SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla cura
Inviato: giovedì 29 dicembre 2011, 12:27
Il regalo per il nuovo anno da parte di Robert Siliciano e della sua equipe alla Johns Hopkins è la scoperta di un nuovo gruppo di derivati dalle chinoline, che pare siano in grado di riattivare l’HIV latente, senza al contempo causare una attivazione generalizzata dei linfociti T.
Finora, Siliciano ha lavorato soltanto su un modello cellulare, quindi dovremo vedere se questo effetto anti-latenza e questa capacità di non creare attivazione complessiva dei T si manterranno anche in vivo, nei modelli animali e poi nell’uomo. Ma mi pare una buona notizia, che aumenta il numero delle possibili sostanze eradicanti uscite dal laboratorio di Siliciano. Eravamo, infatti, fermi allo juglone (vedi [Studi] TRADUZIONE articolo di Siliciano su 5HN (Juglone)) e al disulfiram (ora in sperimentazione clinica: vedi Antabuse (disulfiram): per ripulire i reservoir) e – non so a voi – ma a me sapere che Siliciano sta continuando a lavorare per l’eradicazione rallegra un po’ questa fine d’anno.
L’articolo – assai breve e denso - è appena uscito sul Journal of Antimicrobial Chemotherapy e ve ne faccio una sintesi.
Novel structurally related compounds reactivate latent HIV-1 in a bcl-2-transduced primary CD41 T cell model without inducing global T cell activation
Siliciano prende in considerazione il reservoir dei CD4 memoria, che considera il principale ostacolo all’eradicazione dell’HIV, poiché in queste cellule latentemente infette, finché la cellula rimane in uno stato di quiescenza, il provirus integrato nel suo genoma non si trascrive. In assenza di proteine virali, queste cellule non vengono identificate dalla HAART, che è in grado di colpire il virus soltanto mentre si sta replicando.
A seguito dell’attivarsi di queste cellule quiescenti, però, l’HIV latente comincia a trascrivere il proprio genoma e si produce nuovo virus, che porta a un rapido rebound della viremia nel momento in cui viene sospesa la HAART.
È proprio la grande stabilità di questo reservoir latente a rendere necessaria l’assunzione continua di antiretrovirali.
L’approccio classico per eliminare il reservoir comporta la riattivazione dell’HIV latente: si ritiene che le cellule che ospitano virus latente moriranno subito dopo la riattivazione a causa degli effetti citopoatici del virus e/o di meccanismi citolitici della cellula ospite.
Anche qualora questa ipotesi fosse sbagliata e si rivelassero necessarie ulteriori strategie per uccidere le cellule produttivamente infette, la riattivazione dell’espressione genetica dell’HIV resterebbe comunque il primo passo da fare.
Usando differenti linee cellulari e modelli di cellule primarie, molti gruppi di lavoro hanno identificato delle sostanze capaci di riattivare l’HIV latente. Fra queste, gli inibitori dell’istone-deacetilasi (in particolare, il SAHA, la tricostatina-A e l’acido valproico) e due attivatori della protein-chinasi C, la prostratina e la briostatina.
Poiché le linee di cellule proliferanti non simulano in modo preciso lo stato di quiescenza delle cellule che ospitano HIV latente in vivo, Siliciano ha sviluppato un modello di latenza in CD4 umani primari e quiescenti e ha utilizzato questo modello per analizzare 5000 sostanze (da due diversi archivi: quello della Johns Hopkins e la MicroSource Spectrum Library) in grado di riconvertire il virus dallo stato di latenza. Questa ricerca aveva già portato a scoprire lo juglone e il disulfiram.
Ora Siliciano ha trovato un nuovo gruppo di sostanze – strutturalmente simili – capaci di riattivare il virus latente; si tratta di tre sostanze che condividono la stessa struttura centrale delle chinoline: la chinolina-8-ol (chiamata “A”), la 5-clorochinolina-8-ol (“C1”) e l’acetato di 5-clorochinolina-8-yl (“E0”).
Ha poi confermato la capacità anti-latenza di queste sostanze testandole su un altro modello molto usato, quello delle cellule J-Lat.
Dal momento che delle sostanze che risvegliano il virus dalla latenza attivando in modo generalizzato le cellule T sarebbero troppo tossiche per un’applicazione clinica, perché indurrebbero un’eccessiva produzione di citochine infiammatorie, Siliciano ha analizzato questi composti anche dal punto di vista della secrezione di citochine e ha dimostrato che nessuno di essi ha causato una produzione rilevabile di nessuna delle 10 principali citochine infiammatorie (IFN-gamma, IL-10, IL-12, IL-13, IL-1beta, IL-2, IL-4, IL-5, IL-8 e TNF-alfa).
