Ho pensato utile riunirle in un unico thread, cui mi piacerebbe aggiungere anche la bellissima lezione che Vincente Planelles ha tenuto sui modelli di laboratorio per studiare la latenza (Laboratory Models for the Study of Latency). Ma è abbastanza difficile, quindi mi prendo un po’ di tempo per pensarci.
Cominciamo con Sharon Lewin, della Monash University, Melbourne.
HIV Latency and Eradication: Clinical Perspectives

Anzitutto, Lewin ripropone la solita distinzione fra cura e remissione, ovvero fra eradicazione del virus e cura funzionale.

Ciò di cui si occuperà durante la lezione sono sostanzialmente tre aspetti:
- 1. Quali sono le maggiori barriere che si oppongono alla scoperta di una cura?
2. Quali sono le sperimentazioni cliniche attualmente in atto volte a trovare una cura?
3. Quali sfide devono affrontare le sperimentazioni clinche finalizzate a trovare una cura?
Partiamo dalla prima domanda: LE MAGGIORI BARRIERE CHE SI OPPONGONO ALLA SCOPERTA DI UNA CURA.
Esiste anzitutto il problema della persistenza del virus in tutti i pazienti con viremia resa irrilevabile dalla HAART.

Questa viremia residua si può rinvenire sia nel sangue periferico, sia nei tessuti.

Ciò che dunque fino ad ora ha impedito di trovare una cura è il virus che si rinviene
- • nelle cellule latentemente infette;
• a causa della replicazione virale residua;
• nei reservoir anatomici.
L’HIV di preferenza si replica nei CD4 attivati e in questo modo i linfociti T infetti producono virioni. I CD4 infetti muoiono e i diversi cicli di replicazione del virus vengono bloccati dalla HAART. Invece, quando il virus entra in un CD4 quiescente, si integra ma non completa il proprio ciclo vitale e può rimanere in questo stato sospeso per tutta la durata della vita della cellula. Inoltre, alcune delle cellule attivate che vengono infettate sopravvivono, diventano CD4 memoria e possono passare in uno stato di latenza.

Come si mantiene la latenza?
Anzitutto attraverso complessi meccanismi molecolari, che reprimono la trascrizione del virus e impediscono all’HIV di continuare ad integrarsi come provirus (bassa acetilazione, alta metilazione e interferenza trascrizionale).
Un altro meccanismo attraverso il quale si mantiene la latenza è la proliferazione omeostatica, guidata dall’interleuchina-7.
Infine, le cellule latentemente infette possono essere attivate in qualsiasi momento e produrre dei virus in grado di infettare: questo processo può essere bloccato da dei “regolatori negativi” dell’attivazione dei linfociti T, quali la PD-1 (morte programmata-1).

L’altra ragione per cui l’HIV persiste è una replicazione che si verifica al di sotto del livello di rilevabilità. Si tratta di una questione controversa, perché esistono tre argomenti importanti CONTRO la replicazione residua:
- • nei pazienti in HAART non si vede un’evoluzione nelle sequenze dell’RNA o del DNA virale;
• non si nota sviluppo di resistenze;
• non si vede un mutamento nell’RNA o nel DNA virale a seguito di intensificazione della terapia.

Un’altra importante ragione per cui la replicazione del virus può non risultare completamente dalla HAART è stata spiegata da un lavoro molto importante di David Baltimore l’estate scorsa e consiste nel passaggio dell’infezione direttamente da una cellula all’altra.

Esiste poi l'importante ipotesi sulla persistenza della viremia residua durante la HAART è quella avanzata da Hatano e Deeks dell’attivazione immunitaria nei tessuti. Questa ipotesi non ci spiega se sia la persistenza del virus a causare l’attivazione immunitaria o, viceversa, l’attivazione immunitaria a causare una certa persistenza di replicazione virale. Ma probabilmente sull’attivazione immunitaria è possibile intervenire, per interferire con la viremia residua.

Rimane ancora aperto anche il problema dei reservoir anatomici e per questo Lewin rimanda alla relazione di Courney Fletcher (cui dedicherò un thread a parte).

