
L’immagine scelta dall’OMS per il World Aids Day 2019 potrebbe sembrare spiazzante.
«ma come, e la malattia?» bisogna rifletterci un attimo, per comprenderla e, se la si comprende, se ne comprende la potenza.
L’AIDS come fenomeno di massa è finito, almeno in Occidente, e l’HIV indietreggia oramai da qualche anno.
Persino gli incerti dati italiani (questa storia del ritardo di notifica da correggere è una vergogna) danno comunque un rallentamento delle nuove infezioni.
Dal punto di vista sanitario l’infezione ha svoltato pagina e, anche se non arrivasse mai un vaccino vero e proprio, ha preso la china discendente, è perciò credibile che nel medio periodo possa diventare una patologia con un po’ di nuove infezioni ogni anno e con una popolazione infettiva destinata a restringersi sempre più, fino a che questo innescherà una spirale di riduzione ancora più accentuata.
E allora, l’immagine del World AIDS Day 2019? Rappresenta perfettamente ciò che ci si attende, e ciò che si deve fare.
Se il problema sanitario è chiuso tra alti recinti, l’obiettivo deve essere solo quello di rendere i recinti sempre più alti e resistenti e restringerli sempre di più, fino a trasformare il bosco delle infezioni in un’aiuola. Per
fare questo non servono (solo) nuove medicine: serve l’impegno delle comunità.
In buona sostanza prevenzione, empowerment delle persone con HIV, politiche sanitarie laiche avanzate, che puntino tutto il possibile sulla prevenzione, sull’essere proattivi anziché reattivi, fuori dalle metafore, ciò che diciamo da sempre: testare tutti, trattare tutti dal giorno della diagnosi, spargere la PrEP come se fosse il diserbante su una risaia, perché non deve esserci spazio alcuno per una ripresa delle infezioni o per un criminale rallentamento nella loro riduzione.
E qui viene il punto doloroso: le comunità non sono poi così pronte.
C’è un aspetto che direi globale: il risorgere di bigottismi che nel XXI secolo si dovrebbero sperare estinti, le ristrettezze di bilancio che affliggono i sistemi sanitari, l’incredibile “rispetto democratico” che si pretende per l’ignoranza scientifica e i pregiudizi, la politica che sfrutta le difficoltà per dividere e per creare “nemici” da additare (e un bel “ritorno dell’untore” farebbe tanto piacere a molti) sono una tenaglia che si stringe sulla possibilità di sfruttare questo momento magico per dare il colpo di grazia alla nostra infezione.
L’obiettivo “Getting to Zero by 2020” è già diventato “Getting to Zero by 2030” e, se continua così, non è proprio detto sarà raggiunto.
Se poi, anziché ai megatrend guardiamo all’HIV community nostrana, è palese che pure questa non sia all’altezza.
Il giochino di ogni anno di mettere insieme trent’anni di storia per far finta che si sia fatto qualcosa nelle ultime cinquantadue settimane oramai ha stancato, e averlo rivisto all’opera anche quest’anno è stucchevole.
Va bene, dimentichiamo il Nobel Pontino® e tutte le altre cazzate fatte finora con i soldi pubblici, perché sono state fatte da gente con cui troppe volte l’HIV community ha condiviso la pizzeria: ma a chi spettava di mettere Milano, Roma, Bologna (almeno) nella scia di Londra e San Francisco per invertire DAVVERO la rotta delle nuove infezioni? non basta dire che “la politica non ha fatto”, l’ignavia degli altri non giustifica la propria e l’HIV community italiana intorno alla parola ignavia ha scritto molte e molte pagine.
Nonostante tutto però, “communities make the difference” per davvero: il cambiamento può venire solo dalle comunità, dalle piccole comunità rurali africane come da quelle digitali dell’Occidente.
Non si tratta dello “stesso cambiamento”, in ogni comunità ci sono ostacoli differenti da rimuovere e obiettivi differenti da raggiungere, e non è neppure necessario agire come comunità.
Ognuno tra noi può essere comunità, ognuno può fare la sua “piccola” differenza.
Ognuno di noi può far crescere la consapevolezza, ragionare i propri interlocutori, può sostenere le iniziative rilevanti.
Al limite, i like su FB non valgono molto, ma condividere qualche notizia di qualità (non necessariamente da HIVforum.info), su U=U o sulla PrEP o su come in alcuni luoghi del mondo si è riusciti a ridurre le nuove infezioni, può essere utile.
La strada è ancora lunga, ma il traguardo è bene in vista.
Buon primo dicembre, ancora una volta.