Mi si è così spalancata davanti la questione della fibrosi del tessuto linfoide, di cui non sapevo nulla e sulla quale, come sempre, mi sono precipitata a chiedere a Leon. Lui mi ha, come sempre, raccontato quel che sapeva, spiegandomi anche che, se funzionassero, gli ACE inibitori potrebbero diventare la prima terapia di natura non virologica dell’infezione da HIV e quindi sarebbero una novità non di poco conto e potrebbero essere di grande aiuto per gli immunologic non responders, cioè circa il 25% delle persone che iniziano la ART con meno di 200 CD4 e hanno una ripresa subottimale della funzione immunitaria, pur avendo da tempo viremia azzerata grazie agli antiretrovirali.
Io ho letto qualche articolo e poi ho lasciato l’argomento da parte. Oggi lo riprendo, perché Richard Jefferys – l’autore del pipeline report dello scorso luglio - ha appena scritto un post su Fibrosi dei linfonodi, CD4 e ricostituzione immunitaria, ricordandomi che è un argomento interessante e mi ero ripromessa di accennarne qui.
L’attivazione immunitaria durante un’infezione è in genere una buona cosa, perché aiuta a distruggere il patogeno; e in effetti, nell’infezione da HIV, l’attivazione dell’immunità innata porta al diminuire della replicazione del virus mediante degli effetti antivirali diretti. Tuttavia, durante la ART, quando gli antiretrovirali controllano la replicazione dell’HIV, l’attivazione immunitaria cronica che si mantiene anche durante il trattamento ha degli effetti negativi, perché porta a un aumento del turnover e a una esaustione dei linfociti T e alla fibrosi del tessuto dei linfonodi.
L’HIV si replica soprattutto nei tessuti linfatici e li danneggia in un modo che non sempre è reversibile grazie alla ART. Una delle ragioni per cui la ricostituzione immunitaria non è perfetta è proprio il danno subito dai tessuti a causa della infiammazione cronica, soprattutto nei linfonodi. Qui l’infiammazione cronica distrugge la rete di cellule che costituiscono il reticolo fibroblastico (FRC). Durante l’infezione da HIV, i fibroblasti nei linfonodi sono stimolati a depositare il collagene che intrappola i linfociti T. A loro volta questi, intrappolati nel collagene, muoiono perché non riescono ad avere accesso all’interleuchina-7 e ad altri nutrienti.
Molti studi hanno dimostrato che c’è una associazione fra attivazione dei linfociti T e ridotta ripresa dei CD4. In particolare, una attivazione persistente dei linfociti T nonostante la ART può comportare un minore aumento del numero dei CD4 a causa dei depositi di collagene e delle alterazioni che questi creano nella struttura del tessuto linfoide. Si è visto, infatti, che il grado di fibrosi dei linfonodi è un predittore del grado di ripresa dei CD4 durante la ART. Il grado di fibrosi viene misurato dai depositi di collagene e già a inizio 2000 Ashley Haase aveva dimostrato 1) che c’è una correlazione inversa fra la fibrosi di un linfonodo e il numero dei CD4 misurabili in quel linfonodo e 2) che il grado di fibrosi è associato alla grandezza degli aumenti dei CD4 dopo l’inizio della ART: maggiore la fibrosi, minore la ripresa dei CD4.
C’è da aggiungere che, anche se non è ben chiaro il ruolo della replicazione virale residua nella scarsa ripresa dei CD4 in alcune persone in terapia, si sa che l’HIV persiste nei linfonodi (così come nel tessuto linfatico della mucosa gastrointestinale) nonostante la ART e il mantenersi di questa espressione virale nei tessuti linfatici può essere una causa di attivazione immunitaria cronica anche in persone con viremia azzerata nel sangue.
Quindi l’ipotesi che si può fare è che gli immunologic non responders siano intrappolati in un ciclo che si auto-alimenta di aumento dell’attivazione immunitaria => aumento della traslocazione microbica => aumento della fibrosi del GALT => minore recupero dei CD4.
Lo schemino qui sotto si trova in un commento scritto l’estate scorsa da Steven Deeks su Blood per presentare un importante lavoro di Haase, Silvestri, Schacker e altri sul ruolo cruciale per la ricostituzione immunitaria che i CD4 hanno nel mantenimento della struttura del tessuto linfoide. Si tratta di un modello che spiega alcuni dei meccanismi per i quali l’HIV causa danni, centrando l’attenzione sui tessuti linfoidi dove si verifica la presentazione dell’antigene e dove viene regolata l’omeostasi dei linfociti T:

La rete di cellule che costituiscono il reticolo fibroblastico, se ben organizzata, fornisce l’infrastruttura “meccanica” che permette alle cellule che presentano l’antigene di attivare i CD4 e regola l’attività di quelle citochine, come l’IL-7, che mantengono l’omeostasi dei linfociti T.
In un altro articolo, uscito un anno fa su PLoS PATHOGENS - Lymphoid Tissue Damage in HIV-1 Infection Depletes Naıve T Cells and Limits T Cell Reconstitution after Antiretroviral Therapy - Haase ha confermato l'ipotesi che i depositi di collagene e la progressiva perdita della rete FRC nei linfonodi, che si verificano prima dell'inizio della ART, costituiscano un blocco all'accesso dell'IL-7 e che questo sia causa di una massiccia apoptosi dei linfociti T naive, sia CD4, sia CD8.
Ha inoltre ipotizzato che la dimensione della perdita del reticolo fibroblastico si correli con lo stadio della malattia in cui viene iniziata la terapia: poiché la ricostruzione del tessuto dei linfonodi e dei CD4 e CD8 naive è ottimale solo quando la ART è iniziata precocemente, questo viene letto come un'esortazione a iniziare gli antiretrovirali il prima possibile.
Ma anche l'aggiunta di farmaci anti-fibrotici che contrastino le conseguenze patologiche della fibrosi dei linfonodi potrebbe aiutare la ricostituzione immunitaria.
L'idea (fantastica, a mio avviso) del trial della Hatano è dunque quella di provare con un ACE inibitore a diminuire la fibrosi del tessuto linfatico per far sì che aumenti la produzione/disponibilità di IL-7 e quindi i CD4 e i CD8 naive siano di più e funzionino meglio, e così migliori la funzione immunitaria nel suo complesso.