[Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e altro

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

[Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e altro

Messaggio da Dora » mercoledì 7 settembre 2011, 0:00

Questo thread è la continuazione di Domande al Prof. Lambertenghi sul paziente tedesco.
Mi pare utile mantenere unite queste “conversazioni con l’ematologo”, non solo perché stanno avendo uno sviluppo che ritengo coerente, ma anche perché le questioni connesse al trapianto di staminali e/o linfociti T modificati sono sempre all’ordine del giorno non tanto e non solo per curare malattie oncoematologiche, quanto soprattutto per tentare di curare l’infezione da HIV.

La settimana prossima incontrerò il Professore per farmi spiegare il lavoro di Carl June pubblicato lo scorso agosto sul New England Journal of Medicine, in cui si racconta di un grande successo della terapia genica contro la leucemia linfatica cronica. È un passo importante, e credo lo sia ancor di più perché chi l’ha fatto è la stessa persona che sta sperimentando anche i CD4 resi CCR5 negativi mediante le nucleasi a dita di zinco di Sangamo (e che fra meno di due settimane presenterà all’ICAAC di Chicago dei dati nuovi su questa sperimentazione – cfr. [STUDI] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN II).



1 ottobre 2009

Il Professor Giorgio Lambertenghi Deliliers è Direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia e del Centro Trapianti di Midollo dell’Ospedale Maggiore di Milano. Ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda sulla vicenda del “paziente tedesco” che, essendo stato trattato con un trapianto di cellule staminali a causa di una grave forma di leucemia mieloide acuta, costituisce l’unico caso accertato di eradicazione del virus HIV (cfr. [SUCCESSI] il paziente tedesco e [SUCCESSI] Il paziente tedesco II). Lo ringraziamo per la disponibilità e per tutto il tempo che ci ha dedicato.


In quali alterazioni del sistema immunitario l'azione delle leucemie e quella dell'HIV sono sovrapponibili? O invece ci sono sostanziali differenze - sempre in termini di azione sul sistema immunitario - fra leucemie e malattia da HIV?

Le alterazioni sono le stesse: come il virus dell’HIV, la cellula leucemica, proliferando, elimina il sistema immunocompetente. La cellula staminale leucemica produce solo cellule leucemiche. Di qui tutte le infezioni che affliggono i malati di leucemia.
La terapia contro la leucemia, quando ha successo, distrugge le cellule leucemiche e consente il riemergere di staminali normali, che ricreano un’emopoiesi normale consentendo la remissione della malattia.


La figura 3 dell'articolo di Hütter illustra tutti gli interventi chemioterapici, radioterapici e antirigetto cui è stato sottoposto il "paziente tedesco":
1."Condizionamento" pre-trapianto:
- antithymocyte globulin (ATG)
- chemotherapy (Cx) (chemioterapia standard per le leucemie mieloidi acute)
- total-body irradiation (TBI);
2. Trapianto con staminali difettive (da donatore omozigote per CCR5-delta32);
3. Terapie immunosoppressive post-trapianto:
- cyclosporine (Cs)
- mycophenolate mofetil (MMF).


Immagine

Ci può spiegare che cosa è accaduto alle cellule infettate da HIV? È possibile attribuire a uno o più di tali passi, e a quali, fenomeni come:
- la morte di cellule infettate da HIV che "non abitano" nel sangue, come macrofagi e linfociti CD4 che risiedono nei tessuti intestinali, oppure microglia e astrociti che stanno nel cervello;
- la presenza, dopo il trapianto, di DNA provirale, e quindi di cellule infette, che sono però poi progressivamente diminuite fino a scomparire dopo circa 3 mesi;
- il fatto che nella mucosa intestinale del paziente siano rimasti, per più di cinque mesi dopo il trapianto, dei "vecchi" macrofagi CCR5+ (poi scomparsi dopo il raggiungimento del chimerismo completo) e che, pur in assenza di HAART, non si sia verificata una ripresa di replicazione virale e una nuova creazione di reservoir?