La seconda parte della lezione di Sharon Lewin è dedicata alle sperimentazioni cliniche volte alla ricerca di una cura.
Al momento, esistono 4 diverse strategie per arrivare a una cura:
- 1. eliminare le cellule latentemente infette;
2. eliminare la replicazione residua del virus;
3. rinforzare l’immunità HIV-specifica;
4. rendere le cellule “resistenti” all’HIV.
Una via è dunque quella di riattivare le cellule latentemente infette, per poi distruggere grazie alla HAART il virus che ne esce e tenta di replicarsi. Lewin segnala l’importante lavoro di Siliciano Elimination of the Latent Reservoir for HIV-1 Requires Induction of Cytolytic T Lymphocyte Responses (che è ancora sotto embargo nel sito del CROI).

Segue la lista di sostanze che hanno dimostrato in vitro di avere una qualche capacità di riattivare il virus dalla latenza. Le sostanze segnate nella colonna di sinistra sono già in fase di sperimentazione clinica e sono già state approvate per trattare altri tipi di patologia.

In particolare (ovviamente dato che è anche una sua sperimentazione), Lewin segnala il SAHA.

Le prime tre slides corrispondono alla sperimentazione condotta da lei stessa in Australia (gli effetti collaterali segnalati sono stati tutti di lieve o moderata entità e tutti reversibili), la quarta descrive invece la sperimentazione di Margolis (il cui abstract non è ancora disponibile e che posterò nel thread a lui dedicato: Trial su HDACi per eradicazione_Lewin/Margolis vs Clements 2.




Lewin passa poi a descrivere il lavoro di Rasmussen, che sta confrontando fra loro l’attività anti-latenza di diversi inibitori dell’iston-deacetilasi.

E ora le deludenti note sul disulfiram (anche questo abstract non è ancora disponibile; lo posterò in qualche thread dedicato a Siliciano, magari quello sulle chinoline, perché non so se valga la pena di andare a ripescare il thread dall’archivio – Antabuse (disulfiram): per ripulire i reservoir - visto lo scarsissimo successo ottenuto):

Ultima strategia: quella di Chomont dell’anti-PD1.


Segue il disastro delle intensificazioni terapeutiche allo scopo di eliminare la replicazione virale: nessun effetto sull’HIV RNA residuo.

E veniamo all’ERAMUNE, il tentativo di eradicare mediante intensificazione della HAART + attivazione e rafforzamento dell’immunità grazie all’IL-7. I risultati sono attesi per l’inizio dell’anno prossimo.

Lewin si avvia alle conclusioni con la “sorprendente” ammissione che, per eliminare la replicazione virale è necessario andare oltre alla HAART: riducendo l’attivazione immunitaria, facendo arrivare meglio i farmaci sia ai tessuti sia alle singole cellule e riuscendo a colpire le cellule della linea mieloide.

Per finire, la terapia genica.


Che cosa serve per impostare i prossimi trial clinici?
QUEL CHE SAPPIAMO:
- • Che gli interventi sono relativamente ben tollerati;
• Che non si sono avute esplosioni evidenti nella replicazione virale (questa mi sa tanto che è una stoccata al nostro amico Savarino);
• Che non si sono avute prove di un peggioramento dell’attivazione immunitaria;
• Che ci sono timidi segnali secondo cui più il SAHA, un po’ meno il disulfiram potrebbero aumentare la produzione dell’HIV in vivo.
QUEL CHE NON SAPPIAMO:
- • Quali siano i dosaggi più corretti dei farmaci e la durata dei trattamenti;
• Quali siano i test migliori per dimostrare l’attività o l’effetto dei farmaci anti-latenza;
• Se sarà necessario intensificare la HAART.
Lewin propone anche delle considerazioni etiche:
- • Quali sono i rischi e le tossicità accettabili quando si interviene in una popolazione la cui infezione è sostanzialmente ben controllata dalla HAART?
• Quali marker surrogati della persistenza virale giustificherebbero l’interruzione del trattamento quale obiettivo clinico delle sperimentazioni?
• Bisogna tenere conto delle aspettative dei partecipanti ai primi studi pilota, che hanno funzione di “proof of concept”;
• Infine, in coinvolgimento delle comunità e degli attivisti è cruciale in tutte le fasi sia di impostazione sia di implementazione dei trial.
In conclusione:
