HIV COMPLICATIONS: PERSISTENT THREAT OR A PROBLEM OF THE PAST?
Currier concentra la sua lezione sulla domanda - che definisce un po' provocatoria - se le complicanze a lungo termine dell'infezione da HIV trattata siano destinate a rimanere un' importante questione clinica, o possano essere considerate un problema del passato.
Le complicanze sono ben note e vanno dai problemi cardiovascolari a quelli ossei, a quelli del sistema nervoso centrale, al diabete, a problemi polmonari, epatici, renali.
Affronta dunque la questione ricordando alcuni aspetti epidemiologici, a partire dalle ragioni di morte delle persone con infezione da HIV trattata con antiretrovirali. Riprende così i dati di uno studio francese del 2010, pubblicati lo scorso gennaio su AIDS Research and Human Retroviruses: i tumori stanno diventando la prima causa di morte in persone con HIV e un importante campo di ricerca per comprendere la loro patogenesi e come li si possano prevenire.
I disturbi cardiovascolari e le complicanze epatiche vengono subito dopo, ma i suicidi sono un campo su cui si dovrebbe riflettere più di quanto non si sia fatto finora. I disturbi cardiovascolari e i tumori colpiscono, come atteso, di più le persone di età superiore a 50 anni.

Dallo studio D:A:D si conferma che la terapia antiretrovirale sta avendo un impatto enorme sulla mortalità e che i tumori come causa di morte stanno aumentando.

Nel complesso, la ART sta avendo un impatto enorme anche sulla mortalità delle persone con età più avanzata: di anno in anno, le curve di sopravvivenza stanno migliorando.

Se si guarda al gruppo di persone con infezione ben controllata, con viremia sotto 500 e senza co-morbidità precedenti all'infezione, si nota ancora un miglioramento, ma persiste un gap nella sopravvivenza se confrontate a gruppi di popolazione della medesima età, ma senza infezione.

La grande sfida consiste nel fatto che la popolazione con HIV sta invecchiando e nel 2030 ci si aspetta di avere sempre più persone con HIV che hanno 50, 50, 70 anni che soffrono di più di tre malattie non trasmissibili e più della metà di loro con la necessità di trattare queste patologie. Questo ha implicazioni sia sui sistemi sanitari, sia sulla ricerca, che deve cercare di impedire che queste patologie si verifichino.

Il problema delle co-morbilità nelle persone con HIV, confrontate con persone senza HIV, diventa particolarmente importante nelle fasce d'età più avanzate.

Che cosa contribuisce al rischio di complicanze nella malattia da HIV? I contributi vengono da tre aree:
- - l'ospite, con il suo corredo genetico e il suo stile di vita,
- il virus, nelle sue interazioni con il sistema immunitario;
- la terapia antiretrovirale, con i suoi effetti collaterali, ma anche con il venir meno della sua efficacia nel sopprimere la viremia.
Capire esattamente i contributi di ciascun fattore alla patogenesi delle specifiche complicanze permetterà di disegnare delle strategie per prevenirle e trattarle.

Nelle interazioni fra il virus e il sistema immunitario rientrano il problema dell'attivazione immunitaria e quello delle complicanze non-AIDS.
L'immunoattivazione si scatena molto presto durante l'infezione e non si normalizza completamente con la ART. Più alti livelli di attivazione immunitaria innata predicono:
- - tutte le cause di mortalità, e nello specifico:
- - i disturbi cardiovascolari e tromboembolici;
- i tumori non-AIDS e i linfomi;
- l'osteoporosi;
- il diabete di tipo 2;
- la fragilità;
- la broncopneumopatia cronica ostruttiva;
- la polmonite batterica;
- la disfunzione neurocognitiva.
- Nel caso dell'immunoattivazione adattiva:
- - l'attivazione dei linfociti T predice morbilità e mortalità;
- l'associazione più forte con le malattie non trasmissibili si è osservata in studi fatti in Paesi poveri.
- - i disturbi cardiovascolari e tromboembolici;
La ricerca di marker che siano utili per predire eventi clinici ha portato alla ribalta l'interleuchina-6, il d-Dimero e, forse a un grado minore, la Proteina C Reattiva ad alta sensibilità. Si è riusciti a stabilire una correlazione fra livelli più alti di questi marker e specifici eventi.

