QUEL MALEDETTO SANTUARIO DEI CD4 FOLLICOLARI
Ieri, su Nature Medicine, Louis Picker (insieme a Jeff Lifson e a un gran numero di collaboratori) ha pubblicato i risultati di una ricerca che l'ha portato a delineare il ruolo che un certo sottogruppo di CD4, i CD4 follicolari (Tfh), potrebbe svolgere nel rendere ancora più difficile una cura dell’infezione da HIV.
I linfociti T helper follicolari sono dei particolari CD4 che, esprimendo una chemochina chiamata CXCR5, regolano lo sviluppo dell’immunità mediata dai linfociti B, aiutando i linfociti B a generare cellule plasmatiche - che producono anticorpi - e linfociti B memoria.
La caratteristica che ci interessa oggi è la loro localizzazione: risiedono infatti quasi esclusivamente nei follicoli dei linfonodi, che sono siti particolarmente impervi all'azione delle reazioni citolitiche scatenate dai CD8.
Negli anni scorsi, questi CD4 follicolari sono stati individuati anche come un importante reservoir di HIV latente da Giuseppe Pantaleo e dal suo gruppo di lavoro all’Università di Losanna (cfr. il thread I linfociti T (Tfh) importante riserva cellulare di HIV).
Il lavoro di Picker su Nature Medicine li prende invece in considerazione come “santuari” di persistente produzione virale, sia negli elite controller, sia in condizioni di terapia antiretrovirale soppressiva, ma usa il lavoro di Pantaleo come base per dare conferma all’ipotesi principale di questa ricerca, secondo cui i CD4 follicolari produttivamente (non latentemente!) infetti – grazie alla loro posizione – sfuggono alla distruzione da parte della reazione immune scatenata dai CD8.
Si sa che i CD4 follicolari costituiscono la popolazione maggioritaria di cellule produttivamente infette durante l’infezione cronica. Quello che invece non era chiaro era se il virus attacchi di preferenza questo sottogruppo di CD4 perché
- 1. sono loro ad essere più suscettibili all’infezione;
2. i CD4 follicolari infetti hanno una vita più lunga degli altri CD4 infetti;
3. i CD4 follicolari si annidano in un ambiente particolarmente favorevole all’infezione attiva;
4. nel progredire dell’infezione si verifica una maggiore espansione del sottoinsieme dei CD4 follicolari rispetto ad altri tipi di CD4;
5. oppure – e questa era l’idea di Pantaleo – i CD4 follicolari produttivamente infetti sono in qualche modo protetti dall’eliminazione mediante reazioni immuni.
Picker, come sempre, lavora su scimmie con SIV; ma ritiene che i risultati di questa ricerca possano essere estesi agli esseri umani con HIV.
Parte dall’osservazione che gli elite controller riescono, sì, a scatenare reazioni immuni che permettono di controllare bene le viremie; tuttavia, non riescono a sopprimere completamente la replicazione virale e, quando sono studiati usando test ultrasensibili, si vede che in media hanno livelli di virus nel sangue più alti delle persone che raggiungono un’ottimale soppressione della viremia grazie alla ART. Questa viremia di basso livello negli elite è comunque sufficiente a consentire un’evoluzione del virus e a causare dei livelli di immunoattivazione più alti rispetto a chi è trattato con antiretrovirali.
Si ritiene che il grosso del lavoro nel controllare le viremie negli elite sia fatto dalla costante azione citolitica dei CD8. Ma se, per quanto bassa, una certa replicazione virale permane, è evidente che questa azione dei CD8 non è sufficiente.
La ragione di questo è il fatto che la maggior parte dei CD8 effettori, compresi i CD8 che si sono specializzati a riconoscere l’HIV e l’SIV, sono privi dei recettori per entrare nelle zone follicolari dove si annidano dei linfociti B. Questo significa che un CD4 follicolare infetto potrebbe riuscire a scampare dall’azione dei CD8 proprio grazie al fatto che si trova all’interno di un “santuario”, una zona di “privilegio immune” in cui i CD8 non riescono a penetrare.
Picker ha dunque usato dei macachi infetti da SIV, che erano sia elite controller, sia normali progressori per capire
- 1. se davvero questo ipotizzato privilegio immune dei linfociti B follicolari costituisca una barriera alla distruzione di cellule infette mediata dai linfociti T CD8;
2. e se questo meccanismo possa spiegare la persistenza di un’infezione produttiva negli elite controller.
