Studio DIDI (Donne con infezione da HIV), condotto da Women for Positive Action
Menopausa precoce e aborto possono essere segnali di sieropositività.
E’ quanto emerge dallo studio Didi (Donne con infezione da HIV), condotto da un gruppo multidisciplinare di ‘donne per le donne’ (Women for Positive Action), un progetto internazionale realizzato con il supporto incondizionato di Abbott e coordinato da Antonella D’Arminio Monforte (Ospedale S. Paolo di Milano) e Adriana Ammassari (Inmi ‘L. Spallanzani’ di Roma).
Il team è composto da medici e da una psicologa provenienti da 18 centri clinici per le malattie infettive e mira ad approfondire gli aspetti peculiari della donna con l’infezione da HIV in Italia.
Attualmente nel nostro Paese una quota rilevante di individui è ignara della propria condizione di sieropositività: si stimano circa 140.000 persone con infezione da HIV e tra queste il numero di donne è destinato a crescere.
All’indagine conoscitiva hanno partecipato più di 580 donne sieropositive compilando un questionario dopo avere firmato il consenso informato.
L’80% ha contratto l’infezione da HIV in occasione di un rapporto sessuale e il 18% è risultato di origine straniera.
Dal punto di vista socio-economico la donna intervistata nel 23% dei casi è disoccupata oppure ha un’attività lavorativa solo saltuaria.
Il reddito risulta basso, visto che il 45% delle donne riporta un reddito mensile inferiore alle 800 euro.
La metà delle donne intervistate riferisce di conoscere la propria condizione di sieropositività da più di 13 anni, il 92% riceve farmaci antiretrovirali e il 60% di queste un regime basato su inibitori della proteasi.
Da rimarcare che ben nel 12% la diagnosi di infezione da HIV è stata posta nel corso di una gravidanza.
Questa gravissima coincidenza di eventi sottolinea l’assoluta necessità di rendere il test per HIV obbligatorio nelle fasi precoci di ogni gravidanza e di incentivare lo screening attivo nelle giovani donne in procinto di una maternità.
Lo studio Didi si è focalizzato anche sull’analisi della frequenza di menopausa prematura nelle donne HIV-positive, indagata fra le ‘under 40’.
Un periodo di amenorrea superiore ai 12 mesi è stato riferito dal 5,2% delle intervistate.
La prevalenza di menopausa prematura registrata nelle donne con infezione da HIV è dunque risultata più elevata rispetto a quella osservata nelle donne sieronegative italiane, pubblicate da Istat (5,2% vs 1,8%).
E la principale variabile predittiva di menopausa prematura nella popolazione sieropositiva è risultata la presenza di una fase avanzata di malattia da HIV (AIDS conclamata).
Altro dato emerso dallo studio riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza: ben 284 donne (il 44%) hanno riferito di essere ricorse ad almeno un’interruzione volontaria di gravidanza durante la loro vita.
Delle donne che avevano ricorso all’aborto, il 58% lo ha fatto prima della diagnosi di infezione da HIV, il 25% dopo la diagnosi, il 10% sia prima che dopo.
Due aborti sono stati riferiti da 72 donne, per un totale di tre aborti da 19 donne e per un totale superiore a 3 aborti da 30 intervistate.
Le donne con storia di almeno una interruzione volontaria di gravidanza rispetto a coloro che non avevano ricorso a tale procedura avevano probabilità più elevate di avere avuto il primo rapporto sessuale a un età pari o inferiore a 15 anni, di avere avuto una o più gravidanze, un figlio HIV-positivo, una storia di tossicodipendenza, un’infezione da HIV più datata e di avere un’età media più avanzata.
Pharmakronos
Menopausa precoce e aborto segnali sieropositività?
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Re: Menopausa precoce e aborto segnali sieropositività?
08/03/2012
Un'indagine condotta in Italia analizza il ruolo degli aspetti della vita emozionale, sessuale e riproduttiva nel management della donna HIV-positiva
Per approfondire gli aspetti peculiari della donna con infezione da HIV nel 2010 si è formato Women for Positive Action - Italia, un gruppo multidisciplinare di "donne per le donne" composto da medici e una psicologa provenienti da 18 Centri Clinici per le Malattie Infettive. Sentendo la necessità di meglio descrivere il vissuto della donna sieropositiva e nello specifico di identificarne i bisogni sociosanitari, il gruppo ha voluto condurre un'importante indagine conoscitiva, lo studio "Donne con Infezione Da HIV" - DIDI Study. In particolare, lo scopo era quello di valutare la salute emozionale, sessuale e riproduttiva della donna con infezione da HIV in Italia.
