Un giorno...
Inviato: giovedì 29 marzo 2018, 21:38
Un giorno sarà possibile sconfiggere l’Aids con i farmaci anti-cancro?
http://www.corriere.it/salute/malattie_ ... 2_amp.html
Ci vogliono tutte le cautele del caso, ma vale la pena di raccontare questa storia, i cui protagonisti principali sono il virus Hiv dell’Aids, certi farmaci antitumorali, alcuni malati e tanti ricercatori. Una storia che potrebbe avere un lieto fine: la possibilità, cioè, di «curare» definitivamente l’infezione da Hiv con gli antitumorali. Cominciamo dal caso di un paziente : un uomo di 52 anni che nel 1995 aveva contratto l’infezione da Hiv (curata con gli antivirali) e che nel 2015 si era ammalato anche di cancro al polmone. Operato e trattato con la chemioterapia, aveva avuto una recidiva del tumore e, a quel punto, i medici dell’ospedale Pitié Salpêtrière di Parigi hanno cominciato a somministrargli il nivolumab, un farmaco immunoterapico capace di riattivare le cellule del sistema immunitario contro il tumore (il farmaco appartiene a una nuova classe di molecole innovative, che stanno dando ottimi risultati nella cura contro diverse forme di cancro).
La cura definitiva
Durante la cura, i medici hanno notato alcune cose: la prima è che la quantità di virus nel sangue (praticamente zero all’inizio) aumentava, per poi diminuire drasticamente; la seconda è che una particolare classe di globuli bianchi, i linfociti T -Cd8, capaci di uccidere le cellule infette da Hiv, era aumentata; la terza, più importante, come ha riferito il coordinatore della ricerca Jean-Philippe Spano su Annals of Oncology, è che il virus era sparito dai cosiddetti serbatoi (rappresentati da altri globuli bianchi, chiamati linfociti T - Cd4). «Ed è proprio questo che i ricercatori stanno cercando da tempo: eliminare completamente il virus dall’organismo umano. Arrivare cioè alla “cura” definitiva. Oggi le terapie antiretrovirali riescono a tenere a bada il virus, ma quest’ultimo può rimanere nei cosiddetti reservoir, rappresentati soprattutto dai Cd4. Ecco perché, se si sospende la terapia antiretrovirale, il virus si riattiva». A parlare è Mirko Paiardini, laureato all’Università di Urbino, ma «fuggito» dall’Italia per gli Stati Uniti dove ora dirige, come professore associato, il Laboratorio di Immunopatogenesi dell’infezione da Hiv alla Emory University di Atlanta. Da tempo si sta dedicando allo studio degli immunoterapici antitumorali come potenziale cura dell’infezione da Hiv.
Aids e Hiv: contagio, rischi, controlliLe risposte a tutti i vostri dubbi
I linfociti serbatoi
Lo incontriamo a Boston durante la conferenza annuale sui retrovirus (Croi). La domanda chiave è: come mai questi antitumorali possono funzionare anche nella cura dell’infezione da Hiv? «Il punto è questo - commenta Paiardini -. Il virus Hiv normalmente infetta i linfociti Cd4 che, replicandosi, continuano a produrre virus. Alcuni CD4, però, nascondono il virus nel loro Dna, senza replicarsi e ne diventano serbatoi. In questo caso esprimono un recettore che si chiama Pd1». I Cd4 silenti, con il virus nascosto, e il Pd1, sono dunque gli attori co-protagonisti. «Ma ci sono anche i Cd8 - aggiunge Paiardini -, un altro tipo di linfociti T che di solito dovrebbero riconoscere i Cd4 carichi di virus e distruggerli, ma non lo fanno perché anche loro esprimono questi recettori Pd1 che li “frenano”». I Cd8 «esauriti» sono altri attori co-protagonisti. Ecco allora che entrano in scena i nuovi immunoterapici anti Pd1, come il nivolumab, capaci di sbloccare questi recettori. «Gli immunoterapici agiscono sui Cd4 e li costringono ad attivarsi e quindi a produrre il virus, ma nel frattempo agiscono anche sui Cd8 che si risvegliano e attaccano i Cd4 attraverso il recettore Pd1».