I suoi esperimenti hanno dimostrato che
- 1. SE AUMENTA IL CONTROLLO IMMUNOLOGICO (COSA CHE VEDIAMO ATTRAVERSO IL SET POINT DELLA VIREMIA NEL PLASMA), L’INFEZIONE PRODUTTIVA (DA SIV, MA PRESUMIBILMENTE ANCHE DA HIV) SI RESTRINGE PROGRESSIVAMENTE PROPRIO AI CD4 FOLLICOLARI INSEDIATI NEI FOLLICOLI DEI LINFOCITI B;
2. QUESTA RESTRIZIONE È PROPRIO DOVUTA ALL’AZIONE ANTIVIRALE DEI CD8, PERCHÉ SCOMPARE NEL MOMENTO IN CUI SI DISTRUGGONO I CD8 MEDIANTE UN ANTICORPO MONOCLONALE, MA SI RIPRESENTA NON APPENA SI HA UN RECUPERO DEI CD8;
3. NEI MACACHI CON VIREMIA COMPLETAMENTE E DUREVOLMENTE SOPPRESSA DALLA ART, L’INFEZIONE PRODUTTIVA DA SIV SI LOCALIZZA DI PREFERENZA PROPRIO NEI FOLLICOLI DEI LINFOCITI B.
Mettendo insieme questi risultati, Picker ne conclude che L’INFEZIONE PRODUTTIVA DEI CD4 FOLLICOLARI RISULTA PROTETTA IN MODO SOSTANZIALE DALL’AZIONE DISTRUTTIVA DEI CD8 E QUESTO PUÒ COSTITUIRE UNA BARRIERA MOLTO SERIA AL TENTATIVO DI ERADICARE O CURARE FUNZIONALMENTE L’INFEZIONE SFRUTTANDO L’AZIONE KILLER DEI CD8, ANCHE QUALORA I CD8 SIANO STIMOLATI MEDIANTE UN VACCINO TERAPEUTICO.
Infatti, Picker fa una previsione che può avere un’estrema rilevanza per qualsiasi strategia di cura del genere “shock and kill”: se la riattivazione della trascrizione del virus o la replicazione virale residua avviene nei CD4 follicolari all’interno dei linfonodi di persone in ART, si rischia che sia relativamente protetta dalle reazioni CTL dei CD8 e quindi che non si riescano a distruggere le cellule infette.
Anche se i CD4 follicolari sono solo circa il 12 % dei CD4 memoria all’interno dei linfonodi dei macachi in ART, c’è dunque il rischio che una parte sostanziale del virus riattivato si localizzi in un ambiente schermato rispetto all’azione dei CD8.
La capacità del virus di sfruttare il santuario dei linfociti B follicolari per sfuggire a una reazione immune anche molto robusta ed efficace scatenata dai CD8 costituisce una strategia di evasione immune molto efficace, perché consente al virus di replicarsi abbastanza da evolvere, sviluppando delle mutazioni che possono permettergli di sfuggire a delle risposte dei CD8 anche molto efficaci.
Perfino a delle risposte stimolate da un vaccino terapeutico?
Purtroppo la risposta è sì. C’è il rischio che anche rafforzando le reazioni CTL con un vaccino non si riesca a forzare il santuario dei CD4 follicolari.
Ma che dire del vaccino di Picker, che usa come vettore il CMV ed è riuscito ad eradicare l’infezione da SIV in circa la metà dei macachi vaccinati?
Picker sottolinea due cose:
- 1. l’infezione che il suo vaccino è riuscito nel tempo ad eradicare grazie alla stimolazione dei linfociti T memoria effettori (sia CD4, sia CD8) era, sì, estesa, ma anche in fase iniziale;
2. quello che è accaduto alle sue scimmie è che i linfociti T memoria effettori o hanno generato delle risposte capaci di controllare l’infezione prima che i CD4 follicolari si insediassero nei follicoli dei linfociti B, oppure hanno generato delle risposte capaci di penetrare in quei santuari ed eliminare le cellule infette che si nascondevano lì dentro.
Picker si ferma qui.
E io non so che cosa dobbiamo aspettarci. Perché credo che questo lavoro sia la premessa di quanto Picker ci dovrà dire a breve sull’uso del suo vaccino in funzione terapeutica. Ma non so se ci dirà “miei cari, mi dispiace infinitamente, ma il mio vaccino nelle scimmie con infezione cronica ha fallito”, oppure ci dirà “miei cari, il mio vaccino ha saputo generare reazioni dei CD8 così ampie, così potenti, così ben indirizzate verso epitopi non mutati dell’SIV, che potrebbe proprio funzionare anche in una strategia di cura dell’HIV”.
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