World AIDS Day 2019: le comunità fa(ra)nno la differenza

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World AIDS Day 2019: le comunità fa(ra)nno la differenza

Messaggio da uffa2 » mercoledì 27 novembre 2019, 17:48

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L’immagine scelta dall’OMS per il World Aids Day 2019 potrebbe sembrare spiazzante.
«ma come, e la malattia?» bisogna rifletterci un attimo, per comprenderla e, se la si comprende, se ne comprende la potenza.

L’AIDS come fenomeno di massa è finito, almeno in Occidente, e l’HIV indietreggia oramai da qualche anno.
Persino gli incerti dati italiani (questa storia del ritardo di notifica da correggere è una vergogna) danno comunque un rallentamento delle nuove infezioni.
Dal punto di vista sanitario l’infezione ha svoltato pagina e, anche se non arrivasse mai un vaccino vero e proprio, ha preso la china discendente, è perciò credibile che nel medio periodo possa diventare una patologia con un po’ di nuove infezioni ogni anno e con una popolazione infettiva destinata a restringersi sempre più, fino a che questo innescherà una spirale di riduzione ancora più accentuata.

E allora, l’immagine del World AIDS Day 2019? Rappresenta perfettamente ciò che ci si attende, e ciò che si deve fare.
Se il problema sanitario è chiuso tra alti recinti, l’obiettivo deve essere solo quello di rendere i recinti sempre più alti e resistenti e restringerli sempre di più, fino a trasformare il bosco delle infezioni in un’aiuola. Per
fare questo non servono (solo) nuove medicine: serve l’impegno delle comunità.
In buona sostanza prevenzione, empowerment delle persone con HIV, politiche sanitarie laiche avanzate, che puntino tutto il possibile sulla prevenzione, sull’essere proattivi anziché reattivi, fuori dalle metafore, ciò che diciamo da sempre: testare tutti, trattare tutti dal giorno della diagnosi, spargere la PrEP come se fosse il diserbante su una risaia, perché non deve esserci spazio alcuno per una ripresa delle infezioni o per un criminale rallentamento nella loro riduzione.

E qui viene il punto doloroso: le comunità non sono poi così pronte.
C’è un aspetto che direi globale: il risorgere di bigottismi che nel XXI secolo si dovrebbero sperare estinti, le ristrettezze di bilancio che affliggono i sistemi sanitari, l’incredibile “rispetto democratico” che si pretende per l’ignoranza scientifica e i pregiudizi, la politica che sfrutta le difficoltà per dividere e per creare “nemici” da additare (e un bel “ritorno dell’untore” farebbe tanto piacere a molti) sono una tenaglia che si stringe sulla possibilità di sfruttare questo momento magico per dare il colpo di grazia alla nostra infezione.
L’obiettivo “Getting to Zero by 2020” è già diventato “Getting to Zero by 2030” e, se continua così, non è proprio detto sarà raggiunto.

Se poi, anziché ai megatrend guardiamo all’HIV community nostrana, è palese che pure questa non sia all’altezza.
Il giochino di ogni anno di mettere insieme trent’anni di storia per far finta che si sia fatto qualcosa nelle ultime cinquantadue settimane oramai ha stancato, e averlo rivisto all’opera anche quest’anno è stucchevole.
Va bene, dimentichiamo il Nobel Pontino® e tutte le altre cazzate fatte finora con i soldi pubblici, perché sono state fatte da gente con cui troppe volte l’HIV community ha condiviso la pizzeria: ma a chi spettava di mettere Milano, Roma, Bologna (almeno) nella scia di Londra e San Francisco per invertire DAVVERO la rotta delle nuove infezioni? non basta dire che “la politica non ha fatto”, l’ignavia degli altri non giustifica la propria e l’HIV community italiana intorno alla parola ignavia ha scritto molte e molte pagine.

