Caro giovane888,
nel tuo errore di prospettiva vedo una ricorrente condizione di chi si trova a dover ancora “mettere a posto” l’HIV tra le cose della propria vita e degradarlo a ciò che oramai è:
una delle cose che possono capitare, sarebbe meglio fosse stato vincere alla lotteria, ma gli eventi sfortunati sono più probabili, c’è chi muore in casa mentre prepara i biscotti al mandarino e c’è chi si prende un virus….
Cercherò di essere più chiaro ancora: la ricerca farmacologica costa miliardi di euro tutti gli anni, probabilmente centinaia di miliardi di euro; viene fatta prevalentemente in Europa e negli Stati Uniti, ora un po’ in Cina, ma i luoghi sono quelli; il resto del mondo ne beneficia e basta.
Da chi viene fatta? La ricerca di base nelle università, il cui scopo è quello: formare scienziati esercitandoli nei laboratori. Con che soldi? Con quelli delle università, con quelli delle fondazioni e associazioni che raccolgono denaro tra il pubblico, con quelli dell’industria che ha spesso partnership con i centri di ricerca.
In che proporzioni si ripartiscono questi investimenti? Qui si apre una foresta di dati facilmente confondibili.
I finanziamenti pubblici alle università comprendono sia le spese per i laboratori sia quelle per le signore che passano il mocio negli uffici: è tutta spesa per la ricerca? I soldi che ogni università spende per la ricerca vengono anche da fondi non pubblici: li consideriamo tutti soldi pubblici solo perché sono spesi da un’università? Le università mica sono tutte pubbliche, neppure in Europa: come consideriamo i soldi della “Vita e salute” del San Raffaele? Non è una domanda da poco perché per anni il San Raffaele è stato in testa alle classifiche italiane sulla produzione scientifica.
E poi: quale ricerca? Io ho visitato decine di congressi internazionali, vagando per
meeting room a seguire i
late breaking e per i corridoi dei poster: la differenza è abissale. I poster sono spesso i lavori di piccolissimi gruppi su pochi pazienti, che magari offrono delle idee interessanti, ma giusto quelle, sulle quali poi qualcuno dovrà lavorare seriamente, le presentazioni in aula sono studi con centinaia o migliaia di pazienti, durati anni, condotti in più continenti, costati milioni e milioni di euro, che hanno coinvolto università, ospedali, fondazioni e industrie.
Quanto spende l’industria in ricerca e sviluppo? Tantissimo. Spesso a vuoto. Mentre per l’università la ricerca è un valore in sé, l’industria deve produrre valore per i suoi azionisti, eh sì. Quegli azionisti non solo i malvagi capitalisti che vivono appartamenti da cinquecento metri quadri nel cuore di New York e che si spostano rigorosamente in elicottero: ci sono anche milioni di persone come noi, che hanno dato i propri risparmi a una banca o a un fondo di investimento per avere qualcosa da parte per la pensione e che sperando di veder crescere anno dopo anno i propri risparmi. Questo vale per tutta l’industria privata, quindi anche per quella farmaceutica.
Ma quanto spende l’industria in ricerca e sviluppo? Tantissimo. Hai visto il dato di Gilead: 9 miliardi di dollari in un anno. Potresti andare a caccia nei vari siti delle farmaceutiche quotate negli USA per trovare questi dati, vedrai cifre impressionanti. Magari prendi nota e poi riportali qui questi dati: interesseranno a tutti.
Quanto spende l’industria in ricerca e sviluppo rispetto ai propri fatturati? Qui può sembrare che il dato sia molto inferiore, ma c’è una ragione. La ricerca con qualche probabilità di successo la si può fare solo con tanti soldi e relazioni in tutto il mondo. Per questo le farmaceutiche si sono concentrate sempre di più e ora ci sono una manciata di
big player globali e una miriade di licenziatari o genericisti. I
big player spendono miliardi di euro ogni anno, e in cambio vendono in tutto il mondo: è palese quindi che i costi per una struttura che copre il pianeta siano colossali e facciano ombra a quelli per la ricerca, ma i miliardi di dollari spesi in ricerca restano.
