Come nel caso del thread Inizio 2012: il punto su reservoir, latenza ed eradicazione, per gli habitués di Verso una cura e della vecchia sezione Verso l’eradicazione di novità non ce ne erano molte, chi ha seguito le discussioni sui lavori di Sangamo ([STUDI] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN II; [STUDI]Cannon_trapianto staminali umane rese CCR5- in topi 2; [CROI 2011] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN; [CROI 2011] I giudizi di Tebas su "cura" e altro) forse troverà anche qui qualche ripetizione.
Ritengo, tuttavia, che i nuovi frequentatori del forum possano trovare questa review di qualche utilità, per districarsi nella complicatissima questione della modificazione genetica delle staminali.
Data la lunghezza dell’articolo, lo spezzerò in due messaggi successivi.
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Hematopoietic-Stem-Cell-Based Gene Therapy for HIV Disease
GLI ANTEFATTI
L’infezione dei CD4 da parte dell’HIV porta alla loro morte attraverso dei meccanismi che sono sia diretti (p.es. la citotossicità), sia indiretti (p.es. la morte della cellula causata dall’attivazione). Dopo anni di accresciuto turnover dei linfociti T, la capacità del sistema immunitario di mantenere una omeostasi normale si esaurisce e il paziente progredisce verso un’immunodeficienza avanzata. La morbilità e mortalità associate a un’infezione da HIV non trattata possono essere attribuite a un fallimento dell’immunità, con deficit nella maggior parte delle linee ematopoietiche connessi in modo causale alla malattia. Un’efficace soppressione della replicazione virale mediante la terapia antiretrovirale combinata riesce a invertire in modo sostanziale il processo di distruzione immunitaria e quasi sempre comporta anche una parziale ripresa della funzione immunitaria, un miglioramento dello stato di salute e un prolungamento della vita.
Anche se la HAART è senza dubbio un successo, essa ha dei limiti.
- 1. La terapia non ricostituisce completamente lo stato di salute. L’infiammazione cronica e la disfunzione immunitaria sovente persistono durante il trattamento, e questi fattori sono associati con un aumento del rischio di morbilità e mortalità non-AIDS-correlata.
2. La terapia antiretrovirale può non riuscire a sopprimere completamente la replicazione del virus. Abbiamo sempre più prove che una replicazione virale nascosta persista all’interno del sistema emato-linfatico, con possibili effetti sull’omeostasi e sul funzionamento dei linfociti T e delle cellule mieloidi.
3. La terapia combinata richiede aderenza quotidiana a dei regimi che possono avere effetti collaterali e presentare interazioni complesse fra un farmaco e l’altro e molte persone fanno fatica ad aderire a tali regimi per periodi prolungati.
4. La scarsità delle risorse nega la possibilità di una terapia a vita a molte persone che ne hanno bisogno. Anche con enormi investimenti globali nella cura dell’HIV, l’accesso a questi farmaci è destinato a rimanere parziale e l’epidemia a continuare a diffondersi.
Per raggiungere questo obiettivo, c’è chi ha ipotizzato che le cellule staminali ematopoietiche multilineari (HSC), che hanno una vita molto lunga e la capacità di auto-rinnovarsi, possano essere modificate in modo da rendere loro e la loro progenie resistenti all’infezione da HIV.
Dopo l’introduzione di queste staminali modificate, l’organismo potrebbe essere ripopolato da un sistema ematopoietico – in particolare da CD4 e da cellule mieloidi - resistente all’HIV. Se fosse possibile creare un sistema siffatto, si riuscirebbe a ottenere una cura.
Per realizzare l’obiettivo di una terapia genica per l’HIV basata sulle staminali, bisogna intraprendere i seguenti passi:

- • Le staminali devono essere identificate e purificate (e/o espanse) in numero sufficiente da riuscire a dare un beneficio sia in adulti sia in bambini.
• Si devono trovare dei metodi per introdurre in modo stabile ed efficiente nuove funzioni geniche entro le staminali.
• Si deve dimostrare che le funzioni geniche selezionate conferiscono resistenza contro l’HIV ai linfociti T e alle cellule mieloidi che discendono da quelle staminali.
• Le cellule geneticamente modificate devono essere infuse nel paziente in modo sicuro ed efficiente.
• Bisogna riuscire a impostare delle sperimentazioni cliniche che ne dimostrino l’efficacia in modo convincente.
IDENTIFICAZIONE ED ESPANSIONE DELLE HSC
CARATTERIZZAZIONE DELLE HSC
Un ostacolo cruciale che si frapponeva all’identificazione delle staminali umane era l’assenza di test in grado di valutare la capacità delle cellule scelte di dare vita a diverse linee cellulari. Il metodo classico per identificare una staminale è un test in vivo in cui si riesce a dimostrare che una data cellula riesce a ripopolare l’intero sistema ematopoietico dopo una mieloablazione o un altro tipo di condizionamento distruttivo. È però ovvio che, per ragioni etiche, è impossibile utilizzare questo test in esseri umani.
Un progresso importante in questo campo è stato lo sviluppo di modelli di topi, che consentono l’attecchimento e la differenziazione delle diverse linee cellulari a partire da progenitrici ematopoietiche umane.
Un limite molto serio di questo approccio, tuttavia, è la sua incapacità di analizzare l’effetto dei regimi di condizionamento sull’attecchimento e di valutare la generazione di tutte le linee cellulari nel lungo periodo.
Di conseguenza, sono stati utilizzati modelli di animali più grandi (p.es. scimmie e cani) per studiare la biologia e il trapianto delle staminali, e degli studi fatti all’inizio degli anni ’90 hanno dimostrato che le cellule del midollo possono essere arricchite con delle sottopopolazioni che possiedono la capacità di ripopolare il midollo nel lungo periodo.
