Un Articolo su Repubblica
Un Articolo su Repubblica
L'incubo di una malattia che ci tolse l'innocenza
NATALIA ASPESI
Ce li ricordiamo tutti gli amici che nei primi anni Ottanta si ammalavano, il loro sguardo vuoto e disperato, la discesa inarrestabile e violenta lungo il precipizio di un male sconosciuto e perciò spaventoso: colpiva solo loro, i ragazzi più belli, con le professioni più prestigiose, sempre in viaggio verso New York, che le ragazze sognavano inutilmente come fidanzati.
Morivano uno a uno, di un virus che pareva colpire soltanto loro e che subito divenne il cancro dei gay, la peste omosessuale, la punizione divina per il peccato abominevole. Una scelta sessuale che raramente si era dichiarata come gesto libertario e politico, che era stata tranquillamente promiscua, protetta dall'ipocrisia familiare e sociale, divenne un'ignominia, un pericolo pubblico.
Come ai tempi di altre epidemie, la spagnola, la poliomielite, la scienza non sapeva cosa fare: pareva che colpisse soltanto i gay, che si trasmettesse solo per via sessuale tra maschi, si sparsero leggende nere, che poteva contagiare chiunque a ogni contatto, anche solo sedendosi sulla stessa sedia, sfiorando una mano, asciugando una lacrima. I parenti si allontanavano vergognosi e spaventati, gli amici scomparivano, i compagni vivevano nella paura del contagio; gli ospedali rifiutavano gli ammalati, i medici non osavano toccarli.
Ma ci furono pionieri anche in Italia, come Umberto Tirelli che oggi dirige il Dipartimento di Oncologia Medica dell'Istituto Nazionale Tumori di Aviano, che scelsero di dedicarsi a quella che poi venne chiamata Hiv/Aids: una diagnosi di sieropositività allora era una condanna a morte, poi a poco a poco non ci fu grande diva come Elizabeth Taylor che non raccogliesse fondi per la ricerca e i ricoveri, visto che i governi stentavano a farlo.
Da quei primi anni spaventosi, mentre anche le donne si infettavano e morivano, e si infettavano e morivano quelli che facevano uso promiscuo di siringhe per iniettarsi in vena la droga, si ricordano gli orrori degli anatemi religiosi e politici, il terrore del sangue, la solitudine e l'isolamento di chi si ammalava.
Adesso, dall'annuale conferenza mondiale sull'Aids a Melbourne, annunciano che questa trentennale tragica epidemia che sta ancora uccidendo milioni di persone (in certe regioni africane soprattutto giovani donne), forse, FORSE, tra 15 anni sarà debellata nel mondo. Notizia meravigliosa per tutti, come quando si scoprì la penicillina che non cancellò un'altra malattia sessuale, la sifilide, ma impedì di morirne.
Ma allora si potranno bruciare i preservativi, e magari far coppia gay ma non così fedele, (e si sa che le coppie etero non lo sono gran che) e addirittura fare a meno di sposarsi? Si potrà tornare all'amata promiscuità, ad essere se stessi, a divertirsi con un po' più agio e sicurezza, come nei nostri anni Cinquanta, quando l'Aids non esisteva (vedi il libro Quando eravamo omosessuali di Andra Pini)? Secondo il professor Tirelli, in Italia e comunque in Occidente, non è che i costumi gay (e non solo) siano molto cambiati da allora, anche se si marcia per ottenerne gli ovvi diritti civili; si continua a contrarre l'HIV come trent'anni fa (per via sessuale, scomparso quello da siringa infetta) ma l'uso dei farmaci mai innocui (manca ancora un vaccino) impedisce che si sviluppi, perciò sono di molto diminuiti i morti, ma non il contagio. Solo che si sa di potersi curare, quindi non se ne parla più.
