Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura
Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu
Ricorda che l'obiettivo primario è valutare la sicurezza e la tollerabilità di una sostanza che non è mai stata testata su esseri umani: questa fase I è probabilmente la più delicata di tutta la sperimentazione.alfaa ha scritto:Cioè la fase uno finisce tra 2 anni?
Nell'articolo di Shingai, Martin e colleghi di effetti avversi nelle scimmie non ne sono stati segnalati, ma non è possibile convocare tutti i volontari insieme una mattina e fare loro l'iniezione dell'anticorpo, perché se qualcosa va storto rischi di fare grossi danni a una sessantina di persone. Immagino che testeranno una persona per volta e, prima di passare alla successiva, aspetteranno di vedere se emergono problemi.
Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu
Si certo,solo non ero sicuro di aver capito si riferisse alla fase uno quel "2 anni" Ma quando su nature uscì un paio di mesi fa un articolo su anticorpi, si riferiva a questo studio quindi?
Re: R: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di
Quello che non capisco è come mai sperimentino un solo anticorpo, mentre alle scimmie ne avevano dati 2 contemporaneamente... Un'ennesima sperimentazione parziale?
Poi non capisco nemmeno perché sperimentino solo gli effetti di una singola iniezione e non quelli di iniezioni ripetute nel tempo. Ma forse lo faranno più avanti, nella fase 2, se la fase 1 avrà successo.
X il momento dobbiamo essere soddisfatti che la ricerca proceda già in fretta
Poi non capisco nemmeno perché sperimentino solo gli effetti di una singola iniezione e non quelli di iniezioni ripetute nel tempo. Ma forse lo faranno più avanti, nella fase 2, se la fase 1 avrà successo.
X il momento dobbiamo essere soddisfatti che la ricerca proceda già in fretta
Re: R: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di
Sì, è uno dei due articoli di cui si parla nel messaggio iniziale di questo thread.alfaa ha scritto:quando su nature uscì un paio di mesi fa un articolo su anticorpi, si riferiva a questo studio quindi?
Credo che la risposta ad entrambe le tue domande sia che nessuno dei due anticorpi è un farmaco già approvato. Non sono mai andata a studiarmi i protocolli dell'FDA e l'iter dettagliato dell'approvazione dei nuovi farmaci, ma a naso direi che ciascuno di questi anticorpi deve essere sperimentato separatamente e solo quando saranno (ragionevolmente) note tutte le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di entrambi si potrà eventualmente pensare di farli interagire.admeto ha scritto:Quello che non capisco è come mai sperimentino un solo anticorpo, mentre alle scimmie ne avevano dati 2 contemporaneamente... Un'ennesima sperimentazione parziale?
Poi non capisco nemmeno perché sperimentino solo gli effetti di una singola iniezione e non quelli di iniezioni ripetute nel tempo.
Analogo ragionamento penso possa valere per la somministrazione: provi un'iniezione e stai a vedere che accade. Fra l'altro, qui già si parte con tre bracci e tre diversi dosaggi (1, 3 e 10 mg/kg), quindi almeno si raccolgono più informazioni fin dal primo trial.
Certo che però in questo modo i tempi si allungano.

Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu
Dora ha scritto:Romas Geleziunas si occupa di coordinare le ricerche sull'eradicazione fatte da Gilead. Geleziunas ha raccontato che - insieme alla Gates Foundation - Gilead sta lavorando sul PGT121 (l'anticorpo ampiamente neutralizzante più potente che, nella ricerca di Barouch e colleghi che ha dato inizio a questo thread, è stato somministrato da solo alle scimmie, consentendo loro un controllo delle viremie non tanto diverso da quello del cocktail di 3 bNAbs)
Rileggendo questo thread mi è venuto un dubbio e vorrei confrontarmi con voi.
La Gilead ha appena immesso sul mercato vari nuovi prodotti che utilizzano nuove molecole (a memoria, e sicuramente sbagliando, io ho presente Eviplera, Stribild e Vitekta) e sta per immettere sul mercato anche il nuovo TAF, che si preannuncia come un farmaco molto promettente.
Ora io mi domando: la Gilead ha sicuramente investito grandi capitali per ideare questi nuovi farmaci, e quindi in questo momento ha un effettivo interesse a sviluppare le ricerche sull'anticorpo PGT121? In fin dei conti potrebbe costituire un’alternativa alle nuove molecole ed in ogni caso il suo sviluppo richiederebbe ulteriori investimenti.
La Gilead è una società di lucro e non è suo compito perseguire il bene dell’umanità. Il suo compito è di massimizzare i profitti. Quindi mi chiedo se in questo momento non sia per lei più conveniente “rientrare” dagli investimenti fatti per i nuovi farmaci e rinviare lo sviluppo di ulteriori nuove molecole più avanti nel tempo.
Vi assicuro che non ho nessun intento polemico e non desidero in alcun modo riaprire il dibattito sull’antica questione del complotto delle case farmaceutiche che tengono la cura nascosta nel cassetto per guadagnarci, ecc. ecc. So perfettamente che non è verosimile.
Il mio dubbio riguarda solo questo: il possibile comportamento della Gilead oggi, in questa precisa fase di evoluzione delle terapie per l’HIV.
Ciao
Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu
Admeto, così di corsa: i farmaci ci mettono molto più tempo dei bambini a venire al mondo.
E molto spesso non sono per tutti.
Quando una compagnia farmaceutica ottiene l’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, di solito ha già iniziato a studiare da qualche anno il suo sostituto.
La ricerca medica è una macchina che non si ferma mai, anche perché ha un tasso di fallimenti elevatissimo, e –come nelle famiglie contadine d’un tempo- deve fare molti figli per sperare di vederne sopravvivere qualcuno.
Se tutto andrà bene, poco prima della perdita del brevetto sul farmaco che deve ancora entrare in commercio, il nuovo farmaco starà concludendo la fase di registrazione, e la ruota continuerà a girare…
E molto spesso non sono per tutti.
Quando una compagnia farmaceutica ottiene l’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, di solito ha già iniziato a studiare da qualche anno il suo sostituto.
La ricerca medica è una macchina che non si ferma mai, anche perché ha un tasso di fallimenti elevatissimo, e –come nelle famiglie contadine d’un tempo- deve fare molti figli per sperare di vederne sopravvivere qualcuno.
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Re: R: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di
Ah capisco, allora funziona un po' come con gli i-phone: quando mettono in commercio la versione 5 hanno già pronta la versione 6, che metteranno in commercio tra due anni 
Seriamente, grazie Uffa x la risposta

Seriamente, grazie Uffa x la risposta
Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu
Non proprio: il tempo di sviluppo degli iPhone è effettivamente di 1-2 anni, quello delle medicine di almeno dieci; se la ricerca non fosse un nastro continuo ci sarebbero interruzioni gravi nella proposta commerciale delle aziende.
E tieni conto che tutto parte dal presupposto che non ci siano intoppi, che la compagnia farmaceutica indovini il filone di ricerca, che il principio attivo sia efficace e sicuro, che gli studi di sostegno siano solidi e accettati dalla comunità scientifica, che i concorrenti non riescano a fare di meglio…
Mi sovviene il caso di una farmaceutica (un colosso di dimensioni planetarie) che qualche anno fa è stata la protagonista di una rivoluzione nelle terapie antitumorali: un “normale” chemioterapico che però era efficacissimo nel suo ambiente di sviluppo originario e in diverse altre applicazioni.
Per una decina d’anni hanno vissuto di rendita, largheggiando e godendo.
Poi il brevetto è scaduto, e il loro nuovo farmaco non è stato all’altezza del precedente: un dramma, non sanno più che fare, evitano i congressi internazionali -dove nessuno si occupa più di loro- strizzano gli studi a loro disposizione nel tentativo di fargli tirare fuori un po’ di sangue, ma non gli riesce, per migliaia di dipendenti in tutto il mondo lo spettro del licenziamento s’avvicina.
Naturalmente ci sono anche altre compagnie, alcune delle quali hanno azzeccato la scommessa e sono in gran spolvero, quindi il settore progredisce, ma come vedi è come la storia del leone e della gazzella: c’è solo da correre.
E tieni conto che tutto parte dal presupposto che non ci siano intoppi, che la compagnia farmaceutica indovini il filone di ricerca, che il principio attivo sia efficace e sicuro, che gli studi di sostegno siano solidi e accettati dalla comunità scientifica, che i concorrenti non riescano a fare di meglio…
Mi sovviene il caso di una farmaceutica (un colosso di dimensioni planetarie) che qualche anno fa è stata la protagonista di una rivoluzione nelle terapie antitumorali: un “normale” chemioterapico che però era efficacissimo nel suo ambiente di sviluppo originario e in diverse altre applicazioni.
Per una decina d’anni hanno vissuto di rendita, largheggiando e godendo.
Poi il brevetto è scaduto, e il loro nuovo farmaco non è stato all’altezza del precedente: un dramma, non sanno più che fare, evitano i congressi internazionali -dove nessuno si occupa più di loro- strizzano gli studi a loro disposizione nel tentativo di fargli tirare fuori un po’ di sangue, ma non gli riesce, per migliaia di dipendenti in tutto il mondo lo spettro del licenziamento s’avvicina.
Naturalmente ci sono anche altre compagnie, alcune delle quali hanno azzeccato la scommessa e sono in gran spolvero, quindi il settore progredisce, ma come vedi è come la storia del leone e della gazzella: c’è solo da correre.

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