Un altro fattore di disregolazione nel lungo periodo del sistema immunitario è la co-infezione latente con citomegalovirus, che fa espandere il comparto dei CD8 e contribuisce alla loro senescenza. Oggi esistono nuovi farmaci contro CMV e cercare di curare questa infezione può essere senz'altro una strada per far diminuire l'attivazione immunitaria.
Per approfondire il ruolo del CMV, la review uscita sui Current HIV/AIDS reports nel dicembre scorso e citata da Currier è questa: Partners in Crime: The Role of CMV in Immune Dysregulation and Clinical Outcome During HIV Infection.

È noto che gli antiretrovirali riducono l'infiammazione, anche se non la annullano del tutto. Currier ricorda i dati di uno studio ACTG in cui si è analizzato l'impatto di atazanavir/ritonavir, raltegravir e darunavir/ritonavir su alcuni marker di infiammazione.


Neppure l'inizio molto precoce della ART, addirittura in fase di sieroconversione, normalizza completamente alcuni marker di infiammazione (sCD14, acido ialuronico, CRP).
L'intera sessione di poster P-N5 sarà dedicata all'impatto della ART in fase acuta sull'infiammazione.
Dallo studio START sappiamo che la terapia precoce ha grandi benefici nel ridurre la morbilità e la mortalità, anche se non si sono viste differenze nel rischio cardiovascolare fra chi ha iniziato presto e chi ha iniziato più tardi. È però possibile che la popolazione in esame fosse troppo giovane e che il rischio cardiovascolare sia da valutare in età più avanzata. Anche nella funzionalità vascolare, nelle capacità cognitive e nel COPD le differenze non sono state significative.

Nel chiedersi perché la ART precoce non sia riuscita a migliorare tutto, Currier avanza delle ipotesi:
- - perché non si può riparare qualcosa che non è rotto e forse i problemi cardiovascolari, neurocognitivi e respiratori non avevano proprio avuto il tempo di instaurarsi (lo studio START dovrebbe durare molti più anni per dare delle risposte);
- perché alcune delle condizioni non-AIDS possono essere connesse a dei cambiamenti immunologici associati con l'immunodeficienza e quindi sono da valutare il nadir dei CD4 e i livelli di infiammazione.

