mi possa seguire, lontano dagli sguardi di conoscenti e parenti. Torno in paese, provato dal più grosso periodo di fallimenti in vita mia.
Qui faccio fatica a riprendere il controllo della mia vita. Non ci sono i gruppi d'ascolto che tanto mi aiutavano. Non c'è il supporto dello psicologo che è stato essenziale nel periodo più critico. Non c'è gente con cui posso parlare di me... Provo a trovare qualche buona anima con cui restare in contatto sui social network da gay ma... Qui pensano tutti a scopare e basta. Non mi va, non adesso che sto già male a mentire a chiunque su di me e che di volta in volta cadrei nel panico di rivelare la verità a chi si trova in mia compagnia. Ho bisogno di trovare una presenza umana... Ma non ci riesco. Non trovo un altro lavoro. Vivo le mie disgrazie in silenzio. Le giornate sono tutte uguali, non c'è molto da fare. Vado avanti comunque ma... Io qui mi sento solo. :'(
Ma ultimamente... Oltre che diverso mi sento parecchio solo, come non mi sono mai sentito prima.
Lo scorso novembre mi trovavo a Milano. Ero lì per lavoro da un paio di mesi e stavo costruendo la mia indipendenza, lontana da casa, piena di novità e di un certo livello di serenità. Succede che mi tengo in contatto con un ragazzo e un giorno si parla di poter passare un weekend in compagnia: lui mi parla di aver fatto da poco il test per l'HIV per dei sospetti avuti, e di essere in attesa del risultato. Tirando in ballo l'argomento mi incuriosisco, chiedo ogni delucidazione possibile e per rispetto della sua sincerità e per mia tutela decido di fare il test a mia volta. Passano un pò di giorni dal prelievo. Lui si fa sentire e mi dice di essere risultato negativo. Ottimo! Toccava a me... Un pomeriggio dopo il lavoro passo a ritirare il referto delle analisi, sperando di non trovare sorprese.
La signora allo sportello prende i miei fogli e mi dice di sedermi, ad aspettare... Un'attesa snervante, che adesso vorrei fosse durata un milione di volte tanto... Perché poi, a un certo punto, vedo due dottori precipitarsi verso lo sportello e entrare negli uffici. La signora fa il mio nome e mi dice di entrare... Da quel momento è iniziato il mio personale inferno.
I signori in camice bianco mi dicono che il mio sangue è infetto dal virus HIV. Io non riesco a crederci... Non ci voglio credere. Vorrei piangere, urlare, distruggere le pareti ma... Sono fermo, immobile e non riesco a capire quello che dicono i medici. Sento solo la mia esistenza sgretolarsi sotto i miei piedi. In pochi giorni mi ritrovo persino ricoverato in ospedale... Dicono che l'infezione è acuta e che si può far tanto per evitare ulteriori ripercussioni. Sento i miei amici più stretti via chat che mi incoraggiano a concentrarmi sugli esami che mi faranno... Ma a fine serata, quando mia madre chiama dal profondo Sud e mi chiede... Com'è andata la giornata? mi tocca dirgli che sono stanco a causa di una sfilza infinita di faccende e spostamenti, mentre senza che lei lo sappia me ne sto moribondo sul letto dell'ospedale. Inizio a mentire spudoratamente alla mia famiglia sulla mia salute, ma anche sul mio stato di quiete. Ho paura, sono solo. I giorni passano... Esco dall'ospedale con un flacone di Truvada e uno di Tivicay. Mi spiegano come, quando e perché assumerle e mi forniscono un calendario di appuntamenti con diversi specialisti per sostenere ancora altri esami da lì a venire.
I farmaci diventano una scomoda compagnia: li assumo con regolarità, all'ora indicata, senza sgarrare una sola volta. Ma puntualmente, dieci minuti dopo averli mandati giù è come beccarsi una tegola in testa. Il mio umore cambia, non riesco a controllare i pensieri negativi e il mal di testa si fa tanto pesante da non reggermi in piedi. Faccio presente la cosa ai medici, che mi offrono la possibilità di variare la terapia, pur consigliandomi di resistere per avere risultati migliori... Decido di accettare il consiglio e lottare. Dopo un paio di controlli trovo la mia viremia azzerata e valori CD4 eccellenti. Evviva! Si torna a vivere come ho sempre fatto, pur osservando delle nuove regole. No... Non finirà così. Nel giro di poche settimane perdo il lavoro. Cerco di mandare curriculum ovunque, pur di trovare un modo per pagare l'affitto e restare lì, nella mia nuova città, dove riesco a gestire tutto da solo. Ma nulla da fare... Mi tocca fare le valige e tornare al Sud perché se ne va via anche l'ultimo gruzzolo di risparmi. In valigia ci metto pure il Triumeq, che mi hanno prescritto da poco. Mi toccherà nasconderlo, mi toccherà nascondere i referti dei miei controlli, mi toccherà nascondere gli ultimi mesi della mia esistenza e trovare un altro reparto di M.I. che mi possa seguire, lontano dagli sguardi di conoscenti e parenti. Torno in paese, provato dal più grosso periodo di fallimenti in vita mia.
Qui faccio fatica a riprendere il controllo della mia vita. Non ci sono i gruppi d'ascolto che tanto mi aiutavano. Non c'è il supporto dello psicologo che è stato essenziale nel periodo più critico. Non c'è gente con cui posso parlare di me... Provo a trovare qualche buona anima con cui restare in contatto sui social network da gay ma... Qui pensano tutti a scopare e basta. Non mi va, non adesso che sto già male a mentire a chiunque su di me e che di volta in volta cadrei nel panico di rivelare la verità a chi si trova in mia compagnia. Ho bisogno di trovare una presenza umana... Ma non ci riesco. Non trovo un altro lavoro. Vivo le mie disgrazie in silenzio. Le giornate sono tutte uguali, non c'è molto da fare. Vado avanti comunque ma... Io qui mi sento solo. :'(