Lo studio DIDI è stato proposto a tutte le donne sieropositive afferenti a 16 Centri Clinici di Malattie Infettive specializzati nella cura dell'infezione da HIV tra il settembre 2010 e il gennaio 2011 ed è stato visionato e approvato dalle rappresentanti delle associazioni per i pazienti. Un totale di 585 donne, di cui il 18% è rappresentato da immigrate, ha compilato il questionario dopo avere firmato il consenso informato. In generale, la proposta di aderire allo studio DIDI è stata accolta con entusiasmo e ampia disponibilità da parte delle pazienti con infezione da HIV: molte intervistate hanno ritenuto che focalizzare l'attenzione sulla donna potesse finalmente dar voce alla loro specifica condizione e al particolare vissuto femminile. Solo pochissime donne hanno rifiutato di partecipare al progetto.
Un primo dato rilevante riguarda la caratterizzazione epidemiologica delle donne HIV-positive: nella grande maggioranza dei casi (80%) la modalità di infezione è quella riferibile ai rapporti sessuali. Da rimarcare che ben nel 12% la diagnosi di infezione da HIV è stata posta nel corso di una gravidanza. Questa gravissima coincidenza di eventi sottolinea l'assoluta necessità di rendere il test per l'HIV obbligatorio nelle fasi precoci di ogni gravidanza, testando anche il partner per evitare trasmissioni tardive, e di incentivare lo screening attivo nelle giovani donne in procinto di programmare una maternità.
Dal punto di vista relazionale-affettivo, le donne HIV-positive riferiscono, in circa la metà del campione, di avere almeno un figlio e, nel 70% dei casi, dichiarano di condividere un rapporto di coppia stabile. Difatti, in quasi il 90% dei casi nel corso dell'ultimo anno, la donna riferisce di avere avuto un unico partner sessuale. Nelle donne con un rapporto stabile, circa la metà ha un partner anch'esso sieropositivo e il 20% afferma di avere acquisito l'infezione dal partner attuale. Nel 32% delle coppie stabili si tratta di una coppia discordante per l'infezione da HIV e la paura di poter eventualmente trasmettere l'infezione al partner preoccupa il 64% delle donne. Il 71% delle intervistate riferisce di avere avuto il primo rapporto sessuale a un'età inferiore a 18 anni, e di queste il 21% a meno di 15 anni.
A seguire verranno sintetizzate le prime analisi effettuate sui dati raccolti e illustrati i principali risultati riportati in occasione dei più importanti convegni del 2011
La presenza di un partner HIV-negativo, una migliore salute globale, fisica e psichica, una superiore percezione della propria immagine corporea e valori di viremia plasmatica <50 copie/ml sono variabili correlate in maniera statisticamente significativa a una vita sessuale soddisfacente. Per contro, un'età superiore a 45 anni, un intervallo di tempo maggiore dalla diagnosi di infezione da HIV, la presenza di sintomi depressivi e fisici e una peggiore aderenza alla terapia antiretrovirale (ARV) sono variabili associate a una minore qualità della vita sessuale.
I dati emersi dall'analisi sono stati presentati alla International AIDS Society Conference (IAS) a Roma nel luglio 2011 e sottolineano la multifattorialità delle cause che incidono sul benessere sessuale, oltre a richiamare l'attenzione su particolari condizioni, quali l'invecchiamento, la lunga storia di malattia e la bassa aderenza al trattamento. È evidente che la peggiore aderenza ai farmaci ARV registrata nelle donne insoddisfatte della propria vita sessuale suggerisce anche un aumentato rischio di trasmissione dell'infezione da HIV nel contesto di un peggiore controllo virologico.
Contradditorio sembra essere il vissuto in merito al desiderio di maternità e all'adozione di un efficace metodo contraccettivo. Più della metà delle donne riferisce un calo del desiderio di maternità dopo essere venuta a conoscenza della propria infezione e il 63% riporta di non desiderare un figlio principalmente per paura di trasmettere l'infezione al neonato, di possibili malformazioni fetali o perché il proprio stato di salute è ritenuto insufficiente. Ciononostante, ai fini di un'efficace contraccezione, l'uso costante e regolare del preservativo è riferito solo dal 55% delle intervistate e altri metodi contraccettivi vengono impiegati da un numero irrisorio di donne.
