SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
skydrake
Messaggi: 9925
Iscritto il: sabato 19 marzo 2011, 1:18

Re: [STUDI] Siliciano: chinoline, disulfiram, reazioni CTL

Messaggio da skydrake » sabato 13 settembre 2014, 18:33

rospino ha scritto: Altra considerazione: alla luce di quanto presentato da Siliciano, non sarebbe quindi opportuno evitare il più possibile cambi di terapia, proprio per sviluppare il minor numero possibile di mutazioni nelle cellule quiescienti e quindi avere a disposizione più opzioni terapeutiche, nel caso in cui in futuro l'approccio "shock and kill" diventi realtà?
Questo punto non l'ho ben capito: le mutazioni nelle cellule quiescenti non si sviluppano. O si hanno o non si hanno. Non a caso sono cellule quiescenti.
Il cambiare terapia, a parte il periodo critico dei giorni di switch, al più "scopre" una mutazione che c'era già.

Si selezionano (nel senso che i virioni che hanno una data mutazione si ritrovano un vantaggio competitivo e prosperano rispetto i virioni senza quella mutazione), sopratutto quando il dosaggio degli antiretrovirali è sotto la soglia minima necessaria per bloccare dei virioni con una data mutazione ma è superiore alla soglia minima per bloccare gli altri virioni senza quella mutazione.

Il momento critico, come scritto prima, è lo swicth. Ti confesso una cosa: nella mia vita ho cambiato tre terapie (quattro se consideriamo il passaggio da Emtricibatine alla Lamivudine). Tutte le volte ho fatto in modo di avere una sovrapposizione di un giorno: all'ultimo giorno della vecchia combinazione di antiretrovirali ho sempre assunto anche gli antiretrovirali della nuova. Ho rischiato in fatto di effetti collaterali, ma facendo così mi sono sentito più sicuro.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla

Messaggio da Dora » sabato 10 gennaio 2015, 13:33

  • Immagine


    ”CONOSCI IL TUO NEMICO”.
    “EVITA CIÒ CHE È FORTE E COLPISCI CIÒ CHE È DEBOLE”
Le due massime tratte dall’Arte della Guerra sono evocate da Louis Picker e Jeffrey Lifson in un Commento che accompagna l’ultimo articolo su Nature di Siliciano. E sono la sintesi più intelligente che mi sia capitata di leggere sul lavoro di Siliciano negli ultimi tempi.

In questa letterina a Nature prosegue la collaborazione con Liang Shan – ora a Yale – che aveva dato origine al fondamentale lavoro di tre anni fa, grazie al quale avevano dimostrato che non basta indurre l’HIV a uscire dalla latenza perché le cellule quiescenti magicamente muoiano o per gli effetti tossici della replicazione del virus o per le reazioni citolitiche dei CD8 (CTL – cytotoxic T lymphocites). Ma anzi, queste cellule infette sopravvivono e possono proliferare, compromettendo qualsiasi strategia che miri a eradicare il virus svuotando il reservoir.

Una volta seppellita la versione ingenua o metafisica dello “shock and kill” e dato il via alla corsa per saltare sul carro dell’eradicazione di qualunque gruppo di ricerca stia studiando anche il più scadente o improbabile vaccino terapeutico, in questo nuovo lavoro Siliciano ci insegna due cose:

  • 1. anzitutto, ci spiega la ragione per cui i CD8 non riescono a distruggere i CD4 memoria quiescenti, che si mettono a sfornare virus un tempo latente ed ora riattivato – dunque una delle ragioni per cui abbiamo visto fallire i trial clinici con sostanze antilatenza di questi ultimi anni. Dicevamo “i CD8 delle persone in ART sono indeboliti da anni di virus e di farmaci”. Bene, ancora una volta Siliciano ci porta fuori dalla metafisica e dentro la scienza;
    2. in secondo luogo, ci offre una possibile via d’uscita per riportare i CD8 alla loro vera natura di killer spietati.


