Cybercondria: per i frequentatori di "Ho contratto l'HIV?"
Inviato: mercoledì 9 ottobre 2013, 16:52
Non per tutti i frequentatori della sezione dedicata ai rischi di trasmissione dell'infezione da HIV e ai test, ma per molti di loro, una lettura assai istruttiva.
Traetene voi le conseguenze; io mi permetto di consigliarvi di stare meno tempo possibile in Rete. ☺
Cybercondria, quando internet diventa il tuo medico: ecco i malati immaginari dell’era moderna
Convinti di avere una malattia cercano in rete la conferma medica, ma stanno peggio e fanno esami inutili
Sono considerati i malati immaginari dell’era moderna, ovvero ipocondriaci al tempo di internet che cercano in rete la conferma medica a sintomi che si convincono di avere ma che, in realtà, sono frutto della loro immaginazione, quella sì non del tutto sana. Li chiamano «cybercondriaci», (acronimo fra cyber e ipocondriaci coniato già nel 2000) perché sfogano online le loro (infondate) preoccupazioni sul proprio stato di salute: un fenomeno che solo negli Usa si stima colpisca almeno otto persone su dieci, mentre in Italia interessa il 32,4% della popolazione (secondo i dati di una ricerca del Censis dell’ottobre 2012). Ma se il fatto di autoconvincersi di soffrire di malattie che in realtà non si hanno è già grave di per sé, per chi è ansioso di suo l’effetto finale può risultare ancor più traumatico, arrivando addirittura a peggiorare lo stato di salute generale del soggetto in questione e ripercuotendosi poi non solo sulla sua vita personale (ad esempio con un aumento nella frequenza di visite al medico di base) ma anche sull’intero sistema sanitario nazionale, che deve spesso accollarsi le spese per esami specialistici del tutto inutili (ma che il paziente cybercondriaco richiede appunto perché convinto di avere chissà quale malattia).
Dopo un precedente studio del 2008 (condotto dalla Microsoft sulle ansie prodotte dalle ricerche web in tema salute), a mettere nuovamente in guardia dal pericolo di una navigazione ossessivo-compulsiva alla ricerca di patologie inesistenti è stato il professor Thomas Fergus, assistente alla cattedra di psicologia e neuroscienze del College of Arts & Sciences della Baylor University di Waco, in Texas, secondo il quale oggi la cybercondria può risultare ancor più dannosa della tradizionale ipocondria, perché basta un semplice clic del mouse per avere accesso ad una valanga di informazioni, molte delle quali senza alcuna valenza scientifica, che servono solo ad accrescere la preoccupazione (quasi sempre ingiustificata) di chi le legge. «Se io sono un tipo che non ama rimanere nell’incertezza quando si tratta della propria salute, la cybercondria non può che aumentare il mio stato di ansia – spiega l’accademico nello studio pubblicato sulla rivista specializzata Cyberpsychology, Behavior and Social Networking - perché mi spinge a fare continue ricerche online, a monitorare il mio corpo per scoprire nuovi sintomi o ad andare dal dottore con maggiore frequenza, diventando una sorta di circolo vizioso. Per fare un esempio, se avessi un bernoccolo in testa e mi capitasse di navigare su un sito di lesioni cerebrali da trauma, potrei arrivare a convincermi che la causa sia quella».
Esaminando un campione di 512 adulti sani, con un’età media di 33,4 anni e composto nel 55% dei casi da donne, nel 59% da persone laureate, nel 53% da lavoratori a 20 ore settimanali e nel 67% da non coniugati, e basandosi sulle risposte ad asserzioni del tipo «Ho sempre voluto sapere cos’ha in serbo per me il futuro» e «Passo la maggior parte del tempo a preoccuparmi per la mia salute», Fergus è così giunto alla conclusione che la sovrabbondanza di informazioni mediche disponibili online, alcune delle quali provenienti da fonti perlomeno discutibili, »può generare uno stato di ansia e di terrore spesso non giustificato e addirittura maggiore rispetto a quello che deriverebbe dalla lettura di un manuale scientifico o dalle risposte ottenute direttamente dal medico».