Dall'indagine emerge anche che la donna HIV-positiva è ancora oggi bisognosa di informazioni circa la possibilità di una gravidanza nel contesto dell'infezione. Infatti, nonostante dovrebbe essere ampiamente noto che attuando tutte le precauzioni suggerite dalle linee guida la probabilità di trasmissione verticale si riduce a meno del 2%, una percentuale rilevante di donne ritiene che tale rischio sia nettamente superiore. È possibile scaricare il materiale.
L'incidenza lifetime di aborto nella donna con infezione da HIV è risultata del 18,8 (95%CI 16,5-21,4) per 1.000 persone-anno di follow-up. Dall'analisi dei trend temporali nel corso degli anni emerge un dato incoraggiante: si riscontra infatti una significativa e progressiva riduzione dell'evento aborto negli anni di calendario più recenti, con un rischio relativo per ogni aggiuntivo di 0,55 (95%CI 0,43-0,70) (p for trend <0,0001) (Figura 2). Verosimilmente lo switch epidemiologico dalla popolazione che ha acquisito l'infezione con la tossicodipendenza a quella con il contagio sessuale associato alla disponibilità di efficaci strategie per la prevenzione della trasmissione materno-fetale sono alla base di questa positiva evoluzione. Va comunque sottolineato l'aspetto traumatico di tale esperienza nel vissuto della donna, spesso non sufficientemente indagato e poco supportato nel contesto clinico della paziente con infezione da HIV. Inoltre, dal punto di vista della sanità pubblica appare fondamentale offrire il test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV a tutte le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza associato a un adeguato percorso educazionale sulla protezione psicofisica dell'individuo in generale e della donna nello specifico. È possibile scaricare il materiale
Figura 1. Percentuale di donne HIV-positive che riferiscono di avere ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza nel corso della loro vita. I dati sono presentati in funzione del fatto che l'interruzione è precedente o successiva alla diagnosi dell'infezione da HIV.
Sebbene la presente analisi possieda alcuni limiti, come la natura trasversale dell'osservazione e l'assenza di una documentazione oggettiva della condizione di menopausa, fornisce alcuni suggerimenti per il management clinico delle donne in generale. Un'anamnesi accurata circa le caratteristiche del ciclo mestruale, anche in età tipicamente premenopausale, permette nel contesto dell'infezione da HIV di identificare le donne a maggior rischio di comorbilità e costituisce pertanto uno strumento necessario per una adeguata assistenza sanitaria preventiva. I farmaci ARV a loro volta potrebbero incidere negativamente sullo sviluppo di comorbidità tipicamente associate alla menopausa (si pensi per esempio al danno d'osso, osteopenia, osteoporosi). Un'anamnesi scrupolosa in tal senso è pertanto fondamentale anche per operare una scelta terapeutica ottimale che permetta di minimizzare il rischio di insorgenza o accentuazione di tali comorbilità.
D'altro canto, l'elevata frequenza di amenorrea nelle giovani donne sieropositive enfatizza la necessità di escludere l'infezione da HIV nella diagnosi differenziale di questa condizione e costituisce una valida indicazione all'offerta del test per l'HIV anche in questo contesto. E' possibile scaricare il materiale.
Lo studio ha messo in evidenza la maggior fragilità fisica, psicologica ed emozionale delle donne con infezione da HIV di età superiore a 45 anni. Nella pratica clinica, rispetto alle più giovani, tali pazienti dovrebbero ricevere maggiori attenzioni mediche e psicologiche, eventualmente con programmi individualizzati di follow-up. Inoltre, aspetti quali probabile scarsa aderenza e depressione obbligano a fare alcune riflessioni anche in merito alla scelta della terapia ARV, tenendo in maggiore considerazione fattori come il dosaggio, la barriera genetica e i possibili effetti collaterali psichiatrici dei farmaci, in modo da identificare l'opzione ottimale per queste pazienti.