Sto dicendo che le farmaceutiche sono buone? Non l’ho mai detto in tutta la mia vita: le conosco troppo bene per pensare una cosa del genere. Sto dicendo che le farmaceutiche fanno bene il loro lavoro: sfruttano ogni possibilità per trasformare idee promettenti in farmaci destinati a essere venduti in tutto il mondo.
Il meccanismo dell’industria ha dei limiti: nessuna industria privata investe in un’area che prevede in perdita e questo, per esempio, ha spinto la nascita delle leggi sui farmaci orfani, che offrono una remunerazione sicura a investimenti che diversamente non avrebbero senso. Ti faccio solo notare che in Europa c’è formalmente molta ricerca pubblica; eppure, le malattie orfane restavano senza farmaci lo stesso…
Questo è il sistema: i soldi spesi per la ricerca devono trovare una remunerazione. L’università remunera le sue ricerche con il numero di pubblicazioni fatte, l’industria con il denaro prodotto, che è fondamentale per pagare ricchi stipendi non solo i top manager (mi spiace ma è anche così), per restituire denaro agli investitori, per finanziare molte ricerche che non porteranno da nessuna parte e, infine, per sviluppare qualche farmaco fortunato.
Questo sistema provoca danni? Ovviamente sì, ma molto meno di quello che si sostiene. È facile raccontare che in Africa si muore perché non ci sono i farmaci, ma è una palla. I farmaci, in un modo o nell’altro ci sono: ieri perché i governi che lo volevano ignoravano i brevetti, oggi perché ci sono licenze ad hoc. La realtà è che in Africa si muore perché non c’è sanità, non c’è organizzazione, forse non c’è neppure alcun interesse alla salute degli abitanti da parte dei loro governi. I paesi in via di sviluppo sono una discarica di problemi economici, politici e sociali probabilmente irrisolvibili se non nell’arco di generazioni, e non è colpa della Gilead.
Infine, due piccole note.
Perché Gilead si chiama così? A cavallo del millennio ho seguito da spettatore la nascita di una nuova compagnia farmaceutica e del suo nome: doveva essere un player globale; perciò, fu scelto un nome che suonasse bene in più lingue, non avesse lettere difficili da pronunciare, non avesse un significato in alcuna lingua e però “suonasse bene” e ricordasse qualcosa di buono almeno in Occidente… insomma, lo stesso processo usato per i nomi delle automobili… Gilead, come puoi trovare su Wikipedia, nasce con un altro nome, Oligogen, e diventa Gilead perché «
L'azienda ha concentrato le sue prime ricerche sulla creazione di piccoli filamenti di DNA (oligomeri, o più in particolare oligonucleotidi) per mirare a specifiche sequenze di codice genetico, ovvero la terapia antisenso, una forma di terapia genica. A causa dell'atteso potenziale curativo di tale ricerca, Oligogen cambiò presto il suo nome in Gilead Sciences, evocando le note proprietà curative dell'antico Balsamo di Galaad.».
Qui in Europa a nessuno verrebbe in mente di cercare il nome di un’azienda nella Bibbia, ma gli statunitensi la Bibbia la leggono molto e qualche pubblicitario ha pensato “
va’ che bella idea, evocare un balsamo mitico, gli agricoltori della Bible Belt faranno la fila per investire i loro risparmi”, senza pensare che trent’anni dopo ci sarebbe stato qualcuno a farsi strani film sul tema.
Sui massoni, oltre a riderne non so cosa dirti: qui in Italia la persecuzione operata dalla Chiesa è riuscita a trasformare un fenomeno spirituale e/o folcloristico in qualcosa di perverso, ma negli Stati Uniti la massoneria è una roba molto diversa, così popolare da finire in happy Days e nei Flintstones:
Howard Cunningham, fa parte della Loggia del Leopardo nr. 462 di Milwakee, di cui diventerà Gran Poobah...
e qui Fred Flinstone membro della Loggia dell'Ordine Leale dei Bisonti d'Acqua di Bedrock...