
Dora tu hai qualcosa?
Sì, ce ne sono molti nell'articolo di dati. Solo che, a leggerli, si ricava un po' un effetto-ottovolante.cesar78 ha scritto:Dora tu hai qualcosa?
Risposta: credo che Spinazzola abbia accennato al numero dei CD4 perché, in tutto quel trionfo di risultati magnifici che Savarino ha presentato nel suo articolo, in quella totale assenza di anche il minimo effetto avverso riscontrato nei macachi, un problemuccio l'ha segnalato. Ed è il fatto che in uno dei macachi "funzionalmente curati" (il 33 e rotti per cento del totale dei macachi di Lourdes - se ho contato bene e se ha senso far percentuali su numeri così esigui) i CD4 restano molto bassi.stealthy ha scritto:Domanda: perché i CD4 dovrebbero essere un problema nella sperimentazione clinica?
Grazie a te, Cesar, perché io di leggermi per la terza volta l'articolo non ho tempo.cesar78 ha scritto:Grazie Dora, se riuscirò a capirne di più proverò a fare un sunto...
Dora ha scritto:Ai membri del Savarino fan club che si rammaricavano per la scarsa attenzione internazionale destata dall'articolo dello scorso giugno, farà piacere sapere che una recensione è stata pubblicata su PLoS PATHOGENS due giorni fa ad opera di Cristian Apetrei, Ivona Pandrea e John Mellors. Quest'ultimo non ha bisogno di presentazioni, Apetrei e Pandrea sono due super-superesperti di scimmie dell'Università di Pittsburgh (vedere per esempio un loro magnifico lavoro dell’anno scorso nel thread Modello di scimmie elite controller per cura funzionale).
Ecco una traduzione del loro "Viewpoint" (e spero che nessuno dei fan più accesi del bell'Andrea ci rimanga male, se questa "opinione" corrisponde alla freddezza con cui io ho accolto la presentazione fatta da Savarino a St Martin, nonché l’uscita di questo suo ultimo articolo, e non coincide esattamente con i toni trionfalistici della stampa generalista nostrana, ridimensionando un po' l'enfasi con cui l'articolo è stato propagandato in Italia).
Nonhuman Primate Models for HIV Cure Research
Shytaj e colleghi [1] riferiscono che si può raggiungere la completa soppressione della replicazione dell’SIVmac nei macachi rhesus mediante la combinazione di cinque farmaci antiretrovirali (ARV), che gli autori chiamano “mega-HAART”.
Questa combinazione consiste di un regime composto da tre inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (tenofovir/emtricitabina) e un inibitore dell’integrasi (raltegravir) sovente usato negli studi sui macachi rhesus infetti dal virus dell’immunodeficienza scimmiesca (SIV), intensificato con l’inibitore della proteasi darunavir (rinforzato dal punto di vista farmacocinetico dal ritonavir) e dall’antagonista del CCR5 maraviroc.
Raggiungere la completa soppressione dell’SIVmac nei macachi rhesus è un passo importante nello sviluppo di un modello animale per la ricerca di una cura dell’HIV, perché corrisponde agli effetti della terapia antiretrovirale negli esseri umani affetti da HIV. Senza una soppressione completa, la sperimentazione di strategie terapeutiche volte a ridurre i reservoir virali viene confusa dai cicli continui di replicazione che possono riempire i reservoir.
Negli ultimi due decenni, i modelli dell’AIDS nei macachi rhesus hanno permesso di comprendere alcuni aspetti chiave della patogenesi dell’HIV, quali la trasmissione del virus e gli eventi iniziali subito dopo l’infezione, i siti di replicazione virale e di deplezione dei CD4, il turnover del virus e delle cellule [2-8].
Questi modelli servono anche nella ricerca di un vaccino, perché permettono la valutazione di vettori immunogeni a DNA sempre più potenti e la combinazione di questi vettori in diverse combinazioni prime-boost [NdD: una dose di vaccino per indurre una certa risposta immune. Questa dose è seguita poi, o viene somministrata simultaneamente, da un secondo tipo di vaccino (booster). Una combinazione prime-boost può indurre vari tipi di risposte immuni e/o stimolare risposte superiori a quelle viste dai singoli tipi di vaccini] [9-11].