Per approfondire questi aspetti e il paradosso delle differenze fra lo studio START e lo studio SMART, riporto qui la parte rilevante del post ACCHIAPPA LA TALPA! - Aggiornamento sugli interventi clinici contro l'attivazione immunitaria/infiammazione e sui marker contro i quali tentare interventi terapeutici:
Altre prove del fatto che le persone in terapia non hanno più un rischio di infarto più alto rispetto ai controlli vengono dallo studio della coorte Kaiser:Dora ha scritto:Molti studi hanno indagato gli alti livelli di immuno-attivazione persistente anche quando la viremia è soppressa dalla ART, ma per lo più l’hanno fatto in persone che avevano iniziato la terapia in fasi relativamente avanzate della malattia. Questo è un elemento importante, perché sappiamo che UN BASSO NADIR DEI CD4 SI ASSOCIA A PIÙ ALTI LIVELLI DI ATTIVAZIONE IMMUNITARIA DURANTE LA SOPPRESSIONE DELLA VIREMIA MEDIANTE ART.
Già prima dello studio START si sapeva che le persone che iniziano la ART in fase molto precoce (nei primi 6 mesi dall’infezione) raggiungono un set point dell’immuno-attivazione più basso rispetto a quelle che iniziano dopo qualche anno dal contagio. Ma anche un piccolo studio recente ha mostrato che perfino in chi inizia la ART a 2 o 3 settimane dal momento del contagio i livelli dei marker della traslocazione microbica (per esempio sCD14), dell’infiammazione (hs-CRP) e della fibrosi (acido ialuronico) possono rimanere più alti rispetto a quelli delle persone HIV negative.
Oggi però è possibile confrontare i risultati dello studio START con quelli dello studio SMART e trarre delle indicazioni su come procedere nelle sperimentazioni cliniche volte a contrastare l’infiammazione.
Lo START, infatti, ci ha insegnato che la maggior parte dei benefici dell’inizio precoce della ART rispetto a quello ritardato sono dipesi da UNA RIDUZIONE DELLE INFEZIONI E DEI TUMORI (soprattutto di quelli di origine infettiva). Invece, non ci sono state grandi differenze fra ART precoce e ritardata sugli eventi cardiovascolari, e neppure sui marker surrogati di problemi vascolari. Né la ART precoce pare aver diminuito altre patologie associate all’infiammazione come i disturbi neurocognitivi, l’osteoporosi o le broncopatie ostruttive.
L’effetto differenziale dell’inizio immediato della ART che nello studio START si è visto ridurre alcune malattie non-AIDS, ma non altre, è in contrasto molto netto con gli enormi benefici della ART nel ridurre le patologie non infettive che si è visto invece nello studio SMART, nel quale si confrontava un uso continuo della ART con un uso intermittente, in cui periodi in ART venivano alternati con sospensioni guidate, che prevedevano la ripresa dei farmaci quando i CD4 scendevano sotto una soglia stabilita (250 cellule/mm3) e di nuovo la sospensione quando superavano un’altra soglia (350), ma in cui, anche, tutti i partecipanti avevano iniziato la terapia in un momento relativamente avanzato dell’infezione.
Nello SMART, nei partecipanti che prendevano la ART in modo continuo si sono viste diminuire non soltanto le complicazioni infettive, ma anche l’incidenza degli eventi cardiovascolari (e questo ha messo una pietra tombale sopra le interruzioni terapeutiche guidate dalla conta dei CD4).
Al di là delle diverse impostazioni e finalità dei due studi, la spiegazione più convincente per la mancanza di una differenza nell’incidenza degli eventi cardiovascolari e di altre complicanze non infettive vista nei due bracci dello START (ART immediata e ART ritardata), secondo Hunt è che QUESTE PATOLOGIE NON HANNO AVUTO IL TEMPO DI STABILIRSI.
In effetti, in tutti e due i bracci dello START l’incidenza di eventi cardiovascolari è stata di 4 volte inferiore all’incidenza osservata nello studio SMART, perfino nel braccio che non ha mai sospeso la ART. E la ragione di questo è IL NADIR DEI CD4 (che nello START era relativamente alto, con una mediana di 408 cellule/mm3): quanto più il nadir dei CD4 scende, tanto più aumenta il rischio di eventi cardiovascolari; quanto più è alto il livello dei CD4 a cui si inizia la ART, tanto più il rischio cardiovascolare diminuisce.
Stesso discorso vale anche per altre patologie che non sembrano essere migliorate nello START e che, dai disturbi neurocognitivi all’osteoporosi alle broncopatie croniche, sono collegabili a un basso nadir dei CD4.
