Da Early HIV-specific CD8+T cell responses in treated and untreated hyperacute HIV infection in the FRESH cohort
STUDIO FRESH (Female Rising through Education, Support and Health): TRATTAMENTO DELL'INFEZIONE IPERACUTA
Riprendo parte del post che ha dato inizio al thread [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV per riparlare dello studio FRESH, poiché alcuni suoi risultati sono stati presentati a Durban, ad AIDS 2016, durante il simposio Towards a Cure (Thumbi Ndung’u, University of KwaZulu-Natal, Addressing key gaps in cure research through identification and treatment of hyperacute HIV infection in a resource limited setting).
Le slides possono essere viste nel post originale.
Non essendo ancora disponibile il materiale del congresso, questo aggiornamento si basa sul post di Gus Cairns pubblicato ieri su aidsmap.com con il titolo Young women treated in very early HIV infection stay HIV negative and preserve immune function.Dora ha scritto:Bruce D. Walker - T Cell Control of HIV: Implications for Vaccines and Cure
[...] Sulla base di un’enorme mole di ricerche fatte in questi decenni, Walker avanza dunque alcune conclusioni:
Quanto detto finora è stato appreso prevalentemente da dati derivati da persone con infezione cronica. Sappiamo però che agli inizi dell’infezione accade qualcosa che permette di predire come sarà il corso successivo della malattia.
- 1. I CD8 HIV-specifici possono uccidere le cellule infettate dal virus prima che sia prodotta la progenie di virioni;
2. L’HLA e i peptidi virali presentati influenzano la viremia;
3. I CD8 HIV-specifici differiscono per efficacia antivirale;
4. Le mutazioni virali che si producono sotto pressione dei CD8 portano all’escape immune;
5. La viremia persistente porta a una disfunzione di queste cellule.
La viremia a un anno predice che cosa accadrà in futuro. Ecco perché è particolarmente importante capire che cosa accade durante le fasi precoci dell’infezione.
Durante l’infezione acuta, si è visto che i CD8 HIV-specifici appaiono quando la viremia inizia a declinare nel sangue dopo aver raggiunto il suo picco, a suggerire che i CD8 abbiano giocato qualche ruolo in quel declino, ben prima che compaiano gli anticorpi neutralizzanti. Si tratta però di risposte abbastanza modeste, quindi è difficile pensare che la responsabilità del declino della viremia sia tutta loro.
Per capire che cosa accade bisogna andare ancora più indietro nel tempo, al momento dell’infezione iperacuta, quando la viremia comincia ad essere rilevabile nel sangue e a salire. Il problema è che è molto difficile trovare persone in quello stato, perché pochissimi sono sintomatici.
Per cercare persone in quello stato, diversi anni fa Walker e colleghi hanno iniziato una collaborazione con la KwaZulu Natal University a Durban, Sud Africa, dove molti bambini nascono con l’infezione (più del 9% delle donne fra 18 e 35 anni è HIV positivo) e dove è stato possibile studiare le reazioni dei CD8 di donne appena infettate.
Hanno dunque dato inizio al progetto FRESH (Female Rising through Education, Support and Health), che aveva insieme due obiettivi: 1) prevenire l’infezione da HIV mediante una riduzione della povertà e 2) studiare l’immunologia dell’infezione iperacuta.
Hanno dunque arruolato donne fra i 18 e i 23 anni ad alto rischio di contrarre l’infezione e hanno fornito loro due volte a settimana occasioni di “empowerment” (abilità lavorative, disponibilità di lavoro, informazioni su come prevenire l’infezione). Queste ragazze sono state testate due volte a settimana, così da poter individuare immediatamente un’eventuale infezione e trattarla in base alle linee guida sudafricane.
Il successo nell’impedire a queste ragazze di infettarsi non è stato completo. Qualcuna si è infettata, ma è stato possibile individuare l’infezione durante la fase iperacuta. Nella slide che segue si vede il primo caso che hanno osservato: 3 giorni prima del primo test RNA positivo non c’era viremia rilevabile nel plasma. Poi la viremia è salita a 4000 copie e in un mese è arrivata a oltre 10 milioni di copie. Si vede un parallelo declino dei CD4 durante il picco della viremia.