Inoltre, i modelli di profilassi pre-esposizione (PrEP) nei macachi hanno aiutato a capire l’esposizione agli ARV e i tempi di esposizione richiesti per massimizzare la protezione dal virus [12].
Invece, il modello macaco rhesus/SIV ha contribuito meno allo sviluppo e all’ottimizzazione della terapia antiretrovirale [13]. Fra le ragioni principali abbiamo la resistenza naturale degli SIV agli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) [14, 15], grandi differenze nella farmacocinetica degli ARV fra uomini e macachi [13, 16] e interazioni divergenti dell’SIVmac e dell’HIV-1 con i fattori di restrizione dell’ospite [17]. E, dal momento che i sottotipi pandemici di HIV-1 non si replicano nelle scimmie [18], è importante notare che bisogna utilizzare dei virus che sono le controparti scimmiesche derivate da cercocebi mori infettati in modo naturale, quali l’SIVmac/smm [19].
Anche se l’SIVsmm non è del tutto diverso dall’HIV, essendo la causa dell’epidemia dell’HIV-2 [20], le differenze che presenta nella suscettibilità agli ARV e nella farmacocinetica hanno ristretto l’uso dei modelli di RM/SIVmac per la terapia antiretrovirale.
Ciò nonostante, molti ARV sono attivi in vitro e in vivo contro l’SIVmac [14, 21] ed esistono studi sulla terapia antiretrovirale nei macachi [21-24].
Nella maggior parte di questi studi, tuttavia, non è stato raggiunto un controllo completo della replicazione virale [14]. Oltre a una farmacocinetica non ottimale, è probabile che il fallimento nel raggiungere un controllo completo della replicazione del virus sia connesso alla biologia dell’infezione da SIVmac nei macachi rhesus. L’SIVmac è più virulento dell’HIV-1 [3]. Il set point della viremia nei macachi infetti da SIVmac è da 10 a 100 volte più alto rispetto all’infezione da HIV-1 e la progressione verso l’AIDS si verifica in 1-2 anni e più rapidamente (<1 anno) in una percentuale che arriva al 40% dei macachi [3, 9].
Sono state utilizzati dei virus alternativi all’SIVmac, soprattutto dei virus-chimera HIV-SIV (chiamati virus dell’immunodeficienza scimmiesca-umana o SHIV), in cui la trascrittasi inversa (RT) dell’SIVmac è sostituita da quella dell’HIV-1 (RT-SHIV) [25-27]. Gli RT-SHIV hanno il vantaggio di essere suscettibili ad inibitori sia nucleosidici sia non nucleosidici della RT simili a quelli dell’HIV-1.
Questi virus chimera hanno però delle limitazioni, soprattutto il fatto che – analogamente al virus da cui deriva – l’RT-SHIVmac è difficile da sopprimere con la stessa combinazione di tre farmaci (tenofovir/emtricitabina/efavirenz) che viene usata più comunemente negli esseri umani [25].
Come approccio alternativo, è stato costruito un RT-SHIVmne usando dell’SIVmne isolato da macachi nemestrini e usato per infettare questa specie.
L’RT-SHIVmne è meno virulento dell’SIVmac e non è infrequente che possa essere controllato dall’ospite senza interventi farmacologici. Anche così, però, una ART con tenofovir/emtricitabina/efavirenz non riesce a controllare completamente la replicazione dell’RT-SHIVmne in macachi nemestrini con infezione cronica, come è dimostrato sia dalla persistente replicazione virale, sia dall’evoluzione delle sequenze durante il trattamento [26, 27].
La notizia recente che un paziente (il “paziente di Berlino”) è stato curato dall’infezione da HIV [28] ha rinnovato l’entusiasmo per la “ricerca di una cura”, volta alla comprensione dei meccanismi della persistenza dell’HIV-1 e allo sviluppo di strategie terapeutiche che riducano e infine eliminino i reservoir virali.