Secondo Hunt, alcune malattie connesse all’infiammazione non si sono presentate durante lo studio START, nonostante si sappia che uno stato infiammatorio persistente si stabilisce entro le prime settimane dell’infezione, per due possibili ragioni:
Per esempio, sappiamo che i reservoir virali nei CD4 della memoria centrale, che abbondano nei tessuti linfoidi, si formano già nei primi giorni dell’infezione, hanno un aumento esponenziale nelle prime settimane, per poi aumentare sempre più lentamente negli anni a seguire. Quando la viremia viene soppressa dalla ART, questo reservoir persiste nei tessuti linfoidi ed è molto verosimile che contribuisca all’infiammazione persistente e alla fibrosi dei linfonodi e dei tessuti linfoidi, che a loro volta contribuiscono a rendere difettosa la risposta dell’immunità adattiva.
- 1. perché è necessario superare una certa soglia di infiammazione sistemica affinché si sviluppino certe malattie d’organo e chi inizia la ART molto presto raggiunge livelli di infiammazione al di sotto di questa soglia; oppure – e Hunt ritiene più plausibile questa seconda ragione -
2. perché ci sono diversi elementi che scatenano l’immuno-attivazione durante la soppressione della viremia mediante ART, e il peso di questi elementi è, sì, in relazione allo stato di immuno-deficienza raggiunto prima di iniziare la ART (nadir dei CD4), ma anche in relazione alla loro localizzazione anatomica:
Poiché l’inizio immediato della ART riduce enormemente l’espressione di HIV da parte dei CD4 dei reservoir localizzati nei tessuti linfoidi, è anche plausibile che questo meccanismo spieghi perché la ART precoce abbia diminuito l’incidenza sia degli eventi infettivi, sia dei tumori, nello studio START.
D’altra parte, poiché anche l’inizio molto precoce della ART non riesce a eliminare quei reservoir, questo può spiegare perché le complicanze infettive e neoplastiche rimangano maggiori anche nelle persone che iniziano la ART molto presto rispetto alle persone HIV negative.
Il modello presentato nella figura sopra, oltre a spiegare perché chi inizia la ART in una fase precoce dell’infezione ha mediamente meno problemi cardiovascolari, neurocognitivi e polmonari, ma continua ad avere un rischio di problemi infettivi e di neoplasie un poco maggiore rispetto alla popolazione HIV negativa, può anche essere usato per interpretare i marker di attivazione immunitaria sistemica e di infiammazione.
Ad esempio, se si misurano i livelli di immuno-attivazione sistemica nelle persone con HIV e alto nadir dei CD4 (chi sta sopra la linea tratteggiata della figura), è probabile che la fonte primaria delle anomalie siano i reservoir di HIV nei tessuti linfoidi e possibile che qualche problema venga anche dalla traslocazione microbica. Invece, se i livelli di immuno-attivazione sistemica sono misurati in persone con basso nadir dei CD4, si ha una molto maggiore varietà di fonti e di comparti anatomici che possono contribuire all’infiammazione.
Prendendo dunque per buono il modello proposto da Hunt, ci si può aspettare che i marker di infiammazione misurati in persone con alto nadir dei CD4 predicano eventi infettivi o neoplastici, ma non cardiovascolari, polmonari o neurocognitivi. Viceversa, nelle persone con basso nadir dei CD4 ci si può aspettare che quegli stessi marker predicano tutte le patologie elencate.

A questo CROI verranno presentati molti lavori sui possibili interventi per ridurre gli eventi non-AIDS - da modifiche dello stile di vita, soprattutto smettendo di fumare, alla dieta e all'esercizio, al trattamento dell'ipertensione, del diabete, della dislipidemia.
Una questione che rimane aperta è se la ART precoce con una sostenuta soppressione della viremia riesca ad incidere sull'occorrenza di quegli eventi.
Un lavoro da cui secondo Judith Currier ci possiamo aspettare molto è quello sull'anticorpo monoclonale anti-α4 integrina (natalizumab) che, quando è stato somministrato a macachi con SIV, ha diminuito l'infiammazione e la fibrosi cardiaca.
La risposta alla domanda iniziale secondo Currier è che le complicanze a lungo termine sono senz'altro diminuite, ma persistono e persisteranno e per ora continuano a essere una importante causa di morbilità e mortalità nelle fasce di popolazione con HIV con età più avanzata. La cosa migliore da fare, oltre ad agire sullo stile di vita e ad usare tutti gli strumenti di prevenzione conosciuti, è dare la ART a un sempre maggiore numero di persone e farlo sempre prima, a livelli di CD4 sempre più alti.