Tutto si gioca sulle mutazioni di escape. L’escape virale dalle reazioni CTL (cioè dai CD8), assicurata dall’alta variabilità genetica e dalla rapida evoluzione dell’HIV, è un meccanismo diabolico, certamente l’arma migliore messa in campo dal virus, che gli ha consentito finora sia di farsi sostanzialmente beffe del nostro sistema immunitario, sia di avere ragione di qualsiasi vaccino.
Nelle prime settimane dell’infezione, l’organismo monta una risposta immune, che per una parte significativa è affidata proprio alle reazioni CTL. Ma il virus, che si trova sotto questa forte pressione selettiva, sviluppa un gran numero di mutazioni in porzioni chiave delle sue principali proteine, che in questo modo risultano “mascherate”, permettendogli di sfuggire dai CD8: questi, infatti, non riconoscono gli epitopi mutati nelle molecole dell’HIV come qualcosa di “estraneo”, quindi non riescono a distruggerlo. È così che le popolazioni virali mutate crescono fino a diventare quelle predominanti.

Come è facilmente intuibile, espandere una risposta immune dalla quale il virus sfugge serve a ben poco.
Anzi, se si stimola la risposta immune con un vaccino “sbagliato”, si finisce con il caricare forza su una linea di difesa inefficace e il processo di escape virale può addirittura contribuire ad aumentare il reservoir.

Ecco perché i CD8 devono imparare a “mirare giusto”. Ed ecco perché per addestrarli serve un vaccino.

Ora, dal momento che il meccanismo di escape è ben noto da anni, i vari vaccini basati sui CTL sono stati costruiti utilizzando gli epitopi conservati – in sostanza le piccole porzioni di virus che rimangono costanti nonostante le innumerevoli mutazioni. Eppure finora non hanno funzionato un granché.
Qual è il tassello mancante? Il virus latente nei reservoir.
E proprio a questo si indirizza la ricerca di cui parliamo oggi, nuovo capitolo di quell’immenso lavoro di caratterizzazione del reservoir latente fatto da Siliciano e dai suoi collaboratori.

Ricerche svolte in passato avevano fatto ipotizzare la presenza di mutazioni di escape nel DNA provirale, ma non era chiaro

  • - quanto del reservoir latente dei CD4 quiescenti sia mutato in modo da sfuggire ai CTL;
    - se le mutazioni osservate nel DNA provirale siano rappresentative di quella piccola porzione di provirus che sono capaci di replicazione;
    - e soprattutto se i CD8 siano capaci di riconoscere e distruggere le cellule infette una volta che la latenza sia stata invertita.


Per dare risposta a queste domande Siliciano e collaboratori hanno isolato i CD4 e i CD8 dal sangue di 25 persone con HIV - 10 che avevano iniziato la ART durante la fase acuta (entro 3 mesi dall’infezione) e 15 trattate in fase cronica.
Mediante sequenziamento profondo, hanno analizzato il DNA provirale presente nei CD4 quiescenti e, in particolare, hanno studiato la proteina Gag, poiché questa è un traget importante della risposta CTL. Inoltre è altamente conservata, quindi è più facile rilevarne le varianti di escape.

La prima cosa che hanno scoperto è che

  • 1. I PAZIENTI CHE AVEVANO INIZIATO LA ART ENTRO POCHE SETTIMANE O MESI DALL’INFEZIONE OSPITAVANO NEL RESERVOIR UN HIV SOSTANZIALMENET INALTERATO (WILD TYPE) E SEMBRAVANO DUNQUE AVERE BLOCCATO IL PROCESSO DI MUTAZIONE, CONGELANDO IL VIRUS NEL SUO STATO ORIGINARIO;

    2. I PAZIENTI CHE AVEVANO INIZIATO LA ART IN FASE CRONICA OSPITAVANO UN VIRUS LATENTE QUASI COMPLETAMENTE ALTERATO DA MUTAZIONI DI ESCAPE (PER PIÙ DEL 98%!).


La differenza così impressionante fra persone trattate in fase acuta e persone trattate in fase cronica indica che

  • 1. IL RESERVOIR DI HIV LATENTE NELLE PERSONE NON IN TERAPIA È MOLTO PIÙ DINAMICO DI QUANTO SI PENSASSE, e che

    2. A MENO CHE LA TERAPIA SIA INIZIATA ENTRO I PRIMISSIMI MESI DELL’INFEZIONE, IL RESERVOIR LATENTE – per ragioni che devono ancora essere indagate a fondo, ma che riflettono la natura dinamica del reservoir nell’infezione non trattata - È COMPOSTO QUASI COMPLETAMENTE DA VARIANTI DI VIRUS CHE SFUGGONO ALLE PRINCIPALI RISPOSTE CTL.