Preoccupante risulta la dimensione del benessere emozionale e psicologico nelle donne con infezione da HIV. L'indagine DIDI ha rilevato una prevalenza del 33% di donne con sintomatologia depressiva. A questo quadro emozionale si affianca quello dell'isolamento psicologico: il 41% delle intervistate riferisce che nessuno è a conoscenza della loro condizione di sieropositività e il 65% dichiara la necessità di nascondere efficacemente questo segreto. Certamente la paura dello stigma sociale condiziona fortemente l'assetto psicologico della donna con infezione da HIV e genera una forte solitudine della persona. È possibile scaricare il materiale.
Dal punto di vista socio-economico la donna intervistata è nel 23% dei casi disoccupata oppure svolge un'attività lavorativa solo saltuaria. Inoltre, il reddito risulta basso, visto che il 45% delle intervistate riporta un guadagno mensile inferiore a 800 Euro. Alla luce di queste caratteristiche è verosimile che la donna con infezione da HIV, anche per il suo frequente ruolo di madre, possa vivere una condizione di dipendenza sociale probabilmente associata a una scarsa capacità contrattuale. Interventi di supporto sociale ed economico dovrebbero pertanto rivolgersi più frequentemente alla donna in quanto elemento sociale di estrema vulnerabilità.
In conclusione, nonostante l'Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga che il benessere fisico, psichico e sessuale-riproduttivo rappresentino elementi fondamentali per la salute globale e la qualità di vita della persona, questi ambiti nella donna con infezione da HIV risultano spesso traumatizzati e fragili. Un forte impegno integrato di operatori sanitari e sociali insieme alle associazioni per i pazienti è richiesto per colmare le informazioni mancanti, adeguare l'assistenza medico-sanitaria alle necessità del genere femminile e combattere l'isolamento psicologico e la vulnerabilità sociale che ancora oggi avvolge la donna HIV-positiva.
Un'indagine condotta in Italia analizza il ruolo degli aspetti della vita emozionale, sessuale e riproduttiva nel management della donna HIV-positiva
Per approfondire gli aspetti peculiari della donna con infezione da HIV nel 2010 si è formato Women for Positive Action - Italia, un gruppo multidisciplinare di "donne per le donne" composto da medici e una psicologa provenienti da 18 Centri Clinici per le Malattie Infettive. Sentendo la necessità di meglio descrivere il vissuto della donna sieropositiva e nello specifico di identificarne i bisogni sociosanitari, il gruppo ha voluto condurre un'importante indagine conoscitiva, lo studio "Donne con Infezione Da HIV" - DIDI Study. In particolare, lo scopo era quello di valutare la salute emozionale, sessuale e riproduttiva della donna con infezione da HIV in Italia.
Lo studio DIDI è stato proposto a tutte le donne sieropositive afferenti a 16 Centri Clinici di Malattie Infettive specializzati nella cura dell'infezione da HIV tra il settembre 2010 e il gennaio 2011 ed è stato visionato e approvato dalle rappresentanti delle associazioni per i pazienti. Un totale di 585 donne, di cui il 18% è rappresentato da immigrate, ha compilato il questionario dopo avere firmato il consenso informato. In generale, la proposta di aderire allo studio DIDI è stata accolta con entusiasmo e ampia disponibilità da parte delle pazienti con infezione da HIV: molte intervistate hanno ritenuto che focalizzare l'attenzione sulla donna potesse finalmente dar voce alla loro specifica condizione e al particolare vissuto femminile. Solo pochissime donne hanno rifiutato di partecipare al progetto.
Un primo dato rilevante riguarda la caratterizzazione epidemiologica delle donne HIV-positive: nella grande maggioranza dei casi (80%) la modalità di infezione è quella riferibile ai rapporti sessuali. Da rimarcare che ben nel 12% la diagnosi di infezione da HIV è stata posta nel corso di una gravidanza. Questa gravissima coincidenza di eventi sottolinea l'assoluta necessità di rendere il test per l'HIV obbligatorio nelle fasi precoci di ogni gravidanza, testando anche il partner per evitare trasmissioni tardive, e di incentivare lo screening attivo nelle giovani donne in procinto di programmare una maternità.