La bella notizia vera quindi non è che nel 2030 scomparirà l'Aids, ma che finalmente le Nazioni Unite troveranno il denaro per curare i milioni di infetti dei paesi poveri, impedendone la morte e rallentandone la diffusione.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... ref=search
NATALIA ASPESI
Ce li ricordiamo tutti gli amici che nei primi anni Ottanta si ammalavano, il loro sguardo vuoto e disperato, la discesa inarrestabile e violenta lungo il precipizio di un male sconosciuto e perciò spaventoso: colpiva solo loro, i ragazzi più belli, con le professioni più prestigiose, sempre in viaggio verso New York, che le ragazze sognavano inutilmente come fidanzati.
Morivano uno a uno, di un virus che pareva colpire soltanto loro e che subito divenne il cancro dei gay, la peste omosessuale, la punizione divina per il peccato abominevole. Una scelta sessuale che raramente si era dichiarata come gesto libertario e politico, che era stata tranquillamente promiscua, protetta dall'ipocrisia familiare e sociale, divenne un'ignominia, un pericolo pubblico.
Come ai tempi di altre epidemie, la spagnola, la poliomielite, la scienza non sapeva cosa fare: pareva che colpisse soltanto i gay, che si trasmettesse solo per via sessuale tra maschi, si sparsero leggende nere, che poteva contagiare chiunque a ogni contatto, anche solo sedendosi sulla stessa sedia, sfiorando una mano, asciugando una lacrima. I parenti si allontanavano vergognosi e spaventati, gli amici scomparivano, i compagni vivevano nella paura del contagio; gli ospedali rifiutavano gli ammalati, i medici non osavano toccarli.
Ma ci furono pionieri anche in Italia, come Umberto Tirelli che oggi dirige il Dipartimento di Oncologia Medica dell'Istituto Nazionale Tumori di Aviano, che scelsero di dedicarsi a quella che poi venne chiamata Hiv/Aids: una diagnosi di sieropositività allora era una condanna a morte, poi a poco a poco non ci fu grande diva come Elizabeth Taylor che non raccogliesse fondi per la ricerca e i ricoveri, visto che i governi stentavano a farlo.
Da quei primi anni spaventosi, mentre anche le donne si infettavano e morivano, e si infettavano e morivano quelli che facevano uso promiscuo di siringhe per iniettarsi in vena la droga, si ricordano gli orrori degli anatemi religiosi e politici, il terrore del sangue, la solitudine e l'isolamento di chi si ammalava.
Adesso, dall'annuale conferenza mondiale sull'Aids a Melbourne, annunciano che questa trentennale tragica epidemia che sta ancora uccidendo milioni di persone (in certe regioni africane soprattutto giovani donne), forse, FORSE, tra 15 anni sarà debellata nel mondo. Notizia meravigliosa per tutti, come quando si scoprì la penicillina che non cancellò un'altra malattia sessuale, la sifilide, ma impedì di morirne.
Ma allora si potranno bruciare i preservativi, e magari far coppia gay ma non così fedele, (e si sa che le coppie etero non lo sono gran che) e addirittura fare a meno di sposarsi? Si potrà tornare all'amata promiscuità, ad essere se stessi, a divertirsi con un po' più agio e sicurezza, come nei nostri anni Cinquanta, quando l'Aids non esisteva (vedi il libro Quando eravamo omosessuali di Andra Pini)? Secondo il professor Tirelli, in Italia e comunque in Occidente, non è che i costumi gay (e non solo) siano molto cambiati da allora, anche se si marcia per ottenerne gli ovvi diritti civili; si continua a contrarre l'HIV come trent'anni fa (per via sessuale, scomparso quello da siringa infetta) ma l'uso dei farmaci mai innocui (manca ancora un vaccino) impedisce che si sviluppi, perciò sono di molto diminuiti i morti, ma non il contagio. Solo che si sa di potersi curare, quindi non se ne parla più.
La bella notizia vera quindi non è che nel 2030 scomparirà l'Aids, ma che finalmente le Nazioni Unite troveranno il denaro per curare i milioni di infetti dei paesi poveri, impedendone la morte e rallentandone la diffusione.
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Re: Un Articolo su Repubblica
" [...] i medici non osavano toccarli.
