Sì, so che sembra di tornare indietro rispetto alla sperimentazione clinica del 3BNC117 di cui parlavamo pochi giorni fa e perfino rispetto alle scimmie di Barouch di fine anno scorso. Ma l’articolo di Michael Nussenzweig e colleghi della Rockefeller University uscito un paio di giorni fa su Cell – Broadly Neutralizing Antibodies and Viral Inducers Decrease Rebound from HIV-1 Latent Reservoirs in Humanized Mice – è precisamente la continuazione di quei lavori su topi e scimmie dell’anno scorso e dovrebbe far drizzare le antenne a tutti quelli che stanno seguendo questo thread sul possibile uso di bNAbs in una strategia di cura dell’infezione da HIV.
Vi viene infatti descritta una serie di esperimenti sulla combinazione di anticorpi + sostanze antilatenza per arrivare a intaccare il reservoir di HIV in un modello di topi umanizzati.
Dai lavori raccontati l’anno scorso, abbiamo visto che la combinazione di anticorpi ampiamente neutralizzanti aveva avuto sia nei topi, sia nelle scimmie, lo stesso effetto della ART di sopprimere completamente la viremia. Ma si era anche visto che, quando il trattamento con ART o bNAbs era stato sospeso, c’era stato un rebound della viremia, a indicare la persistenza di serbatoi di cellule quiescenti che ospitavano virus capace di replicazione.
Ma gli anticorpi, a differenza della ART, possono impegnare il sistema immunitario mediante la loro regione FC e così sia accelerare la distruzione del virus che circola libero da cellule, sia indurre citotossicità per uccidere le cellule infette (gli anticorpi hanno due regioni specializzate: la regione Fab per legare l’antigene e la regione Fc [=frammento cristallizzabile] per l’azione effettrice, per legarsi ai tessuti dell’ospite e alle varie cellule del sistema immunitario. Il recettore FC è una proteina che si trova sulla superficie di diverse cellule del sistema immunitario, dai linfociti B alle NK, ai macrofagi, ai neutrofili etc. e che lega il complesso antigene-anticorpo: i recettori FC si legano agli anticorpi che si attaccano alle cellule infette o ai patogeni, e così stimolano le cellule fagocitiche e citotossiche a distruggere i microbi e le cellule infette).
In questo lavoro, Nussenzweig e colleghi hanno indagato gli effetti dei bNAbs sulla formazione del reservoir e sul suo mantenimento in presenza di quelle che noi siamo abituati a chiamare sostanze antilatenza e che loro chiamano “induttori” della trascrizione virale e hanno scoperto che, in effetti, questi anticorpi, quando somministrati come PEP (profilassi post esposizione) a topi appena infettati, possono interferire con la formazione del reservoir attraverso un meccanismo che dipende proprio dalla loro capacità di legarsi ai recettori FC.
Questo già di per sé è interessante, perché potrebbe portare a modificare i protocolli della PEP per gli uomini.
Ma la cosa più interessante che hanno scoperto – in vista di una cura dell’infezione – è che quando hanno somministrato bNAbs + una combinazione di sostanze antilatenza a topi che avevano un’infezione cronica controllata dalla ART, e poi hanno sospeso la ART, si è vista un’enorme riduzione del rebound della viremia.
Nussenzweig e colleghi hanno fatto svariati esperimenti, provando con singoli anticorpi, con singole sostanze antilatenza e con combinazioni diverse. Ma quello che ha funzionato è stata la combinazione di tre anticorpi (tri-mix: 3BNC117 [quello già in fase clinica], 10-1074, e PG16) e di tre “induttori” scelti per la loro provata capacità di indurre la trascrizione dell’HIV in vitro, per la loro sicurezza e perché se ne conoscono le proprietà farmacocinetiche nei topi (il vorinostat, che ben conosciamo, e che è l’unica sostanza fra le tre ad essere già stata testata sull’uomo, l’I-BET151, che è un inibitore della proteina BET, e il CTLA, che regola l’attivazione dei linfociti T).

I topi che hanno ricevuto anticorpi + vorinostat non hanno mostrato differenze significative nel rebound delle viremie rispetto ai topi trattati soltanto con gli anticorpi. E lo stesso si è visto nei topi trattati con anticorpi + I-BET151 o CTLA: sui 33 topi che hanno ricevuto il mix di anticorpi + un solo induttore, 31 hanno avuto un rebound virale. Più o meno la stessa cosa accaduta nei 25 topi trattati solo con gli anticorpi: 22 hanno avuto rebound delle viremie quando i livelli degli anticorpi sono scesi sotto la soglia terapeutica.
Qualcosa di analogo si è visto quando i topi sono stati trattati con la combinazione dei tre induttori, ma senza anticorpi.
Ma quando 23 topi con viremia soppressa dalla ART e trattati con il tri-mix di anticorpi hanno ricevuto la combinazione di vorinostat + I-BET151 + CTLA e poi tutti i farmaci sono stati interrotti e gli animali sono stati seguiti per un tempo abbastanza lungo per veder decadere i titoli degli anticorpi (62-105 giorni), soltanto 10 topi su 23 (il 43%) hanno avuto un rebound delle viremie. Cioè nel 57% dei topi non si è avuto un rebound di HIV RNA nel sangue neppure quando il livello degli anticorpi era ormai troppo basso per spiegare il controllo delle viremie; e ciò è stato confermato anche dai livelli non rilevabili di HIV RNA associato alle cellule e dalla non rilevabilità di DNA virale (che invece nei topi in cui c’è stato rebound era ben rilevabile).
Perché questo non abbia funzionato nel 43% dei topi, non si sa; né è ancora stato compreso il meccanismo che spieghi la differenza di effetto fra un singolo induttore e la combinazione dei tre, anche se diversi studi su linee cellulari hanno mostrato che si crea una sinergia fra inibitori della istone-deacetilasi e inibitori della BET nel forzare la trascrizione dell’HIV in vitro. E quanto si è visto adesso in vivo nei topi conferma gli studi sulle cellule.
La conclusione di Nussenzweig e colleghi è stata dunque che
- [divbox]MENTRE LA SOMMINISTRAZIONE DI UN SINGOLO INDUTTORE NON HA DIMOSTRATO EFFETTI SIGNIFICATIVI SULLA CAPACITÀ DEL RESERVOIR VIRALE DI CAUSARE UN REBOUND DELLA VIREMIA, LA COMBINAZIONE DI VORINOSTAT, I-BET151 E CTLA CON UN’IMMUNOTERAPIA HA DIMINUITO LA FREQUENZA DEL REBOUND VIRALE NEI TOPI UMANIZZATI. SI PUÒ DUNQUE CONSIDERARE BEN FONDATA L’IDEA CHE IL RESERVOIR DELL’HIV POSSA ESSERE ALTERATO IN VIVO DA UNA TERAPIA CHE COMBINI ANTICORPI E SOSTANZE ANTILATENZA.[/divbox]
Funzionerà anche negli uomini una simile combinazione terapeutica?
I topi umanizzati costituiscono un modello molto preciso di quanto avviene nell’uomo, perché sono dotati di cellule umane e possono essere infettati direttamente con l’HIV. Inoltre, la cinetica del rebound virale nei topi umanizzati dopo l’interruzione di una ART che aveva soppresso la viremia corrisponde a quella umana. Tuttavia, nei topi la ricostituzione ematopoietica umana è incompleta, il che significa che possono mancare in loro alcuni elementi cellulari che formano il reservoir di HIV latente negli uomini.
Quindi per sapere se i risultati ottenuti in questa ricerca possano essere replicati negli esseri umani bisognerà fare degli studi clinici.