Dal punto di vista relazionale-affettivo, le donne HIV-positive riferiscono, in circa la metà del campione, di avere almeno un figlio e, nel 70% dei casi, dichiarano di condividere un rapporto di coppia stabile. Difatti, in quasi il 90% dei casi nel corso dell'ultimo anno, la donna riferisce di avere avuto un unico partner sessuale. Nelle donne con un rapporto stabile, circa la metà ha un partner anch'esso sieropositivo e il 20% afferma di avere acquisito l'infezione dal partner attuale. Nel 32% delle coppie stabili si tratta di una coppia discordante per l'infezione da HIV e la paura di poter eventualmente trasmettere l'infezione al partner preoccupa il 64% delle donne. Il 71% delle intervistate riferisce di avere avuto il primo rapporto sessuale a un'età inferiore a 18 anni, e di queste il 21% a meno di 15 anni.
A seguire verranno sintetizzate le prime analisi effettuate sui dati raccolti e illustrati i principali risultati riportati in occasione dei più importanti convegni del 2011
- Analisi sulla soddisfazione della vita sessuale nelle donne HIV-positive
La presenza di un partner HIV-negativo, una migliore salute globale, fisica e psichica, una superiore percezione della propria immagine corporea e valori di viremia plasmatica <50 copie/ml sono variabili correlate in maniera statisticamente significativa a una vita sessuale soddisfacente. Per contro, un'età superiore a 45 anni, un intervallo di tempo maggiore dalla diagnosi di infezione da HIV, la presenza di sintomi depressivi e fisici e una peggiore aderenza alla terapia antiretrovirale (ARV) sono variabili associate a una minore qualità della vita sessuale.
I dati emersi dall'analisi sono stati presentati alla International AIDS Society Conference (IAS) a Roma nel luglio 2011 e sottolineano la multifattorialità delle cause che incidono sul benessere sessuale, oltre a richiamare l'attenzione su particolari condizioni, quali l'invecchiamento, la lunga storia di malattia e la bassa aderenza al trattamento. È evidente che la peggiore aderenza ai farmaci ARV registrata nelle donne insoddisfatte della propria vita sessuale suggerisce anche un aumentato rischio di trasmissione dell'infezione da HIV nel contesto di un peggiore controllo virologico.
Contradditorio sembra essere il vissuto in merito al desiderio di maternità e all'adozione di un efficace metodo contraccettivo. Più della metà delle donne riferisce un calo del desiderio di maternità dopo essere venuta a conoscenza della propria infezione e il 63% riporta di non desiderare un figlio principalmente per paura di trasmettere l'infezione al neonato, di possibili malformazioni fetali o perché il proprio stato di salute è ritenuto insufficiente. Ciononostante, ai fini di un'efficace contraccezione, l'uso costante e regolare del preservativo è riferito solo dal 55% delle intervistate e altri metodi contraccettivi vengono impiegati da un numero irrisorio di donne.
Dall'indagine emerge anche che la donna HIV-positiva è ancora oggi bisognosa di informazioni circa la possibilità di una gravidanza nel contesto dell'infezione. Infatti, nonostante dovrebbe essere ampiamente noto che attuando tutte le precauzioni suggerite dalle linee guida la probabilità di trasmissione verticale si riduce a meno del 2%, una percentuale rilevante di donne ritiene che tale rischio sia nettamente superiore. È possibile scaricare il materiale.
- Elevata incidenza del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza tra le donne HIV-positive
L'incidenza lifetime di aborto nella donna con infezione da HIV è risultata del 18,8 (95%CI 16,5-21,4) per 1.000 persone-anno di follow-up. Dall'analisi dei trend temporali nel corso degli anni emerge un dato incoraggiante: si riscontra infatti una significativa e progressiva riduzione dell'evento aborto negli anni di calendario più recenti, con un rischio relativo per ogni aggiuntivo di 0,55 (95%CI 0,43-0,70) (p for trend <0,0001) (Figura 2). Verosimilmente lo switch epidemiologico dalla popolazione che ha acquisito l'infezione con la tossicodipendenza a quella con il contagio sessuale associato alla disponibilità di efficaci strategie per la prevenzione della trasmissione materno-fetale sono alla base di questa positiva evoluzione. Va comunque sottolineato l'aspetto traumatico di tale esperienza nel vissuto della donna, spesso non sufficientemente indagato e poco supportato nel contesto clinico della paziente con infezione da HIV. Inoltre, dal punto di vista della sanità pubblica appare fondamentale offrire il test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV a tutte le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza associato a un adeguato percorso educazionale sulla protezione psicofisica dell'individuo in generale e della donna nello specifico. È possibile scaricare il materiale
Figura 1. Percentuale di donne HIV-positive che riferiscono di avere ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza nel corso della loro vita. I dati sono presentati in funzione del fatto che l'interruzione è precedente o successiva alla diagnosi dell'infezione da HIV.