Anche se Siliciano ammette che non sa ancora se queste sostanze siano in grado di riattivare l’HIV latente in vivo, è però possibile che questi composti o loro derivati possano rivelarsi utili – da soli o in combinazione con altri trattamenti – per le future strategie di eradicazione.
Finora, Siliciano ha lavorato soltanto su un modello cellulare, quindi dovremo vedere se questo effetto anti-latenza e questa capacità di non creare attivazione complessiva dei T si manterranno anche in vivo, nei modelli animali e poi nell’uomo. Ma mi pare una buona notizia, che aumenta il numero delle possibili sostanze eradicanti uscite dal laboratorio di Siliciano. Eravamo, infatti, fermi allo juglone (vedi [Studi] TRADUZIONE articolo di Siliciano su 5HN (Juglone)) e al disulfiram (ora in sperimentazione clinica: vedi Antabuse (disulfiram): per ripulire i reservoir) e – non so a voi – ma a me sapere che Siliciano sta continuando a lavorare per l’eradicazione rallegra un po’ questa fine d’anno.
L’articolo – assai breve e denso - è appena uscito sul Journal of Antimicrobial Chemotherapy e ve ne faccio una sintesi.
Novel structurally related compounds reactivate latent HIV-1 in a bcl-2-transduced primary CD41 T cell model without inducing global T cell activation
Siliciano prende in considerazione il reservoir dei CD4 memoria, che considera il principale ostacolo all’eradicazione dell’HIV, poiché in queste cellule latentemente infette, finché la cellula rimane in uno stato di quiescenza, il provirus integrato nel suo genoma non si trascrive. In assenza di proteine virali, queste cellule non vengono identificate dalla HAART, che è in grado di colpire il virus soltanto mentre si sta replicando.
A seguito dell’attivarsi di queste cellule quiescenti, però, l’HIV latente comincia a trascrivere il proprio genoma e si produce nuovo virus, che porta a un rapido rebound della viremia nel momento in cui viene sospesa la HAART.
È proprio la grande stabilità di questo reservoir latente a rendere necessaria l’assunzione continua di antiretrovirali.
L’approccio classico per eliminare il reservoir comporta la riattivazione dell’HIV latente: si ritiene che le cellule che ospitano virus latente moriranno subito dopo la riattivazione a causa degli effetti citopoatici del virus e/o di meccanismi citolitici della cellula ospite.
Anche qualora questa ipotesi fosse sbagliata e si rivelassero necessarie ulteriori strategie per uccidere le cellule produttivamente infette, la riattivazione dell’espressione genetica dell’HIV resterebbe comunque il primo passo da fare.
Usando differenti linee cellulari e modelli di cellule primarie, molti gruppi di lavoro hanno identificato delle sostanze capaci di riattivare l’HIV latente. Fra queste, gli inibitori dell’istone-deacetilasi (in particolare, il SAHA, la tricostatina-A e l’acido valproico) e due attivatori della protein-chinasi C, la prostratina e la briostatina.
Poiché le linee di cellule proliferanti non simulano in modo preciso lo stato di quiescenza delle cellule che ospitano HIV latente in vivo, Siliciano ha sviluppato un modello di latenza in CD4 umani primari e quiescenti e ha utilizzato questo modello per analizzare 5000 sostanze (da due diversi archivi: quello della Johns Hopkins e la MicroSource Spectrum Library) in grado di riconvertire il virus dallo stato di latenza. Questa ricerca aveva già portato a scoprire lo juglone e il disulfiram.
Ora Siliciano ha trovato un nuovo gruppo di sostanze – strutturalmente simili – capaci di riattivare il virus latente; si tratta di tre sostanze che condividono la stessa struttura centrale delle chinoline: la chinolina-8-ol (chiamata “A”), la 5-clorochinolina-8-ol (“C1”) e l’acetato di 5-clorochinolina-8-yl (“E0”).
Ha poi confermato la capacità anti-latenza di queste sostanze testandole su un altro modello molto usato, quello delle cellule J-Lat.
Dal momento che delle sostanze che risvegliano il virus dalla latenza attivando in modo generalizzato le cellule T sarebbero troppo tossiche per un’applicazione clinica, perché indurrebbero un’eccessiva produzione di citochine infiammatorie, Siliciano ha analizzato questi composti anche dal punto di vista della secrezione di citochine e ha dimostrato che nessuno di essi ha causato una produzione rilevabile di nessuna delle 10 principali citochine infiammatorie (IFN-gamma, IL-10, IL-12, IL-13, IL-1beta, IL-2, IL-4, IL-5, IL-8 e TNF-alfa).
Anche se Siliciano ammette che non sa ancora se queste sostanze siano in grado di riattivare l’HIV latente in vivo, è però possibile che questi composti o loro derivati possano rivelarsi utili – da soli o in combinazione con altri trattamenti – per le future strategie di eradicazione.