    INSOMMA, DURANTE LA FASE CRONICA DELL’INFEZIONE, GRAN PARTE DEL VIRUS LATENTE NON È SOLTANTO IRRAGGIUNGIBILE DAL SISTEMA IMMUNITARIO, CIOÈ DAI CD8 CHE SONO STATI ADDESTRATI A RICONOSCERLO (I CD8 HIV-SPECIFICI), PERCHÉ NON DÀ SEGNO DI SÉ; È ANCHE MUTATO, GENETICAMENTE ALTERATO IN MODO DA SFUGGIRE AL RICONOSCIMENTO ANCHE QUANDO LA LATENZA È STATA INVERTITA E IL VIRUS HA RICOMINCIATO A TRASCRIVERSI.


Volevate una ragione in più per iniziare la ART il prima possibile? Eccovela: la presenza così dominante di varianti di escape nel reservoir latente delle persone trattate in fase cronica è una barriera in più opposta all’eradicazione.
LA ART IN FASE ACUTA NON SOLTANTO RIDUCE LE DIMENSIONI, MA ALTERA LA COMPOSIZIONE DEL RESERVOIR IN UN MODO CHE POTREBBE RENDERE PIÙ EFFICACI DELLE TERAPIE DI ERADICAZIONE CHE SFRUTTINO LE REAZIONI CTL DEI CD8.

Quando si è indagato se il virus latente riattivato nei CD4 di un paziente trattato in fase cronica veniva riconosciuto dai CD8 di quel medesimo paziente, si è visto che

  • LE SEQUENZE MUTATE NEGLI EPITOPI DELLA PROTEINA GAG CONFERIVANO AL VIRUS LA CAPACITÀ DI SFUGGIRE AI CD8 ADDESTRATI A RICONOSCERE I VIRUS WILD TYPE.


La seconda cosa fondamentale scoperta da Siliciano è che

  • TUTTE LE VARIANTI DI VIRUS CHE ERANO PRESENTI AD ALTE CONCENTRAZIONI NEL RESERVOIR LATENTE E CHE MOSTRAVANO MUTAZIONI DI ESCAPE AI CD8 NON SOLO COSTITUIVANO LE POPOLAZIONI DI PROVIRUS DOMINANTI, MA ERANO PERFETTAMENTE FUNZIONANTI, CIOÈ POTEVANO ESSERE RIATTIVATE ED ERANO CAPACI DI REPLICARSI, DANDO LUOGO A UN REBOUND VIRALE IN CASO DI SOSPENSIONE DELLA TERAPIA.


Immagine

Passiamo finalmente alla pars costruens, che dai lavori di Siliciano non manca mai, ma che questa volta mi pare particolarmente importante.

Le risposte CTL convenzionali contro gli epitopi dominanti dell’HIV – quelle sviluppate durante le prime fasi dell’infezione ed essenziali nel determinare il livello di replicazione virale che si avrà durante la fase cronica – quasi certamente non riescono a distruggere le cellule latentemente infette riattivate; e non ci riescono neppure se sono rafforzate da un vaccino terapeutico convenzionale.

Ma l’ipotesi (geniale) di Siliciano-Sun Tzu è che anche le persone entrate in terapia quando ormai i giochi erano fatti mantengano dei cloni di CD8 addestrati a riconoscere parti della Gag che non mutano, perché subdominanti, e che quindi sia possibile insegnare ai CD8 a uccidere le cellule infettate da virus mutati attaccando proprio quelle minuscole particelle rimaste costanti, epitopi che, in modo naturale, non vengono colpiti dalle reazioni CTL.

Non attaccare il nemico nel suo punto di forza. Identifica un punto di debolezza e colpiscilo passando da lì.