[...]"
ricordo sempre, ed ogni volta è un pugno allo stomaco, quando fui ricoverata al gemelli di Roma per una tiroidectomia. l'anestesia mi procurò un'eczema e gli infermieri mi tiravano la pomata dalla porta della stanza. Stanza singola naturalmente, perché dopo avermi messo in una stanza normale, leggendo la cartella, si accorsero che ero s+ e mi fecero fare i bagagli spostandosi nella stanza singola riservata ai pazienti a pagamento, mi ritirano i piatti e le posate che davano agli altri e mi fornirono di accessori usa e getta, mi invitarono tre volte l'operazione perché "capisce lei deve essere ultima" è quando mi dimisero, per via dell'eczema vollero il consulto dell'infettivologo. l'attesa mi fecero uscire dalla stanza per aspettare in corridoio e tirano fuori letto armadio e comodino iniziando a dusunfettarli platealmente nel corridoio non la gente che mi chiedeva cosa fosse successo.... raccontai tutto alla Lila per avere il loro supporto nel fare una denuncia al tribunale del malato e mi dissero che "non conviene sollevare un polverone".
ecco tutto questo per dire che di strada da fare ne doveva fare tanta il mondo, ma anche noi. e anche adesso forse e purtroppo è ancora così...
[...]"
ricordo sempre, ed ogni volta è un pugno allo stomaco, quando fui ricoverata al gemelli di Roma per una tiroidectomia. l'anestesia mi procurò un'eczema e gli infermieri mi tiravano la pomata dalla porta della stanza. Stanza singola naturalmente, perché dopo avermi messo in una stanza normale, leggendo la cartella, si accorsero che ero s+ e mi fecero fare i bagagli spostandosi nella stanza singola riservata ai pazienti a pagamento, mi ritirano i piatti e le posate che davano agli altri e mi fornirono di accessori usa e getta, mi invitarono tre volte l'operazione perché "capisce lei deve essere ultima" è quando mi dimisero, per via dell'eczema vollero il consulto dell'infettivologo. l'attesa mi fecero uscire dalla stanza per aspettare in corridoio e tirano fuori letto armadio e comodino iniziando a dusunfettarli platealmente nel corridoio non la gente che mi chiedeva cosa fosse successo.... raccontai tutto alla Lila per avere il loro supporto nel fare una denuncia al tribunale del malato e mi dissero che "non conviene sollevare un polverone".
ecco tutto questo per dire che di strada da fare ne doveva fare tanta il mondo, ma anche noi. e anche adesso forse e purtroppo è ancora così...
Re: Un Articolo su Repubblica
Le mie avventure.
Al momento del parto fui lasciata da sola tutta la notte, hai voglia a chiamare, tutti sordi quella notte lì finché un salutare cambio di turno mise fine a un travaglio che poteva essere molto più breve.
In camera da due letti, da sola, nel pomeriggio vidi arrivare una donna che, dopo i primi convenevoli mi chiese: "Positiva anche lei?"
Risposi di sì, seguirono cinque minuti di tranquillità e poi il caos: si erano accorti tardi che io ero HIV e lei HCV.
Alla dimissione rivoltarono la stanza come un calzino e anche il condizionatore, fino a quel momento decorato da ricami di laniccia, tornò ad antichi splendori. Questo nel 1987.
Nel civilissimo e moderno 2007 mio marito si frattura il femore. Dopo quattro giorni di pronto soccorso nell'ospedale locale, per pura fortuna (leggasi conoscenza) viene trasferito in ortopedia a Roma. Nessun problema da parte dei medici anzi, ottima competenza e disponibilità, il vuoto da parte infermieristica.
Una settimana sul lungotevere, dalla mattina alla sera, in attesa dell'entrata per lavarlo e farlo mangiare, nessun infermiere l'aiuta e anzi, trascurano anche gli altri pazienti nella stessa stanza.
Tornano dalle ferie due infermiere che capiscono la situazione e si sistemano i turni in modo che ci sia sempre almeno una delle due in reparto. Non finirò mai di ringraziarle per questo ma a dir la verità non credevo che ancora ci fossero discutibili <edit automatico> simili in giro per le corsie.