Personaggi famosi sieropositivi: da Rock Hudson a Magic Johnson fino al portiere del Napoli, Giuliano Giuliani
Molecole attive su diversi recettori
L’approccio si chiama «shock and kill»: lo «shock» è quello, appunto, di costringere i CD4 a produrre il virus, il «kill» è quello dei Cd8 che attaccano i Cd4. Il virus, dunque, una volta liberato, verrà aggredito dagli antivirali. «Ma non basta - aggiunge Paiardini -: queste cellule possono esprimere anche altri recettori chiamati Ctla4 che potrebbero essere aggredite da altre molecole immunoterapiche. E l’idea è quella di non usare solo un farmaco, ma un mix di molecole attive su diversi recettori». Con le sue ricerche Paiardini ha fornito un proof of concept, su Immunity, cioè una dimostrazione che teoricamente il tutto può funzionare. I francesi hanno cominciato a dare una prima dimostrazione clinica. Ma ci sono alcune perplessità legate a queste ricerche e per ora l’Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci, non ha dato autorizzazioni alla sperimentazione su pazienti solo con infezione da Hiv. Si temono gli effetti collaterali di questi farmaci (come il rischio di malattie autoimmuni che nel caso dei tumori sono accettabili, ma nel caso dell’infezione da Hiv dove comunque esistono terapie efficaci un po’ meno).
Alti livelli di infiammazione
Molti però ritengono che, nel caso dell’Hiv, i dosaggi sarebbero molto più bassi. La strada è ancora lunga, ma vale la pena di percorrerla per due o tre motivi. «Oggi esistono terapie in grado di controllare l’infezione da Hiv - continua Paiardini -. E se somministrate precocemente possono garantire una buona sopravvivenza ai pazienti. Ma la persistenza del virus Hiv nell’organismo produce alti livelli di infiammazione, che possono aumentare il rischio di malattie cardiovascolari e ridurre le aspettative di vita». Ecco perché il finale della storia dovrebbe essere l’eliminazione completa del virus.
http://www.corriere.it/salute/malattie_ ... 2_amp.html
Ci vogliono tutte le cautele del caso, ma vale la pena di raccontare questa storia, i cui protagonisti principali sono il virus Hiv dell’Aids, certi farmaci antitumorali, alcuni malati e tanti ricercatori. Una storia che potrebbe avere un lieto fine: la possibilità, cioè, di «curare» definitivamente l’infezione da Hiv con gli antitumorali. Cominciamo dal caso di un paziente : un uomo di 52 anni che nel 1995 aveva contratto l’infezione da Hiv (curata con gli antivirali) e che nel 2015 si era ammalato anche di cancro al polmone. Operato e trattato con la chemioterapia, aveva avuto una recidiva del tumore e, a quel punto, i medici dell’ospedale Pitié Salpêtrière di Parigi hanno cominciato a somministrargli il nivolumab, un farmaco immunoterapico capace di riattivare le cellule del sistema immunitario contro il tumore (il farmaco appartiene a una nuova classe di molecole innovative, che stanno dando ottimi risultati nella cura contro diverse forme di cancro).
La cura definitiva
Durante la cura, i medici hanno notato alcune cose: la prima è che la quantità di virus nel sangue (praticamente zero all’inizio) aumentava, per poi diminuire drasticamente; la seconda è che una particolare classe di globuli bianchi, i linfociti T -Cd8, capaci di uccidere le cellule infette da Hiv, era aumentata; la terza, più importante, come ha riferito il coordinatore della ricerca Jean-Philippe Spano su Annals of Oncology, è che il virus era sparito dai cosiddetti serbatoi (rappresentati da altri globuli bianchi, chiamati linfociti T - Cd4). «Ed è proprio questo che i ricercatori stanno cercando da tempo: eliminare completamente il virus dall’organismo umano. Arrivare cioè alla “cura” definitiva. Oggi le terapie antiretrovirali riescono a tenere a bada il virus, ma quest’ultimo può rimanere nei cosiddetti reservoir, rappresentati soprattutto dai Cd4. Ecco perché, se si sospende la terapia antiretrovirale, il virus si riattiva». A parlare è Mirko Paiardini, laureato all’Università di Urbino, ma «fuggito» dall’Italia per gli Stati Uniti dove ora dirige, come professore associato, il Laboratorio di Immunopatogenesi dell’infezione da Hiv alla Emory University di Atlanta. Da tempo si sta dedicando allo studio degli immunoterapici antitumorali come potenziale cura dell’infezione da Hiv.