Walker e colleghi sono stati in grado di stimare una mediana del tempo di raddoppiamento della viremia (0,68 giorni), una mediana del picco della viremia (10 milioni di copie) e una mediana del set point virale (42.700 copie). Quello che hanno trovato di interessante è che il tempo di raddoppiamento è stato simile in tutte le persone studiate, mentre i picchi delle viremie e i set point hanno avuto una grande variabilità.
Studiando il modo in cui i CD8 hanno reagito durante l’infezione iperacuta, si è visto che erano massicciamente (più dell’80%) attivati e poi, con la discesa della viremia, diminuiva anche l’attivazione dei CD8.
[...] Tutti questi studi messi insieme ci dicono che non solo il sistema immunitario durante l’infezione acuta “vede” il virus, ma reagisce in modo molto forte.
Ci si chiede però se questi CD8 siano HIV-specifici o no. Nella slide qui sotto si vede che i CD8 prima dell’infezione non producono interferone gamma, mentre ne producono sempre di più all’aumentare della viremia, per poi diminuirne la produzione quando la viremia declina, a indicazione che sono largamente specifici per HIV.
Risposte così forti dei CD8 non sono mai state rilevate in persone con infezione cronica, compresi gli elite controller.
Sulla base di questi dati, ci si può chiedere come questa massiccia attivazione dei CD8 influenzi il set point virale. Quel che Walker e colleghi hanno visto è che il tempo perché l’attivazione dei CD8 arrivi al suo massimo si correla direttamente con il set point della viremia.
Invece, la percentuale di CD8 attivati si correla inversamente con il set point della viremia. In sostanza: ci vogliono molti CD8 e molto in fretta per abbassare il set point.
Ma perché, allora, i CD8 si contraggono in presenza di una produzione continua di viremia? Il set point non è zero, la replicazione virale continua, eppure l’attivazione dei CD8 diminuisce e i CD4 riprendono a declinare.
Durante l’infezione iperacuta, i CD8 proliferano a un tasso molto rapido e hanno forti caratteristiche pro-apoptotiche.
Questo indica che sono cellule molto fragili, inoltre non si trasformano in cellule della memoria in modo appropriato (l’espressione del CD27 come marker di memoria a lungo termine è molto bassa in questi CD8).
Un altro segnale che queste cellule stanno diventando disfunzionali è la progressiva perdita di perforina.
Come si fa a impedire questa perdita di funzionalità dei CD8 HIV-specifici? È possibile farlo trattando l’infezione iperacuta?
Walker e colleghi sono riusciti ad avere il permesso di trattare 14 donne delle 37 arruolate nello studio FRESH e quello che hanno ottenuto è descritto nella slide che segue: un picco ovviamente molto più basso della viremia, un suo rapido abbattimento e il mantenimento dei CD4 a livelli di normalità.
Inoltre, il trattamento così precoce ha comportato un miglioramento della funzionalità dei CD8 e una trasformazione dei CD8 HIV-specifici in “buoni” CD8 memoria, funzionalmente competenti.
Walker ne conclude che:
- 1. L’infezione iperacuta può essere identificata se la si va a cercare nel cuore dell’epidemia di HIV;
2. L’inizio dell’infezione si associa con una massiccia risposta HIV-specifica dei CD8 con caratteristiche disfunzionali;
3. L’ampiezza e la cinetica delle risposte dei CD8 HIV-specifici durante l’infezione iperacuta determina il controllo successivo della viremia;
4. Il trattamento dell’infezione iperacuta comporta un fenotipo dei CD8 HIV-specifici più funzionale e più adatto alla loro sopravvivenza.
[...] Un’altra questione è se il trattamento precoce influenzi la risposta immune (lo studio FRESH ha detto di sì).