E infatti. Testando la sua ipotesi sia in vitro sulle cellule, sia in vivo nei topi umanizzati, Siliciano è riuscito a creare un mix di peptidi prodotti da altre proteine dell’HIV (Nef, Tat, Rev ed Env) e di peptidi prodotti dalla Gag che, stimolando i CD8 prima di metterli a confronto con i CD4 quiescenti infetti, hanno rinforzato le reazioni CTL portando alla distruzione delle cellule infette nonostante i virus dominanti fossero mutati.

Con questo ha dimostrato che

  • ”SOLO I CLONI CTL CHE COLPISCONO EPITOPI NON MUTATI RIESCONO A DISTRUGGERE EFFICACEMENTE LE CELLULE INFETTE CONTENENTI VARIANTI VIRALI CHE VEROSIMILMENTE COSTITUISCONO LA MAGGIORE FONTE DI HIV CHE SI RIPRESENTA QUANDO LA LATENZA VIENE INVERTITA”.
    Pertanto, “DIRIGERE LE RISPOSTE CTL VERSO EPITOPI VIRALI NON MUTATI È ESSENZIALE PER DISTRUGGERE L’HIV LATENTE”.


Ecco perché le strategie vaccinali testate finora sono così miseramente fallite – perché hanno stimolato dei CD8 incapaci di uccidere le cellule dopo l’inversione della latenza.

Ed ecco la via di Siliciano-Sun Tzu:

  • STIMOLARE LE RISPOSTE CTL CON DEI PEPTIDI VIRALI CHE AGGIRINO IL BLOCCO CAUSATO DALLE MUTAZIONI DI ESCAPE E RIESCANO A PROVOCARE DELLE RISPOSTE CTL AD AMPIO SPETTRO CONTRO LE REGIONI IMMUTATE DELLE PROTEINE VIRALI.


Immagine

Siliciano alla possibilità di eradicare l’HIV anche da persone che hanno iniziato la ART in fase cronica e il cui reservoir latente è composto principalmente da varianti che sfuggono all’azione dei CD8 ci crede ancora. Serve un vaccino terapeutico impostato in modo da sollecitare i CD8 a produrre risposte più ampie.

Questo vaccino potrebbe essere quello di Picker (le ragioni sono spiegate in questo post e in questo e hanno a che fare con la complicata questione dell'immunodominanza degli epitopi).

Così si capisce perché proprio a Picker sia stato chiesto di scrivere un commento a questa ultima incarnazione del maestro Sun Tzu.




FONTI:



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla

Messaggio da Dora » mercoledì 4 febbraio 2015, 12:27

Lo so, nel video l'obiettivo da distruggere sono delle cellule cancerose e non cellule quiescenti in cui l'HIV latente si è riattivato, ma guardate i nostri eroi che cosa riescono a fare:




ThunderGuy
Messaggi: 504
Iscritto il: venerdì 27 giugno 2014, 20:30

Re: SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla

Messaggio da ThunderGuy » mercoledì 4 febbraio 2015, 14:22

Sarebbe bene che tutti gli infettivologi fossero messi a conoscenza di questa ricerca. Così, magari, ci sarebbe unanimità relativamente alla bontà di un inizio precoce della terapia. Anche se, di questi tempi con tutti i tagli che sono imposti alla sanità, la vedo ardua. Ma la speranza non muore. Buona giornata



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla

Messaggio da Dora » lunedì 23 febbraio 2015, 16:53

CARATTERIZZAZIONE DEI PROVIRUS NON INDOTTI - per riprendere il filo di un lungo discorso.


In attesa di ascoltare la lezione di Ya-Chi Ho al CROI (Defective HIV-1 Proviruses Can Be Transcribed Upon Activation), ho pensato di raccogliere brevemente le idee sulla ricerca di caratterizzazione dei provirus non indotti del 2013-14, di cui oggi il Siliciano Lab presenta la continuazione.
I dettagli su questa ricerca si possono leggere qui, qui e qui.


Come sappiamo, una delle principali vie per eradicare il reservoir latente prevede l’inversione della latenza nei pazienti in terapia. Poter misurare in modo accurato il reservoir non è una questione accademica, ma è invece essenziale per valutare qualsiasi strategia di eradicazione perché, se il reservoir non è stato completamente svuotato, quando si sospende la ART si ha un rebound più o meno immediato della viremia e un ripopolamento del reservoir che si voleva svuotare.