Nonostante tutto però, communities make the difference” per davvero: il cambiamento può venire solo dalle comunità, dalle piccole comunità rurali africane come da quelle digitali dell’Occidente.
Non si tratta dello “stesso cambiamento”, in ogni comunità ci sono ostacoli differenti da rimuovere e obiettivi differenti da raggiungere, e non è neppure necessario agire come comunità.
Ognuno tra noi può essere comunità, ognuno può fare la sua “piccola” differenza.
Ognuno di noi può far crescere la consapevolezza, ragionare i propri interlocutori, può sostenere le iniziative rilevanti.
Al limite, i like su FB non valgono molto, ma condividere qualche notizia di qualità (non necessariamente da HIVforum.info), su U=U o sulla PrEP o su come in alcuni luoghi del mondo si è riusciti a ridurre le nuove infezioni, può essere utile.

La strada è ancora lunga, ma il traguardo è bene in vista.
Buon primo dicembre, ancora una volta.


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Dora
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Re: World AIDS Day 2019: le comunità fa(ra)nno la differenza

Messaggio da Dora » giovedì 28 novembre 2019, 11:35

Qualche lettura a conferma delle riflessioni di Uffa. Dal thread *Letture per il weekend*, un po' di numeri, report, articoli, lezioni, prospettive.
Dora ha scritto:
giovedì 28 novembre 2019, 11:23
  • 28 novembre 2019

    In onore del World AIDS Day 2019 e in concomitanza con le riflessioni di Uffa su questa giornata, tornano eccezionalmente le letture per il weekend. Vorrei presentare alcuni articoli che spieghino le ragioni dei toni, un po' mesti e un po' polemici, del post di Uffa.

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Immagine Poiché il I dicembre è tradizionalmente tempo di bilanci, cominciamo con i dati su *i numeri dell'AIDS* appena resi pubblici da UNAIDS - con grafici patinati: AIDS by the numbers; con numeri e tabelle: FACT SHEET – WORLD AIDS DAY 201 9.
  • Quasi 38 milioni di persone vivono attualmente con l'infezione da HIV (1.700.000 sono bambini) e più di 24 milioni ricevono le terapie antiretrovirali: nel 2010 ad essere in terapia erano solo 7 milioni, quindi c'è stato un grande progresso nell'accesso ai farmaci.
    Ma circa 8 milioni di persone hanno l'HIV e non lo sanno: questo è il carburante dell'epidemia, ciò che permette al virus di continuare a diffondersi.
    I morti sono molto diminuiti rispetto ai decenni passati; ciò nonostante l'HIV nel 2018 si è portato via ben 770.000 persone.
    Le cose continuano a migliorare, ma i miglioramenti si fanno più piccoli di anno in anno.
    Ci sono zone del mondo come l'Africa meridionale dove le cose migliorano, zone del mondo come l'Asia centrale e l'Europa orientale dove peggiorano.
    Più della metà delle nuove infezioni colpiscono persone appartenenti a gruppi a rischio e i loro partner; queste percentuali schizzano al 95% nei Paesi in cui l'epidemia è peggio controllata - Asia centrale ed Europa dell'Est, appunto.
    Gli MSM e le persone che assumono droghe per via iniettiva hanno un rischio di infettarsi di 22 volte maggiore rispetto alla media; i lavoratori del sesso di 21 volte; i transgender di 12.
    Nell'Africa sub-sahariana sono le donne ad essere più a rischio, specie se fra i 15 e i 24 anni: 6000 nuove infezioni alla settimana, 4 infezioni su 5 in ragazzine fra i 14 e i 19 anni.
    Servono 26 e rotti miliardi di dollari entro l'anno prossimo.
    19 Paesi forse ce la faranno a dire nel 2030 che da loro l'epidemia è finita, ma tutti gli altri no.

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Immagine I numeri italiani li ho già stancamente presentati la settimana scorsa: DATI COA AL DICEMBRE 2018.

Immagine Come spiegava già ieri Uffa, secondo UNAIDS sono le comunità a poter fare la differenza ed è per questo che l'enfasi di questo I dicembre è sulle comunità di persone con HIV, sulle popolazioni-chiave, sulle associazioni che difendono i diritti, offrono servizi, distribuiscono sostegno: Communities make the difference.
  • Che cosa significa "nulla su di noi voi, senza di noi voi" quando a dirlo non sono gli attivisti e le persone con HIV, ma l'ONU?
    Tutto molto empowering, una sferzata motivazionale a chi regala il suo impegno. Ma forse anche tutto un po' cialtronesco: non significa forse anche che gli Stati, i governi, gli enti internazionali, i grandi finanziatori non stanno facendo il loro dovere?
    Piccolo è bello, locale è consolante - ma la decrescita non è per nulla felice.

