È lo stesso disagio che provo anch'io. Quando i risultati sono puliti, basta una letterina a Nature o a Science, senza bisogno di fiocchetti, orpelli, fanfare e cotillons.uffa2 ha scritto:28 pagine, 28… neppure uno studio registrativo di fase 3 occupa così tanto spazio…. Non so com’è, ma quello che i dati non siano così epocali, di facile interpretazione e fuori di discussione, e che invece si sia dovuta fare un po’ di cagnara, è un dubbio che mi viene…
A una lettura affrettata e per forza di cose superficiale, la mia impressione di ben 5 anni fa (articolo su PLoS ONE) esce confermata: allora, discutendone con Leon, ricordo che scrissi che forse-magari-chissà-a-cercare-proprio-bene c'era qualcosina, ma che non vedevo sostanziali differenze rispetto alla papaya di Montagnier. Oggi mi pare che i presunti benefici clinici in costanza di ART siano così scarsi da doverli proprio cercare con il lanternino. Oppure inventare - non so.Non ho capito qualche cosa o siamo passati dal vaccino all’integratore, da qualcosa che ha un chiaro posizionamento e finalità, a un qualcos’altro che si giustifica in una nicchia di pazienti (ai quali auguro ogni bene e per i quali spero ben altre soluzioni), essenzialmente come booster della terapia antiretrovirale? Sembra quasi di vedere la pubblicità del Kilocal, quello che “Deve essere impiegato nell'ambito di una dieta ipocalorica adeguata seguendo uno stile di vita sano con un buon livello di attività fisica” e che a tali condizioni ti fa dimagrire…
Non lo so, ma in assenza di veri bracci di controllo ho il sospetto che ci si sia mossi poco dalle risacche di una stanca “proof of concept”, e che tutto il resto appartenga al repertorio della poetica leopardiana:
“Dipinte in queste rive
son dell'umana gente
le magnifiche sorti e progressive”
insomma: consigli per gli acquisti.
Quanto alla diminuzione del DNA provirale, dopo aver visto le stime di Siliciano su quanto si deve ridurre il reservoir per consentire una duratura sospensione della ART, credo che Ensoli avrebbe fatto meglio a soprassedere dal venircela a raccontare.
Ma conosciamo il suo stile: sparala grossa, qualcuno che ci crede e ti paga con denaro pubblico per continuare lo trovi senz'altro.
Circa un anno fa, segnalai che Vaxxit, la società di Barbara Ensoli, dal marzo 2013 possiede in proprio un brevetto. Si tratta di un brevetto molto ampio, costruito sulla base dei dati raccolti proprio dalle sperimentazioni di fase II.
Ora, io non sono un'esperta di brevetti. L'esperto qui è Giovanni Cozzone, consulente dell'ISS e - credo non a caso - socio di Vaxxit. Quindi immagino che sia possibile a un ricercatore dipendente di un ente pubblico, lavorando con personale, strutture e finanziamenti pubblici, fare acquisire un brevetto a una società privata, che con il datore di lavoro del suddetto ricercatore non ha niente a che vedere.
Ci deve essere qualche lacuna nelle leggi relative ai brevetti che consente questi obbrobri, ma sta di fatto che accadono e che i giornalisti che imbastiscono inchieste sulla scandalosa cessione di brevetti pubblici ai privati se li fanno sfuggire proprio sotto al naso.
Bene, io mi sto chiedendo se la dottoressa Ensoli, forte di quel brevetto in possesso esclusivo della sua società, non potrebbe sganciarsi dall'Istituto Superiore di Sanità e proseguire la fase III della ricerca della sua vita in modo indipendente, senza rischiare di drenare verso questo pozzo senza fondo le scarsissime risorse pubbliche destinate alla ricerca su HIV/AIDS.
Farebbe, quanto meno, un'opera meritoria nei confronti dei tanti suoi colleghi che hanno idee magari migliori delle sue e non riescono a trovare finanziamenti per portarle in fase clinica.