Il test standard usato per misurare le dimensioni del reservoir è il VOA (Viral Outgrowth Assay), che misura la frequenza di CD4 quiescenti che producono virus infettivo dopo un singolo ciclo di massima attivazione possibile in vitro. Ma si è scoperto che la frequenza delle cellule latentemente infette calcolate mediante il VOA è di ben 300 volte più bassa rispetto alla frequenza di CD4 quiescenti contenenti del provirus, che può essere rilevato se si usa la PCR. Infatti, il VOA calcola soltanto i provirus riattivati, mentre la PCR calcola le copie totali di provirus presenti, che siano latenti o riattivati. Si riteneva che quelli che con il VOA vengono trascurati in quanto provirus “non indotti” fossero difettivi, in qualche modo incapaci di risvegliarsi e proliferare. Ma, in realtà, non erano mai stati ben caratterizzati da un punto di vista molecolare. In particolare, non era chiaro se i provirus non indotti possano essere indotti in vivo.

Il Siliciano Lab ha sequenziato l’intero codice genetico dei provirus dell’HIV presenti in CD4 quiescenti di persone in ART, sia di quelli che erano stati riattivati, sia di quelli che non si era riusciti ad indurre. E quel che hanno scoperto è che, quando venivano sequenziati e confrontati con i provirus riattivati, circa il 12% dei provirus non indotti avevano dei genomi perfettamente intatti. Il restante 88%, invece, aveva delle mutazioni e/o delle delezioni genetiche che li rendevano difettivi, cioè incapaci di riprodursi.

Immagine

Quindi il VOA sottostima di tanto le dimensioni del reservoir; e non si tratta solo di una questione di sensibilità del test, perché quando si sono riattivati in vitro tutti i CD4 quiescenti (tutti insieme, cosa che in vivo non si può assolutamente fare), la PCR ha mostrato che, nonostante la massima attivazione possibile, quei CD4 contenevano tantissimi provirus intatti e capacissimi di replicarsi, che però dopo quel ciclo di riattivazione non erano stati indotti a produrre nuovi virioni.

Per sintetizzare, la situazione dei provirus nel reservoir latente quando viene riattivato è questa:

  • - alcuni sono indotti (quelli che vengono riattivati),
    - alcuni sono non indotti e difettivi (che o non si possono riattivare proprio, oppure anche se si riattivano non sono in grado di produrre virus infettivo) (*),
    - e alcuni sono non indotti ma intatti (perfettamente in grado, date determinate condizioni, di riattivarsi e produrre virus), che non si trascrivono durante il primo ciclo di riattivazione con farmaci antilatenza, ma possono farlo in un momento successivo.


(*) Di questi ci parlerà Ya-Chi Ho.

Immagine

La conclusione di Siliciano fu allora che non soltanto il numero di provirus che devono essere eliminati è molto più grande di quanto si pensasse (circa 60 volte di più di quelli stimati dal VOA), ma l’induzione dei provirus latenti a iniziare a trascriversi è stocastica, cioè sostanzialmente casuale. Quindi, con le sostanze antilatenza che oggi abbiamo a disposizione, alcuni provirus saranno indotti dopo un primo ciclo di attivazione, mentre altri resteranno silenti, pur mantenendo intatto il potenziale di essere riattivati in un altro momento.

Ma per arrivare all’eradicazione noi abbiamo bisogno che TUTTI i provirus vengano riattivati.

Se l’idea dello “shock and kill” era quella di attivare (“shock”) le cellule dei pazienti in modo da indurre tutto il virus latente e poi far intervenire una terapia antiretrovirale standard per ripulire (“kill”) i virus riattivati e ritrovarsi così con i pazienti liberati dall’HIV, quello che Siliciano ci ha insegnato nel 2013 è che anche gli “shock” più potenti che abbiamo a disposizione riescono a riattivare solo una parte dei virus latenti. È possibile che degli “shock” ripetuti siano più efficaci; ma è anche possibile che ciascuna ripetizione dello “shock” sia solo un altro stocastico lancio di dadi, a seguito del quale ci sarà comunque del virus che resta latente.

