Il farmaco agisce su proteine di superficie dei CD4, inibendo il legame fra l’HIV e i corecettori CCR5 o CXCR4 e così impedendo al virus di replicare sé stesso all'interno della cellula.
Inizialmente il brevetto era stato sviluppato da Tanox poi confluita in Genentech, che l’ha a sua volta passato a TaiMed Biologics, una azienda di Taiwan. Tutti questi passaggi hanno reso più complicate le sperimentazioni.
I primi trial clinici hanno dimostrato che ha una certa capacità antivirale (più di 1 log di riduzione delle viremie, quando dato in monoterapia). Come altri mAB, ha una lunga emivita, quindi può non essere somministrato tutti i giorni. Deve però essere somministrato per via endovenosa (cfr. una review del 2010: Ibalizumab: an anti-CD4 monoclonal antibody for the treatment of HIV-1 infection).
Per non farla troppo lunga, in questo video è descritto il suo meccanismo di azione:
Ne parlo oggi, perché all’ultimo ICAAC sono stati presentati i risultati della sperimentazione clinica di fase IIb (S. Lewis, Safety, Efficacy, and Pharmacokinetics of Ibalizumab in Treatment-Experienced HIV-1 Infected Patients: a Phase 2b Study) e ne ho letto due resoconti molto diversi. Il primo, firmato da Myles Helfand per The Body Pro, pieno di speranza perché questo nuovo candidato farmaco si propone come integrazione alla HAART per persone che hanno sviluppato resistenze alle tre principali classi di antiretrovirali (Ibalizumab Study Casts a Ray of Hope for HIV-Infected People With Extensive Drug Resistance); il secondo, molto meno entusiasta, è uscito du MedPage Today, a firma di Michael Smith (ICCAC: Antibody HIV Therapy Has Mixed Results).
Mentre Helfand usa toni insolitamente enfatici, parlando delle speranze generate da questo farmaco che, pur ancora in una fase relativamente precoce del suo sviluppo, costituisce un’”oasi nel deserto” in cui vivono oggi le persone che si sono giocate la maggior parte degli ARV, evidenziando il fatto che questo mAB può essere assunto non quotidianamente, e concludendo il suo articolo con un'esortazione ai medici che hanno in cura pazienti multiresistenti a darsi da fare per inserirli in questa sperimentazione; dall’altra parte Michael Smith sottolinea come sì, è vero che questo approccio si sta dimostrando sicuro e ben tollerato, ma le riduzioni delle viremie si sono avute in meno della metà dei pazienti; inoltre l’Ibalizumab è il primo mAB ad essere arrivato in fase clinica [non è assolutamente vero!! (*)], il suo meccanismo d’azione non è ancora ben chiaro e con questi farmaci sono obbligatorie molte cautele.
(*) Altri anticorpi monoclonali sono allo studio contro l’HIV e in fase clinica ci sono (almeno a mia conoscenza) il PRO 140 (cfr. Anticorpi monoclonali: PRO 140 e [CROI 2011]15 anni di HAART–che cosa ci riserva il futuro?) e il Cytolin (cfr. [Anticorpi monoclonali] Cytolin).
In breve, i dati portati all’ICAAC da TaiMed Biologics USA sono questi (le slides sono state messe a disposizione da Jules Levin):
Figura 1: sintesi delle caratteristiche del farmaco

Figura 6: fase 1a, proof of concept a dosaggio singolo

Figura 7: fase 1b, dosaggi multipli

Figura 8: progetto di sperimentazione clinica di fase 2a

Si era visto in passato che l’Ibalizumab era migliore del placebo nel sopprimere la carica virale.
Figura 9: riduzione significativa delle viremie

Figura 10: risposte immunologiche positive

Lo studio presentato all’ICAAC è stato una sperimentazione in doppio cieco, ma senza gruppo di controllo con placebo, su 113 persone già molto trattate, che avevano sviluppato resistenze a NNRTI, NRTI e IP e stavano fallendo il regime terapeutico (viremie > 1000, ma in media > 100.000), pur avendo ancora almeno un antiretrovirale efficace (cioè erano in un regime di background ottimizzato – OBR).
I pazienti sono stati randomizzati per ricevere un OBR + Ibalizumab in due dosaggi: 800 mg una volta ogni due settimane, oppure 2000 mg una volta al mese.
Figura 11: progetto dello studio di fase 2b

In media, i pazienti avevano l’infezione da 17 anni ed avevano più di 40 anni; per la maggior parte erano uomini bianchi; la grande maggioranza, quando è entrata nello studio, aveva meno di 200 CD4.
Figure 12 e 13: caratteristiche dei pazienti


Figura 14: obiettivi primari

Figura 15: obiettivi secondari

Risultati a 24 settimane:
• La proporzione dei pazienti che hanno raggiunto l’obiettivo primario è stata del 44% di coloro che hanno ricevuto il dosaggio di 800 mg e del 28% di coloro che hanno ricevuto il dosaggio più alto, ma questa differenza non è considerata significativa dal punto di vista statistico;
• la diminuzione mediana delle viremie è stata 1,6 log per il dosaggio più basso e di 1,8 per il dosaggio più alto; di nuovo una differenza non significativa dal punto di vista statistico;
• si sono verificati 15 eventi avversi gravi, ma secondo i ricercatori non erano correlati con il farmaco; nessun paziente ha interrotto la terapia a causa di eventi avversi dipendenti dall’Ibalizumab; non si sono viste anomalie di laboratorio significative dal punto di vista clinico;
• gli effetti collaterali più comuni correlati con il farmaco sono stati rash, diarrea, mal di testa, nausea – senza differenze significative fra i due dosaggi.
Figura 16: le variazioni dei CD4 rispetto al livello basale

Figura 17: seri eventi avversi non dipendenti dal trattamento

Figura 18: eventi avversi causati dal trattamento

Figura 19: anomalie di laboratorio di grado 3-4

Conclusioni

I prossimi passi