La conferma arriva appena trasferito nel pomposo centro di riabilitazione. Mia presenza continua, guai a mancare. Riabilitazione di quindici giorni a fare su e giù per un piano di scale, di palestra e piscina neanche l'ombra. Per lui, almeno.
Però però. L'ospedalino di provincia, quello vicino a casa, ha avuto più volte a che fare con lui: varie altre fratture e una broncopolmonite coi fiocchi: ricoverato e trattato benissimo sebbene in mancanza di reparto infettive.
Difatti lo vogliono chiudere.
Al momento del parto fui lasciata da sola tutta la notte, hai voglia a chiamare, tutti sordi quella notte lì finché un salutare cambio di turno mise fine a un travaglio che poteva essere molto più breve.
In camera da due letti, da sola, nel pomeriggio vidi arrivare una donna che, dopo i primi convenevoli mi chiese: "Positiva anche lei?"
Risposi di sì, seguirono cinque minuti di tranquillità e poi il caos: si erano accorti tardi che io ero HIV e lei HCV.
Alla dimissione rivoltarono la stanza come un calzino e anche il condizionatore, fino a quel momento decorato da ricami di laniccia, tornò ad antichi splendori. Questo nel 1987.
Nel civilissimo e moderno 2007 mio marito si frattura il femore. Dopo quattro giorni di pronto soccorso nell'ospedale locale, per pura fortuna (leggasi conoscenza) viene trasferito in ortopedia a Roma. Nessun problema da parte dei medici anzi, ottima competenza e disponibilità, il vuoto da parte infermieristica.
Una settimana sul lungotevere, dalla mattina alla sera, in attesa dell'entrata per lavarlo e farlo mangiare, nessun infermiere l'aiuta e anzi, trascurano anche gli altri pazienti nella stessa stanza.
Tornano dalle ferie due infermiere che capiscono la situazione e si sistemano i turni in modo che ci sia sempre almeno una delle due in reparto. Non finirò mai di ringraziarle per questo ma a dir la verità non credevo che ancora ci fossero discutibili <edit automatico> simili in giro per le corsie.
La conferma arriva appena trasferito nel pomposo centro di riabilitazione. Mia presenza continua, guai a mancare. Riabilitazione di quindici giorni a fare su e giù per un piano di scale, di palestra e piscina neanche l'ombra. Per lui, almeno.
Però però. L'ospedalino di provincia, quello vicino a casa, ha avuto più volte a che fare con lui: varie altre fratture e una broncopolmonite coi fiocchi: ricoverato e trattato benissimo sebbene in mancanza di reparto infettive.
Difatti lo vogliono chiudere.
Siamo secchi, ci sentiamo stracci.
Re: Un Articolo su Repubblica
mio dio raven, è davvero incredibile quello che ti è successo, mi dispiace tanto!raven ha scritto:" [...] i medici non osavano toccarli.
[...]"
ricordo sempre, ed ogni volta è un pugno allo stomaco, quando fui ricoverata al gemelli di Roma per una tiroidectomia. l'anestesia mi procurò un'eczema e gli infermieri mi tiravano la pomata dalla porta della stanza. Stanza singola naturalmente, perché dopo avermi messo in una stanza normale, leggendo la cartella, si accorsero che ero s+ e mi fecero fare i bagagli spostandosi nella stanza singola riservata ai pazienti a pagamento, mi ritirano i piatti e le posate che davano agli altri e mi fornirono di accessori usa e getta, mi invitarono tre volte l'operazione perché "capisce lei deve essere ultima" è quando mi dimisero, per via dell'eczema vollero il consulto dell'infettivologo. l'attesa mi fecero uscire dalla stanza per aspettare in corridoio e tirano fuori letto armadio e comodino iniziando a dusunfettarli platealmente nel corridoio non la gente che mi chiedeva cosa fosse successo.... raccontai tutto alla Lila per avere il loro supporto nel fare una denuncia al tribunale del malato e mi dissero che "non conviene sollevare un polverone".
ecco tutto questo per dire che di strada da fare ne doveva fare tanta il mondo, ma anche noi. e anche adesso forse e purtroppo è ancora così...