E il nostro problema non sono solo le sostanze antilatenza, ma anche gli strumenti per misurare il reservoir, perché il fatto che il VOA sottostimi i provirus intatti può comportare un rebound virale ritardato dopo una “cura” apparente; mentre il fatto che la PCR sopravvaluti le dimensioni del reservoir perché rileva anche i provirus difettivi può comportare un’esposizione eccessiva dei pazienti all’azione tossica dei farmaci anti-latenza.
Servono dunque strumenti per misurare l’esatta dimensione e composizione del reservoir, che superino i problemi dei due test oggi utilizzati.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: SILICIANO: caratterizzazione del reservoir, studi sulla

Messaggio da Dora » mercoledì 25 febbraio 2015, 14:36

CROI 2015 – LE ULTIME NOVITÀ DAL SILICIANO LAB SULLA CARATTERIZZAZIONE DEI PROVIRUS

Defective HIV-1 Proviruses Can Be Transcribed Upon Activation

Ya-Chi Ho, Johns Hopkins University School of Medicin, ci aggiorna sugli ultimi progressi fatti nello studio dei provirus difettivi.

La maggior parte dei provirus dell’HIV sono difettivi tuttavia, se mantengono intatta la funzione dei promoter, è possibile che questi provirus possano venire trascritti. Se però questo accade, la trascrizione di questi provirus difettivi può rendere più complicata la misurazione del risveglio dalla latenza quando come strumento di misura si usa la quantificazione dell’RNA associato alle cellule, perché questo tipo di test non riesce a distinguere fra RNA intatto e difettivo.

Lo studio fatto dal Siliciano Lab ha indagato la possibilità che i provirus difettivi siano riattivati e eliminati da linfociti T citotossici.

Hanno dunque isolato CD4 quiescenti da persone entrate in ART durante la fase cronica e in terapia soppressiva da molti anni e li hanno attivati (inondando, dopo tre giorni dall’attivazione, le cellule di antiretrovirali per evitare che il virus cominciasse a replicarsi in vitro).
Al tempo stesso, hanno isolato linfociti T citotossici dalle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) e li hanno stimolati per sei giorni con un mix di peptidi Gag.
Hanno poi messo a coltura insieme per due giorni i CD4 attivati e i CTL stimolati per farli interagire.
Infine, hanno raccolto i CD4 attivati per periodi diversi e in cocoltura con i CTL, oppure no.

I livelli di HIV per milione di cellule sono stati misurati mediante qPCR ed è stata valutata la proporzione di mutazioni letali presenti nella regione Gag degli RNA.

Immagine

Si è scoperto che

  • - dopo l’attivazione, i livelli di HIV DNA – con o senza mutazioni letali – sono rimasti invariati;
    - invece, i livelli di HIV RNA – con o senza mutazioni letali – erano presenti nei CD4 quiescenti e sono aumentati di più di 1 log dopo l’attivazione. Questo indica che i provirus difettivi possono essere trascritti dallo stato quiescente dopo attivazione;
    - dopo aver messo a coltura insieme i CTL e i CD4, si è visto che la Gag dell’RNA è diminuita in modo significativo fra 0,5 e 1 log anche nei virus che contenevano mutazioni letali. Questo indica che anche le cellule che contengono questi RNA difettivi possono essere eliminate dalle reazioni citotossiche;
    - tuttavia, anche dopo una diminuzione di 1 log dell’RNA, si è visto che il DNA non diminuiva dopo essere stato messo a coltura insieme ai CTL. Questo indica che non sappiamo se le reazioni CTL siano riuscite ad eliminare il pochissimo DNA virale nelle cellule quiescenti riattivate.


Immagine

L’ipotesi avanzata dal Siliciano Lab è dunque che

  • 1. i provirus difettivi possano essere trascritti nei CD4 quiescenti;
    2. dopo attivazione dei CD4, possano essere trascritti sia i provirus intatti, sia quelli difettivi;
    3. le cellule che contengono provirus difettivi possano essere distrutte dai linfociti citotossici attivati, tuttavia la frazione di questi provirus difettivi è troppo piccola per causare diminuzioni del livello del DNA virale che siano misurabili con i test che abbiamo a disposizione.