Le limitazioni connesse agli studi clinici umani, soprattutto il prelievo invasivo di campioni di materiale da molti siti dove si localizzano i reservoir, rende imperativo lo sviluppo di modelli animali per la ricerca di una cura.
Molti gruppi stanno cercando di raggiungere questo obiettivo mediante
- • intensificazione degli ARV in macachi rhesus infetti da SIVmac per sopprimere completamente la replicazione virale, come fanno Shytaj e colleghi [1] (J. Lifson, dati non pubblicati; P. Luciw, dati non pubblicati);
• uso di macachi cinesi infetti da SIVmac (B. Ling, dati non pubblicati), in cui la replicazione al set point virale è più bassa che nei macachi rhesus indiani [29], che hanno dominato la ricerca, e
• sviluppo di un modello animale di cura funzionale in assenza di ART [30].
A ciò si deve aggiungere che sono stati sviluppati modelli di topi umanizzati dell’infezione da HIV-1 per sviluppare la ricerca di una cura [31].
Come questi diversi modelli animali dovrebbero essere usati nella ricerca di una cura non è ben stabilito. Diverse terapie potrebbero aver contribuito alla cura del Paziente berlinese, fra cui la chemioterapia mieloablativa, l’irradiazione total body, il trapianto di staminali allogeniche Δ32/Δ32, i farmaci immunosoppressori e la Graft versus Host Disease: per tutti questi aspetti, i modelli animali non sono utilizzabili [28].
Indipendentemente dai meccanismi della cura, una caratterizzazione precisa dei reservoir virali è il fulcro della ricerca di una cura. Questi studi potrebbero richiedere prelievi invasivi e descrizioni dettagliate dei luoghi della persistenza del virus in caso di ART completamente soppressiva, così come l’identificazione di fonti di rebound virale dopo l’interruzione della ART.
Pertanto, nuove strategie terapeutiche possono essere testate, compresi gli attivatori selettivi dell’espressione virale, l’inversione dell’esaurimento immunitario, il potenziamento di risposte immunitarie antivirali specifiche, con una quantificazione precisa degli effetti sui reservoir virali in differenti siti anatomici, cervello compreso.
Per ovvie ragioni etiche, questi studi non possono essere fatti su esseri umani.
Inoltre, poiché il tempo di infezione e l’inoculazione del virus possono essere controllati nei modelli animali, si possono fare degli studi per stabilire i tempi ottimali degli interventi di cura, come è stato fatto per la PrEP [12].
È da aggiungere che i modelli animali per la ricerca di una cura possono stabilire delle “proof of concept” per molte nuove strategie terapeutiche che possano emergere nel campo, prima di testarle su esseri umani.
Tuttavia, è essenziale che i benefici terapeutici osservati nei modelli animali siano convalidati in studi umani (e viceversa), e che la causa di eventuali discrepanze sia chiarita. Dal momento che nessuno dei modelli animali attualmente disponibili riproduce perfettamente l’infezione da HIV e la ART, è probabile che serviranno molti modelli diversi per comprendere la persistenza, la latenza, la riattivazione e l’eradicazione del virus.
Detto ciò, creare un modello di primate non umano di completa soppressione virale come descritto da Shytaj e colleghi [1] è un passo verso la ricerca di una cura. Si potrebbe sostenere che raggiungere il controllo completo della replicazione virale è solo un passettino verso l’obiettivo complessivo dell’eradicazione del virus e che c’è ancora molto da fare nello sviluppo sia di test virologici più sensibili [32], sia di piccole molecole capaci di attivare il virus latente [33-36], sia di farmaci biotecnologici che ripuliscano i reservoir virali [37, 38]. Ciò nondimeno, approcci come quello di Shytaj e colleghi [1] indicano che il controllo della replicazione virale nei macachi È effettivamente possibile se si usano potenti combinazioni di farmaci e che dei modelli di primati non umani per la ricerca di una cura esistono.