E ancor più triste è che chi avrebbe potuto aiutarti a far valere la tua dignità di essere umano ti abbia voltato le spalle. non si può sentire, davvero.
Re: Un Articolo su Repubblica
Raven questo qnt tempo fa?
È vero che le cose sono sicuramente diverse oggi ma è quando leggo queste cose che mi domando se dire del mio stato a un chirurgo in caso di operazione chirurgica...L 'idea che qualcosa possa andare storta x qualche loro fobia mi fa rabbrividire
È vero che le cose sono sicuramente diverse oggi ma è quando leggo queste cose che mi domando se dire del mio stato a un chirurgo in caso di operazione chirurgica...L 'idea che qualcosa possa andare storta x qualche loro fobia mi fa rabbrividire
Re: Un Articolo su Repubblica
pesante anche le avventure di tedina. credo che tutti più o meno, una volta dichiarati, abbiamo avuto a che fare con episodi sgradevoli. il brutto nel mio caso è stato l'atteggiamento della Lila, tant'è vero che quando, otto anni fa, sempre per la sieropositiva, mi tolsero l'idoneità lavorativa per educatore nel centro di riabilitazione in cui lavoravo da più di dieci anni, mi guardai bene di chiedere aiuto alla Lila . quando fui un grado di reagire e combattere mi rivolsi all'ufficio nuovi diritti della CGIL, e grazie ai consigli di Salvatore Marra, dopo una bella battaglia riuscii a riavere l'idoneità (questo successe due anni fa). i delegati aziendali CGIL invece non mi aiutano per niente, anzi. e anche qui ebbi modo di scoprire che tra progresso scientifico e progresso culturale c'è una distanza infinita e che l'hiv prima ancora di avere il tempo per diventare malattia fisica diventa malattia sociale...
Ultima modifica di raven il sabato 26 luglio 2014, 23:10, modificato 1 volta in totale.
Re: Un Articolo su Repubblica
@alfaa (scusa non ti avevo letto) : la mia disavventura nella mala sanità risale a 15 anni fa, mentre quella lavorativa risale a 8 anni fa ma ho avuto la forza di reagire e di concluderla solo due anni fa
Re: Un Articolo su Repubblica
ah... 15 anni fa, 1999 dunque. Nella mia testa avevo idealizzato tipo un 1985. No comment!raven ha scritto:@alfaa (scusa non ti avevo letto) : la mia disavventura nella mala sanità risale a 15 anni fa, mentre quella lavorativa risale a 8 anni fa ma ho avuto la forza di reagire e di concluderla solo due anni fa
Ti abbraccio forte raven e spero che cose del genere non capitino più a nessuno!
Re: Un Articolo su Repubblica
smettila, smettila, smettila di allevare i tuoi mostri; cosa ci guadagni? nulla, ti fai solo del male.alfaa ha scritto:Raven questo qnt tempo fa?
È vero che le cose sono sicuramente diverse oggi ma è quando leggo queste cose che mi domando se dire del mio stato a un chirurgo in caso di operazione chirurgica...L 'idea che qualcosa possa andare storta x qualche loro fobia mi fa rabbrividire
nel caso concreto, sono domande neppure da porsi: se finisci in ospedale, e magari sei in terapia, che fai, prendi farmaci che non si sa come interagiranno con la HAART? oppure interrompi la terapia "per non farti scoprire"? pura follia.
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Re: Un Articolo su Repubblica
Non sono cosi ingenuo... Mi riferisco al mio caso essendomi informato dei pochi farmaci che mi daranno...
Uffa forse ti potranno sembrare paranoie pero penso che il chirurgo prima di essere un professionista sia un essere umano
Uffa forse ti potranno sembrare paranoie pero penso che il chirurgo prima di essere un professionista sia un essere umano