- Menopausa prematura tra le donne con infezione da HIV
Sebbene la presente analisi possieda alcuni limiti, come la natura trasversale dell'osservazione e l'assenza di una documentazione oggettiva della condizione di menopausa, fornisce alcuni suggerimenti per il management clinico delle donne in generale. Un'anamnesi accurata circa le caratteristiche del ciclo mestruale, anche in età tipicamente premenopausale, permette nel contesto dell'infezione da HIV di identificare le donne a maggior rischio di comorbilità e costituisce pertanto uno strumento necessario per una adeguata assistenza sanitaria preventiva. I farmaci ARV a loro volta potrebbero incidere negativamente sullo sviluppo di comorbidità tipicamente associate alla menopausa (si pensi per esempio al danno d'osso, osteopenia, osteoporosi). Un'anamnesi scrupolosa in tal senso è pertanto fondamentale anche per operare una scelta terapeutica ottimale che permetta di minimizzare il rischio di insorgenza o accentuazione di tali comorbilità.
D'altro canto, l'elevata frequenza di amenorrea nelle giovani donne sieropositive enfatizza la necessità di escludere l'infezione da HIV nella diagnosi differenziale di questa condizione e costituisce una valida indicazione all'offerta del test per l'HIV anche in questo contesto. E' possibile scaricare il materiale.
- Conseguenze dell'avanzamento dell'età anagrafica sul benessere psicofisico della donna sieropositiva
Lo studio ha messo in evidenza la maggior fragilità fisica, psicologica ed emozionale delle donne con infezione da HIV di età superiore a 45 anni. Nella pratica clinica, rispetto alle più giovani, tali pazienti dovrebbero ricevere maggiori attenzioni mediche e psicologiche, eventualmente con programmi individualizzati di follow-up. Inoltre, aspetti quali probabile scarsa aderenza e depressione obbligano a fare alcune riflessioni anche in merito alla scelta della terapia ARV, tenendo in maggiore considerazione fattori come il dosaggio, la barriera genetica e i possibili effetti collaterali psichiatrici dei farmaci, in modo da identificare l'opzione ottimale per queste pazienti.
Preoccupante risulta la dimensione del benessere emozionale e psicologico nelle donne con infezione da HIV. L'indagine DIDI ha rilevato una prevalenza del 33% di donne con sintomatologia depressiva. A questo quadro emozionale si affianca quello dell'isolamento psicologico: il 41% delle intervistate riferisce che nessuno è a conoscenza della loro condizione di sieropositività e il 65% dichiara la necessità di nascondere efficacemente questo segreto. Certamente la paura dello stigma sociale condiziona fortemente l'assetto psicologico della donna con infezione da HIV e genera una forte solitudine della persona. È possibile scaricare il materiale.
Dal punto di vista socio-economico la donna intervistata è nel 23% dei casi disoccupata oppure svolge un'attività lavorativa solo saltuaria. Inoltre, il reddito risulta basso, visto che il 45% delle intervistate riporta un guadagno mensile inferiore a 800 Euro. Alla luce di queste caratteristiche è verosimile che la donna con infezione da HIV, anche per il suo frequente ruolo di madre, possa vivere una condizione di dipendenza sociale probabilmente associata a una scarsa capacità contrattuale. Interventi di supporto sociale ed economico dovrebbero pertanto rivolgersi più frequentemente alla donna in quanto elemento sociale di estrema vulnerabilità.
In conclusione, nonostante l'Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga che il benessere fisico, psichico e sessuale-riproduttivo rappresentino elementi fondamentali per la salute globale e la qualità di vita della persona, questi ambiti nella donna con infezione da HIV risultano spesso traumatizzati e fragili. Un forte impegno integrato di operatori sanitari e sociali insieme alle associazioni per i pazienti è richiesto per colmare le informazioni mancanti, adeguare l'assistenza medico-sanitaria alle necessità del genere femminile e combattere l'isolamento psicologico e la vulnerabilità sociale che ancora oggi avvolge la donna HIV-positiva.
- Antonella d'Arminio Monforte
Adriana Ammassari