Non mi dilungherò sui motivi che, anche sull’onda di una serie di casualità per le quali non posso che ritenermi fortunato, mi hanno spinto a fare il test quel giorno, e che mi hanno portato a ricevere, quando il pomeriggio ormai volgeva al termine, una telefonata che mi avrebbe cambiato la vita. Perché anche se i medici non si sbottonano per comprensibili ragioni e mantengono un invidiabile aplomb, chi riceve quella telefonata sa bene cos’è che non può essere detto e perché t’invitano in realtà a presentarti in ospedale per un “ripetere” un esame.
Col senno di poi, avrei potuto insistere e chiedere qualche delucidazione, ma in fondo cosa sarebbe cambiato? Poco o niente. Avrei potuto solo anticipare di qualche ora la mia sofferenza per il responso definitivo, anziché trascinare l’attesa per altri due giorni e due notti trascorsi senza letteralmente riuscire a pensare ad altro…
Molte persone sieropositive sanno bene come scorrono sulla propria pelle quei giorni e non voglio rispolverare sensazioni negative che per fortuna appartengono ormai al mio vissuto e non hanno più alcuna ripercussione sul presente. Ma è passato un anno da quella giornata interminabile e qualcosa di più vorrei riuscire a condividere al di là delle mie solite rispostine a un thread o a un altro, perché comunque ciò che mi è capitato possa essere davvero uno spunto di riflessione per altre persone.
Questo è quello che ho imparato in questo mio “primo” anno. (Cavolo, mi sembra impossibile che sia trascorso già un anno da quel giorno, ma tant'è. E mi rendo conto adesso del fatto che sono adesso la persona che non ero e che avrei invece potuto essere anche senza scoprire di avere in corpo questo virus, che oggi mi accompagna nascosto chissà dove come un ago in un pagliaio.)
1) Ancor prima di dirlo al mio compagno, mi sono subito confidato con due persone di cui mi fidavo ciecamente, e che hanno saputo darmi rassicurazioni e qualche buon consiglio. Nella disperazione, è stato un barlume di speranza, ma ero consapevole del fatto che se queste due persone non ci fossero state, avrei dovuto cavarmela da solo. Curiosamente, quelle persone con cui mi sono confidato non erano fisicamente vicine, ma sono state in grado di darmi un sostegno inimmaginabile. Tra gli amici che frequento abitualmente, infatti, non sono stato finora in grado di dirlo a nessuno, vuoi perché non credo che ne trarrei alcun beneficio, vuoi perché forse li considero ancorati ad una considerazione dell'HIV da "alone viola". Al contrario, parlare della mia sieropositività con persone che sono nella mia stessa condizione, o di cui posso davvero fidarmi, è per me solo routine.
2) Credo che confrontarsi con altre persone sieropositive possa essere solo uno stimolo e un aiuto. E anche se non si è in grado di parlarne dal vivo con qualcuno, penso che possa essere utile farlo almeno in forma anonima… Scrivere, ricevere consigli e suggerimenti, mi ha fatto sentire meno solo, e di questo non potrò che essere grato a chi mi è stato vicino, anche solo virtualmente e anche solo per pochi minuti. E in questo anno ho sempre cercato di fare il possibile per ricambiare il favore. Ricevere un ringraziamento per aver speso dieci minuti del mio tempo mi gratifica molto più di altre cose.
3) Sono un masochista, o meglio ho scoperto di esserlo: così in quei giorni mi sono letto centinaia e centinaia di documenti e pagine web su HIV e AIDS. E la lezione che ho imparato è che è bene fidarsi solo ed esclusivamente di fonti di notizie affidabili. Sono ancor più masochista di quanto si possa immaginare, perché, sempre in quei giorni mi sono guardato una valanga di film a tema, da Philadelphia a Dallas Buyers’ Club. Consiglio di affrontare questa prova solo se si vuole un approccio “shock-and-kill”. Traducendo liberamente: ho voluto subito toccare il fondo per poi rialzarmi. E' vero, ho avuto anche la fortuna di avere un compagno che mi ha dato una mano, ma il grosso l'ho fatto - e ho voluto farlo - da solo.
4) Dopo essermi imbattuto nelle teorie negazioniste, ci ho messo davvero poco tempo per capire quanto farlocche esse fossero. Qualsiasi persona con un approccio razionale alla vita lo capirebbe. Purtroppo non tutti siamo fatti nello stesso modo. Per questo credo che sia sempre bene informarsi in dettaglio su quel che riguarda direttamente la nostra situazione e la nostra salute, e chiedere, chiedere, chiedere… fino a quando non siamo saturi di quelle informazioni di cui abbiamo bisogno.
5) Chiedere un secondo parere non è mai sbagliato, così come non lo è confrontarsi su certi temi più di carattere medico sul forum. Bisogna tenere presente però che nella maggior parte dei casi l’infettivologo è interessato al nostro benessere, non al contrario, e che spesso a noi possono sfuggire dettagli che invece sono importanti, ad esempio, nella scelta della terapia. Lo dico perché io per primo ho messo in dubbio, tra me e me, la validità delle sue scelte, finendo sempre - ovviamente dopo essermi logorato l’anima e aver passato ore ed ore a studiare documenti, report, etc. - per dovermi ricredere. Credo che sia importante allo stesso tempo avere fiducia nel medico che ci segue e essere anche un paziente propositivo, attento e bene informato.
6) Siamo quasi nel 2015 ed ormai l’HIV non dovrebbe più spaventare come un tempo. Al contrario, dovrebbe essere più semplice parlarne ed educare le nuove generazioni. E invece questo virus continua ad essere circondato da un alone di “impermeabilità” che sembra colpire tutta la società, con riflessi negativi in termini di ignoranza, stigma, e via dicendo. Ed è anche vero che se solo persone davvero folli potrebbero desiderare di contrarre volontariamente il virus, per contro, i farmaci oggi disponibili consentono di avere una vita quasi normale a chi invece questo virus lo avrebbe scansato volentieri. Vorrei poter spiegare in dettaglio quanto io ami fare sport e quanto il fatto di aver contratto il virus non abbia alla fine impattato in modo negativo su tutta una serie di aspetti della mia vita, incluse appunto le prestazioni sportive. Per il resto si può solo migliorare. E io credo che basti solo volerlo.
7) In questi mesi ho avvertito un bisogno crescente di serenità: nella nostra epoca questo è un vero e proprio lusso che non tutti possono permettersi. Però serenità non significa necessariamente non avere alcuna fonte di stress, o passare le proprie giornate ad oziare senza obiettivi. Per me serenità è riuscire a vivere una vita senza conflitti con le persone che amo, a non essere insoddisfatto del mio lavoro (nella consapevolezza del fatto che in questo periodo devo ritenermi già fortunato ad averne uno), ad eliminare quante più fonti di “negatività” possibile, a pormi comunque degli obiettivi per migliorare me stesso sotto svariati punti di vista: nessuno è perfetto, ma ognuno di noi può provare a smussare qualche difetto del proprio carattere.
Vorrei concludere questo mio interminabile monologo semplicemente ricordando e ringraziando, anche se l'ho già fatto tutte le persone che ho incontrato - soprattutto virtualmente, ma non in via esclusiva - in questo primo anno di nuovo cammino. Non posso infine non citare esplicitamente Dora per la passione che mette in quello che fa e con cui è riuscita a contagiare (mi si passi il termine, sono un burlone a volte