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Immagine "By 2020, UNAIDS predicted massive declines in HIV incidence. Incidence isn’t dropping worldwide. Widespread treatment is essential, but it isn't enough. UNAIDS' primary prevention targets won’t be met by a long shot" ... E adesso che si fa? NOW WHAT? - il report annuale di AVAC.

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Immagine Ogni anno Anthony Fauci scrive un articolo per spiegare che cosa si può fare per mettere fine all'epidemia. L'appuntamento del 2019 è uscito su Clinical Infectious Diseases e s'intitola Ending the Human Immunodeficiency Virus Pandemic: Optimizing the Prevention and Treatment Toolkits.
La cassetta per gli attrezzi si fa sempre più ricca, perché anche se un vaccino efficace almeno nel 50% dei casi ancora non c'è, ormai sappiamo che la terapia antiretrovirale funziona molto bene non solo per tenere in vita chi il virus ce l'ha, ma anche sia per impedire che i suoi partner sessuali si infettino, sia per impedire che si infetti chi assume la profilassi pre-esposizione. Fauci ce lo spiega con la consueta chiarezza.

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Naturalmente, questi strumenti bisogna farli arrivare dove servono. Ma qui è molto più politica che scienza.


Immagine Una review di Marie Brault et al uscita su JAIDS (Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes) proprio per il I dicembre esplora il concetto di TasP, quel "trattamento come prevenzione" su cui si stanno concentrando le speranze di metter fine all'epidemia arrivando al fatidico 90:90:90 in assenza di un vaccino preventivo e di una cura: Treatment as Prevention: Concepts and Challenges for Reducing HIV Incidence.

Immagine Top 10 HIV Clinical Developments of 2019 è la classifica dei principali sviluppi clinici dell'anno che David Wohl ha pubblicato due giorni fa su TheBodyPRO.

Immagine Poiché però la Giornata Mondiale dell'AIDS non deve risolversi solo in una litania di numeri, di discorsi sulla prevenzione e di riflessioni sulle terapie antiretrovirali, qual è lo stato dell'arte della ricerca di una cura? Arriveranno a breve le ultimissime notizie dal congresso sui reservoir e la persistenza di HIV che si terrà a Miami fra un paio di settimane. Nell'attesa, suggerisco di vedere un articolo di Richard Jefferys e Liz Barr sul Journal of Virus Eradication: A landscape analysis of HIV cure-related clinical trials and observational studies in 2018. È un'utilissima disamina di 99 trial clinici e 29 studi osservazionali volti a trovare una cura dell'infezione da HIV e che si sono tenuti o si stanno ancora svolgendo negli ultimi anni. Di tanti abbiamo parlato nella sezione Verso una Cura, ma è affascinante vedere la foresta dopo aver studiato gli alberi.

Immagine HIV “cure”: A shot in the arm? è una breve riflessione sulla terapia genica applicata alla cura di HIV pubblicata da Michael Peluso, Steven Deeks e Joseph McCune su EBioMedicine.

Immagine Per concludere, "The Shock and Kill Strategy for HIV Cure" è una lezione tenuta ad ottobre da Robert Siliciano all'ANNUAL SYMPOSIUM - “PROMISING APPROACHES TO HIV REMISSION AND CURE” dell'Harvard University Center for AIDS Research. È stata messa online di recente ed è dedicata alla principale strategia di cura alternativa alla terapia genica (e potrebbe essere idealmente preceduta da quest'altra keynote lecture sulle barriere che si frappongono a una cura tenuta da Siliciano l'estate scorsa):




Buona lettura e buon World AIDS Day!



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Dodi75
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Re: World AIDS Day 2019: le comunità fa(ra)nno la differenza

Messaggio da Dodi75 » domenica 1 dicembre 2019, 13:36

Mi fa piacere condividere con voi questo video di ANLAIDS
https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=SaOjWdGl7bo



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