Questi studi usavano il marker CD34, che è usato tutt’oggi, quando si vogliono arricchire o selezionare le staminali nei pazienti, oppure distruggere i linfociti T.
Esistono molti altri marker, che consentono di ottenere popolazioni meglio purificate di staminali, ma le cellule così ottenute in genere sono troppo poche per attecchire rapidamente ed espandersi in vivo.
Oggi è opinione comune che le “vere” staminali ematopoietiche umane che si auto-rinnovano si trovino all’interno di una popolazione di CD34+ e che trasfondere un organismo opportunamente condizionato con un numero sufficiente di queste cellule consenta una ematopoiesi delle diverse linee cellulari nel lungo periodo. (…)
ESPANSIONE DELLE HSC
Negli ultimi vent’anni sono stati fatti molti tentativi per espandere le staminali in vitro, in modo da averle più facilmente accessibili per utilizzarle in vivo. (…)
Il reagente probabilmente di maggior successo nell’espandere le HSC è un derivato dalla purina, la SR1 (Stem-Regenin 1), che favorisce l’espansione ex vivo delle CD34+: ha comportato un aumento di 50 volte nel numero delle CD34+ ottenute in coltura e di 17 volte nel numero di cellule capaci di attecchire in topi umanizzati (topi NSG - NOD scid gamma). Non si conosce, tuttavia, la capacità di queste staminali di attecchire in esseri umani. (…)
L’espansione delle staminali ex vivo è particolarmente importante nel caso dell’infezione da HIV. Per ragioni che non sono ancora del tutto chiare, ma che probabilmente comprendono gli effetti mediati dall’HIV su importanti micro-ambienti emato-linfatici, può capitare che il numero di progenitrici ematopoietiche tratte da pazienti con HIV per sostenerne l’immuno-ricostituzione sia più basso rispetto al normale. Un lavoro recente ha anche dimostrato che le progenitrici CD34+ ottenute dal sangue periferico di pazienti con HIV avevano una capacità ridotta di generare linfociti T maturi.
Questo effetto dell’HIV sulla funzionalità delle staminali è paragonabile a quello osservato nell’età avanzata e sembra dovuto, almeno in parte, agli effetti indiretti dell’infiammazione cronica.
INTRODUZIONE DI FUNZIONI DE NOVO NELLE HSC
Anche immaginando di riuscire a ottenere un numero sufficiente di popolazioni di staminali, è necessario trovare dei modi per introdurre efficacemente e stabilmente delle nuove funzioni nei geni di queste cellule.
Esistono due approcci generali per raggiungere questo obiettivo: l’uso di sistemi di vettori che si integrano, consentendo l’introduzione di geni anti-HIV entro il genoma delle staminali; e quello di sistemi di vettori che non si integrano, ma introducono degli enzimi che modificano i geni, con l’effetto di distruggere dei geni o creare delle ricombinazioni omologhe.
SISTEMI DI VETTORI CHE SI INTEGRANO
Sono stati fatti grandi progressi nella ottimizzazione ex vivo della trasduzione e sono disponibili alcuni sistemi di vettori che consentono di portare dei geni entro le staminali in modo stabile ed efficiente. (…)
Alcuni protocolli recenti hanno utilizzato dei vettori lentivirali derivati dall’HIV e modificati in modo da renderli innocui: questo approccio permette di generare dei vettori ad alto titolo e un trasferimento efficiente di geni entro cellule staminali/progenitrici ematopoietiche. (…)
Poiché i sistemi di vettori possono associarsi a genotossicità, e dunque a rischio di cancro, nell’ottimizzazione dei vettori che si integrano l’attenzione è adesso rivolta alla sicurezza. Se non si effettua la distruzione o l’inserimento di un gene, è necessario che i vettori che si integrano al genoma si esprimano per tutta la vita dei costrutti anti-HIV. E dal momento che la maggior parte degli adulti con HIV hanno una buona prognosi (se possono avere accesso alla terapia), l’interesse per qualsiasi sistema di vettore che presenti un serio rischio di carcenogenesi è scarsissimo.
Così, per esempio, i gamma -vettori retrovirali è improbabile che vengano testati in grandi trial, perché in precedenti protocolli di trapianti si sono visti associati a un alto rischio di leucemia.
Fortunatamente, sono stati sviluppati e sperimentati dei sistemi migliori e i vettori basati su lentivirus e su spumavirus (foamy virus) sembrano presentare pochi rischi di trasformazione in senso neoplastico.
I vettori che si basano su lentivirus che si auto-inattivano (self-inactivating – SIN) e su spumavirus sono capaci di integrarsi nel genoma, ma hanno una sequenza ripetuta terminale (Long Terminal Repeat – LTR) che non funziona nel provirus integrato e si basano su un promoter più debole per l’espressione del transgene. (…)

SISTEMI DI VETTORI CHE NON SI INTEGRANO, OVVERO TRASFEZIONE
Esiste un approccio di trasferimento dei geni alternativo: quello di utilizzare vettori che sono stati modificati in modo da non essere capaci di integrarsi nel genoma della cellula ospite. Un vantaggio importante, in questo caso, è che si evita il rischio di mutagenesi inserzionale e del cancro che ne può derivare. E lo si può fare in modo abbastanza efficiente usando come vettori dei lentivirus privi di integrasi oppure degli adenovirus. Questi sistemi di vettori che non si integrano sono particolarmente adatti a trasportare nucleasi a dita di zinco o altri enzimi che riscrivono il DNA, che possono causare la distruzione permanente di specifici loci genici, esprimendosi in modo soltanto transitorio.
Il problema è che, come per tutti i nuovi reagenti, servono più studi sulla sicurezza per confermare l’assenza di effetti off-target e di genotossicità.