09 ottobre 2013
Simona Marchetti
Traetene voi le conseguenze; io mi permetto di consigliarvi di stare meno tempo possibile in Rete. ☺
Cybercondria, quando internet diventa il tuo medico: ecco i malati immaginari dell’era moderna
Convinti di avere una malattia cercano in rete la conferma medica, ma stanno peggio e fanno esami inutili
Sono considerati i malati immaginari dell’era moderna, ovvero ipocondriaci al tempo di internet che cercano in rete la conferma medica a sintomi che si convincono di avere ma che, in realtà, sono frutto della loro immaginazione, quella sì non del tutto sana. Li chiamano «cybercondriaci», (acronimo fra cyber e ipocondriaci coniato già nel 2000) perché sfogano online le loro (infondate) preoccupazioni sul proprio stato di salute: un fenomeno che solo negli Usa si stima colpisca almeno otto persone su dieci, mentre in Italia interessa il 32,4% della popolazione (secondo i dati di una ricerca del Censis dell’ottobre 2012). Ma se il fatto di autoconvincersi di soffrire di malattie che in realtà non si hanno è già grave di per sé, per chi è ansioso di suo l’effetto finale può risultare ancor più traumatico, arrivando addirittura a peggiorare lo stato di salute generale del soggetto in questione e ripercuotendosi poi non solo sulla sua vita personale (ad esempio con un aumento nella frequenza di visite al medico di base) ma anche sull’intero sistema sanitario nazionale, che deve spesso accollarsi le spese per esami specialistici del tutto inutili (ma che il paziente cybercondriaco richiede appunto perché convinto di avere chissà quale malattia).
Dopo un precedente studio del 2008 (condotto dalla Microsoft sulle ansie prodotte dalle ricerche web in tema salute), a mettere nuovamente in guardia dal pericolo di una navigazione ossessivo-compulsiva alla ricerca di patologie inesistenti è stato il professor Thomas Fergus, assistente alla cattedra di psicologia e neuroscienze del College of Arts & Sciences della Baylor University di Waco, in Texas, secondo il quale oggi la cybercondria può risultare ancor più dannosa della tradizionale ipocondria, perché basta un semplice clic del mouse per avere accesso ad una valanga di informazioni, molte delle quali senza alcuna valenza scientifica, che servono solo ad accrescere la preoccupazione (quasi sempre ingiustificata) di chi le legge. «Se io sono un tipo che non ama rimanere nell’incertezza quando si tratta della propria salute, la cybercondria non può che aumentare il mio stato di ansia – spiega l’accademico nello studio pubblicato sulla rivista specializzata Cyberpsychology, Behavior and Social Networking - perché mi spinge a fare continue ricerche online, a monitorare il mio corpo per scoprire nuovi sintomi o ad andare dal dottore con maggiore frequenza, diventando una sorta di circolo vizioso. Per fare un esempio, se avessi un bernoccolo in testa e mi capitasse di navigare su un sito di lesioni cerebrali da trauma, potrei arrivare a convincermi che la causa sia quella».
Esaminando un campione di 512 adulti sani, con un’età media di 33,4 anni e composto nel 55% dei casi da donne, nel 59% da persone laureate, nel 53% da lavoratori a 20 ore settimanali e nel 67% da non coniugati, e basandosi sulle risposte ad asserzioni del tipo «Ho sempre voluto sapere cos’ha in serbo per me il futuro» e «Passo la maggior parte del tempo a preoccuparmi per la mia salute», Fergus è così giunto alla conclusione che la sovrabbondanza di informazioni mediche disponibili online, alcune delle quali provenienti da fonti perlomeno discutibili, »può generare uno stato di ansia e di terrore spesso non giustificato e addirittura maggiore rispetto a quello che deriverebbe dalla lettura di un manuale scientifico o dalle risposte ottenute direttamente dal medico».
09 ottobre 2013
Simona Marchetti