[...] In conclusione:
- 1. Il trattamento precoce dell’infezione iperacuta migliora le risposte ai vaccini terapeutici;
2. Le strategie di cura prevedibilmente richiederanno l’eliminazione delle cellule infette mediante dei CD8 capaci di colpire epitopi subdominanti;
3. I CD8 HIV-specifici possono contribuire all’efficacia di un vaccino, insieme ad altre risposte immuni.
Thumbi Ndung'u della University of KwaZulu Natal ha portato al simposio sulla cura pre-congresso gli ultimi risultati raccolti dallo studio FRESH su 300 ragazze fra i 18 e i 23 anni. Un gruppo di 28 ragazze sulle 42 che sono state diagnosticate appena si sono infettate è stato immediatamente (entro 15 giorni dal contagio) messo in terapia antiretrovirale e ha fornito delle informazioni estremamente interessanti sul trattamento durante la fase iperacuta.
Infatti:
- - la ART ha preservato sia il numero dei CD4, sia la funzionalità di CD4 e CD8;
- la maggior parte delle ragazze non ha neppure sieroconvertito: sono rimaste HIV negative, nonostante bassi livelli di infezione fossero misurabili nelle loro cellule;
- continueranno ad essere seguite per 2 o 3 anni e poi si deciderà se proporre loro o meno un'interruzione della terapia per vedere se manterranno il controllo della viremia senza farmaci.
11 fra le 14 ragazze che hanno scelto di non cominciare subito la ART hanno avuto la viremia rilevabile entro 15 giorni dal contagio.
Fra queste ragazze non trattate, il picco della viremia è arrivato a decine di milioni di copie/mL 10 giorni dopo la diagnosi poi, entro 3-4 settimane, è crollato per stabilizzarsi su un set point medio di 30.000 copie/mL. I CD4, che prima dell'infezione erano in media 800 cellule/mm^3, sono precipitati a 250 durante il picco della viremia, poi si sono ripresi, anche se non completamente, risalendo a circa 470 cellule entro il 30° GIORNO.
Le ragazze trattate subito, invece, hanno sviluppato un picco di viremia di circa 40.000 copie/mL 10 giorni dopo la diagnosi, ed entro un mese dalla diagnosi hanno raggiunto la soglia dell'irrilevabilità (<50 copie/mL).
I loro CD4 hanno ondeggiato leggermente durante il picco delle viremie, ma al traguardo dei 30 giorni dal contagio erano solidamente ancorati ai livelli di prima dell'infezione.
Soltanto 3 fra le 22 donne trattate i cui dati erano completi hanno sviluppato anticorpi anti-HIV e sono quindi risultate "HIV positive".
Non c'è stata relazione fra i picchi delle viremie e lo sviluppo o meno di anticorpi, mentre si è osservata una debole relazione fra gli appuntamenti di controllo mancati e la sieropositività all'HIV.
Alcune delle ragazze trattate non hanno sviluppato alcuna risposta immune all'HIV - non solo assenza di anticorpi, ma perfino assenza di risposte dei CD8. Fra quelle che hanno sviluppato risposte, benché avessero poche cellule reattive all'HIV, quelle poche cellule hanno sviluppato risposte molto forti.
Al contrario, i CD8 HIV-specifici delle donne non trattate hanno mostrato risposte molto più deboli contro HIV (solo il 20% di quei CD8 ha prodotto interferone-γ) che contro altri virus (60% contro CMV, 100% contro influenza).
Questo risultato è concorde con altri studi presentati al simposio Towards a Cure in cui si vede come HIV agisca in modo specifico contro i CD8, indebolendoli e rendendoli poco reattivi, facendo loro sottoregolare il CD27, che è un marker di longevità di questi linfociti T (cfr. la relazione di Bruce Walker al CROI di quest'anno).
Invece, i CD8 delle donne trattate subito sovraregolavano il CD27 e producevano dieci volte tanto IFN-γ.
Questa osservazione è molto importante, perché potrebbe portare a una revisione dell'ipotesi secondo cui il modo principale attraverso cui HIV opera i suoi danni è causando un esaurimento del sistema immunitario - potrebbe invece essere che il danno consista nello spegnimento di parti del sistema.
Lo studio FRESH dovrà rispondere a domande fondamentali: che cosa accadrà in futuro alle donne trattate subito? I livelli di virus così bassi permetteranno loro di sospendere la ART e di contenere il rebound delle viremie?
La prossima puntata sarà appassionante da seguire.