Immagine



zimar
Messaggi: 15
Iscritto il: lunedì 20 febbraio 2012, 11:04

Re: [STUDI] Siliciano: chinoline, disulfiram, reazioni CTL

Messaggio da zimar » mercoledì 25 febbraio 2015, 21:06

Ciao Dora.

Da quello che hai scritto pero' sembrerebbe che una terapia di shock and kill potrebbe anche funzionare o no?



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [STUDI] Siliciano: chinoline, disulfiram, reazioni CTL

Messaggio da Dora » mercoledì 25 febbraio 2015, 21:42

zimar ha scritto:Da quello che hai scritto pero' sembrerebbe che una terapia di shock and kill potrebbe anche funzionare o no?
Io direi che lo shock and kill originario ha già dimostrato in questi anni di non poter funzionare e dal 2012 Siliciano ci sta spiegando il perché.
Se una versione molto più sofisticata e complessa di quella inizialmente immaginata possa funzionare, credo che ancora non lo sappia nessuno, perché prevede l'azione congiunta di diversi farmaci antilatenza più potenti di quelli oggi conosciuti, che operano secondo meccanismi differenti e vengono probabilmente somministrati in più fasi, e di un sostegno all'azione immune che deve distruggere le cellule quiescenti in cui il virus viene riattivato - che sia un vaccino terapeutico o altro.
Questo shock and kill 2.0 non l'abbiamo ancora visto all'opera in una sperimentazione clinica e penso che ci vorrà ancora del tempo prima che sia messo a punto.



Datex
Messaggi: 347
Iscritto il: mercoledì 14 gennaio 2015, 18:50

Re: [STUDI] Siliciano: chinoline, disulfiram, reazioni CTL

Messaggio da Datex » mercoledì 25 febbraio 2015, 23:31

a meno che non mi sia sfuggito qualcosa ma non mi sembra che siliciano abbia mai detto che la strategia non funziona. dice solamente che allo stato attuale non riusciamo a misurare in modo accurato il reservoir e stabilire se effettivamente diminuisce o meno con gli interventi provati. aggiunge inoltre che serve un attivazione mirata delle cellule killer affinchè possano distruggere efficacemente il virus latente.
infatti il punto 3 dice: le cellule che contengono provirus difettivi possano essere distrutte dai linfociti citotossici attivati, tuttavia la frazione di questi provirus difettivi è troppo piccola per causare diminuzioni del livello del DNA virale che siano misurabili con i test che abbiamo a disposizione.

mi sembra inoltre di aver capito che hanno fatto questi esperimenti in vitro e non in vivo. per cui non credo si tratti di risultati definitivi.



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [STUDI] Siliciano: chinoline, disulfiram, reazioni CTL

Messaggio da Dora » giovedì 26 febbraio 2015, 0:03

Datex ha scritto:a meno che non mi sia sfuggito qualcosa ma non mi sembra che siliciano abbia mai detto che la strategia non funziona. dice solamente che allo stato attuale non riusciamo a misurare in modo accurato il reservoir e stabilire se effettivamente diminuisce o meno con gli interventi provati. aggiunge inoltre che serve un attivazione mirata delle cellule killer affinchè possano distruggere efficacemente il virus latente.
infatti il punto 3 dice: le cellule che contengono provirus difettivi possano essere distrutte dai linfociti citotossici attivati, tuttavia la frazione di questi provirus difettivi è troppo piccola per causare diminuzioni del livello del DNA virale che siano misurabili con i test che abbiamo a disposizione.

mi sembra inoltre di aver capito che hanno fatto questi esperimenti in vitro e non in vivo. per cui non credo si tratti di risultati definitivi.
Lo shock and kill iniziale, che prevedeva che bastasse forzare la trascrizione del virus latente perché le cellule infette morissero, è stato confutato in vitro tre anni fa. E tutti i trial clinici fatti in questi anni confermano che le cose nella realtà sono molto più complesse di quanto la teoria prevedesse. Prima che una versione più avanzata ed estremamente più sofisticata arrivi in fase clinica, credo che dovranno passare diversi anni.



Rispondi