Dora ha scritto: ↑lunedì 9 marzo 2020, 14:16
Ed ecco il London Patient - Adam Castillejo si racconta al New York Times
The 'London Patient', cured of H.I.V., Reveals His Identity[...]

Ieri il coming out di Adam Castillejo, il London Patient, oggi esce su The Lancet HIV
Evidence for HIV-1 cure after CCR5Δ32/Δ32 allogeneic haemopoietic stem-cell transplantation 30 months post analytical treatment interruption: a case report
un approfondito articolo scientifico, in cui Ravindra Gupta e i colleghi che hanno avuto il merito (e ammettiamolo: anche la grande fortuna) di curare la seconda persona al mondo dall'infezione da HIV raccontano i dettagli del caso.
La storia la conosciamo dall'anno scorso, quindi sintetizzo qui soltanto l'ultimo capitolo, quello della remissione a 30 mesi dopo la sospensione della cART.
Gupta e colleghi hanno cercato con i metodi più sofisticati disponibili tracce di virus nel sangue, nel seme, nel liquido cerebrospinale, nei linfonodi, nei tessuti intestinali. Hanno cercato RNA virale, hanno cercato DNA virale, hanno cercato proteine virali. E poi hanno cercato le reazioni dei linfociti T al virus. E anche hanno cercato gli anticorpi. Infine hanno usato un modello matematico per predire la probabilità di un rebound della viremia.
Ecco quello che hanno trovato: niente HIV RNA, né nel sangue, né nello sperma, né nei tessuti, né nel liquido cerebrospinale; bassissimi livelli di HIV DNA nei CD4 memoria del sangue, ma non nei tessuti intestinali sottoposti a biopsia. I linfonodi sono risultati positivi per qualche proteina virale.
I CD4 a 28 mesi dal trapianto erano arrivati a 430 cellule/μL (23,5% dei linfocitiT).
Insomma, da 30 mesi non ci sono tracce di virus capace di replicarsi.
A 27 mesi dal trapianto non si sono potute misurare risposte HIV-specifiche né nei CD4, né nei CD8.
I livelli degli anticorpi anti-Env sono progressivamente scesi.

Il modello di Gupta e colleghi prevede che con un 80% di chimerismo delle cellule che sono il target del virus la probabilità di remissione definitiva sia del 98%, e che se il chimerismo è maggiore del 90% la probabilità di remissione definitiva sia del 99%.
Poiché il chimerismo dei linfociti T si è mantenuto sul 99% (cioè praticamente tutti i CD4 stimabili nel London Patient derivano dalle cellule staminali del donatore, resistenti al virus), questo significa che la probabilità che si verifichi un rebound della viremia è molto, molto vicina allo zero.

La conclusione di Gupta e colleghi è dunque che il London Patient possa a tutti gli effetti considerarsi guarito. Evviva!