Aids e Hiv: contagio, rischi, controlliLe risposte a tutti i vostri dubbi
I linfociti serbatoi
Lo incontriamo a Boston durante la conferenza annuale sui retrovirus (Croi). La domanda chiave è: come mai questi antitumorali possono funzionare anche nella cura dell’infezione da Hiv? «Il punto è questo - commenta Paiardini -. Il virus Hiv normalmente infetta i linfociti Cd4 che, replicandosi, continuano a produrre virus. Alcuni CD4, però, nascondono il virus nel loro Dna, senza replicarsi e ne diventano serbatoi. In questo caso esprimono un recettore che si chiama Pd1». I Cd4 silenti, con il virus nascosto, e il Pd1, sono dunque gli attori co-protagonisti. «Ma ci sono anche i Cd8 - aggiunge Paiardini -, un altro tipo di linfociti T che di solito dovrebbero riconoscere i Cd4 carichi di virus e distruggerli, ma non lo fanno perché anche loro esprimono questi recettori Pd1 che li “frenano”». I Cd8 «esauriti» sono altri attori co-protagonisti. Ecco allora che entrano in scena i nuovi immunoterapici anti Pd1, come il nivolumab, capaci di sbloccare questi recettori. «Gli immunoterapici agiscono sui Cd4 e li costringono ad attivarsi e quindi a produrre il virus, ma nel frattempo agiscono anche sui Cd8 che si risvegliano e attaccano i Cd4 attraverso il recettore Pd1».
Personaggi famosi sieropositivi: da Rock Hudson a Magic Johnson fino al portiere del Napoli, Giuliano Giuliani
Molecole attive su diversi recettori
L’approccio si chiama «shock and kill»: lo «shock» è quello, appunto, di costringere i CD4 a produrre il virus, il «kill» è quello dei Cd8 che attaccano i Cd4. Il virus, dunque, una volta liberato, verrà aggredito dagli antivirali. «Ma non basta - aggiunge Paiardini -: queste cellule possono esprimere anche altri recettori chiamati Ctla4 che potrebbero essere aggredite da altre molecole immunoterapiche. E l’idea è quella di non usare solo un farmaco, ma un mix di molecole attive su diversi recettori». Con le sue ricerche Paiardini ha fornito un proof of concept, su Immunity, cioè una dimostrazione che teoricamente il tutto può funzionare. I francesi hanno cominciato a dare una prima dimostrazione clinica. Ma ci sono alcune perplessità legate a queste ricerche e per ora l’Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci, non ha dato autorizzazioni alla sperimentazione su pazienti solo con infezione da Hiv. Si temono gli effetti collaterali di questi farmaci (come il rischio di malattie autoimmuni che nel caso dei tumori sono accettabili, ma nel caso dell’infezione da Hiv dove comunque esistono terapie efficaci un po’ meno).
Alti livelli di infiammazione
Molti però ritengono che, nel caso dell’Hiv, i dosaggi sarebbero molto più bassi. La strada è ancora lunga, ma vale la pena di percorrerla per due o tre motivi. «Oggi esistono terapie in grado di controllare l’infezione da Hiv - continua Paiardini -. E se somministrate precocemente possono garantire una buona sopravvivenza ai pazienti. Ma la persistenza del virus Hiv nell’organismo produce alti livelli di infiammazione, che possono aumentare il rischio di malattie cardiovascolari e ridurre le aspettative di vita». Ecco perché il finale della storia dovrebbe essere l’eliminazione completa del virus.