Nel caso del “paziente tedesco”, è stato sostituito completamente il sistema immunitario del ricevente mediante un trapianto con staminali difettive, cellule in cui il virus non può entrare perché sono prive del recettore che costituisce la porta di accesso. Sono state infuse nel paziente staminali del donatore sano; queste staminali emopoietiche danno le diverse linee: i granulociti, le piastrine, i globuli rossi e i linfociti. Come capita nei trapianti a pazienti non HIV positivi, si è quindi creato un sistema immunitario nuovo, che però in questo caso è anche resistente, refrattario all’infezione. Pertanto il vantaggio teorico (teorico perché è tutto da dimostrare che il ricevente sia in grado di sopravvivere alla leucemia) è che questo paziente ha un sistema immunitario che è immune dal virus. Per cui, anche se ha il virus annidato nell’intestino o nel cervello, quando il virus esce dai reservoir non ha modo di penetrare nei CD4. Il virus, entrando nelle cellule del midollo, distrugge il sistema immunitario e il paziente diventa immunodepresso, ma se il sistema immunitario è immune, le cellule infettate che si trovano nella membrana intestinale, nel cervello, etc. non hanno modo di espandersi oltre una certa soglia e poi, fisiologicamente, muoiono. Inoltre, c’è un sistema immunocompetente che le combatte e le distrugge. Il grande problema dei reservoir dove la HAART non riesce ad arrivare, in un certo senso viene meno. I trapianti di midollo in pazienti affetti solo da HIV e non anche da leucemia in passato erano stati fatti proprio con l’obiettivo di sostituire un sistema immunitario compromesso con uno immunocompetente. Ma il virus riusciva comunque a penetrare nelle cellule; invece, in questo caso il razionale è che il virus non riesce più a penetrare nei CD4. Anche se rimane del virus nell’organismo, da un lato questo non ha modo di aggirare il sistema immunocompetente, dall’altro il sistema è forte e può combattere l’infezione virale.
Rimane tuttavia la questione della leucemia: anche se sono passati due anni e mezzo, c’è ancora il forte rischio di recidiva.
Nel caso di questo paziente, infatti, se dopo il primo trapianto non è andato in remissione completa e la leucemia ha recidivato, significa che non ha avuto quella Graft vs leukemia che è la reazione dell’organismo che consente di guarire dalla leucemia e ripara dall’eventualità di recidive. L’avere fatto un secondo trapianto con lo stesso donatore, lo mette a forte rischio di recidiva: non lo si può considerare in remissione completa e definitiva per almeno cinque o sei anni dopo il trapianto.

Nel compendio sui 14 anni di trapianti di midollo su pazienti HIV+ in era pre-HAART fornito da Huzicka, viene suggerita l'ipotesi che "un effetto non specifico di Graft vs Host [Malattia di rigetto contro l’ospite] porti alla distruzione delle cellule ematopoietiche e linfoidi residue, che possono ospitare il virus; [e che] questo possa essere importante soprattutto per la distruzione dei macrofagi infetti" (p.254). Quanto può aver giocato a favore dell’eradicazione del virus il leggero episodio di Graft versus Host Disease che si è verificato dopo il primo trapianto (dal momento che anche quel primo trapianto sembrava avere avuto successo nei confronti dell’eliminazione del virus)?

Un episodio modesto di GVHD potrebbe avere favorito l’eradicazione del virus, perché la reazione si verifica contro tutte le cellule, che siano normali o leucemiche, che siano o meno infette. Inoltre serve anche come Graft versus Leukemia: combatte sia le cellule leucemiche, sia le cellule infettate dal virus. In sostanza, avere un po’ di Graft fa bene e, se modesto, è un male che si risolve in un bene. Altrimenti crea problemi clinici importanti. In sostanza, si tratta di un meccanismo che potrebbe essere favorevole dal punto di vista dell’eradicazione.

Se nel periodo immediatamente successivo a un trapianto di midollo le peggiori evenienze sono la Graft versus Host Disease severa e le infezioni, una volta che il sistema immunitario del donatore ha sostituito con successo quello del ricevente, è lecito attendersi - oltre alla remissione totale della leucemia - anche una totale remissione dello stato di infiammazione cronica e iperattivazione immunitaria? Per esempio, che cosa ci si può attendere che accada al rapporto CD4/CD8 e ad altri indicatori di "impazzimento immunitario"?

In teoria sì, ci si può aspettare una remissione dello stato infiammatorio: il rapporto CD4/CD8 dovrebbe normalizzarsi, perché il virus non ha più modo di distruggere i CD4, che sono nati da una cellula staminale nuova. I vari indicatori di “impazzimento immunitario” dovrebbero normalizzarsi tutti. Il paziente non dovrebbe più avere infezioni, i valori dovrebbero risalire tutti, non dovrebbe più presentare viremia rilevabile. Così, se il virus esce dai reservoir, viene distrutto dal sistema immunocompetente.

Una persona che subisce un trapianto di midollo allogenico perde tutte le sue memorie immunitarie (cellulari e anticorpali, derivanti da vaccinazioni piuttosto che da infezioni che ha avuto in passato)? E parallelamente acquista tutte quelle del donatore?

Perde le sue memorie immunitarie, ma non tutte. In alcuni casi, per alcune infezioni si consiglia al soggetto trapiantato di rifare determinate vaccinazioni. Per esempio ora il Centro Nazionale Trapianti ha stabilito che i pazienti trapiantati debbano fare, dopo 5 o 6 mesi dal trapianto, la vaccinazione contro l’influenza A/H1N1. Nei bambini, alcune vaccinazioni devono essere rifatte. Nel caso di adulti, in genere non vengono rifatte sia perché il sistema immunocompetente del donatore dovrebbe aiutarli a superare eventuali infezioni, sia perché il trapiantato, soprattutto nel primo anno dopo il trapianto, è in una situazione analoga a quella di un neonato: il sistema immunitario dopo un trapianto ci mette circa due anni a ricostruirsi completamente, soprattutto dal punto di vista cellulare. Se si fanno delle vaccinazioni, il paziente rischia di sviluppare infezioni senza avere una protezione immunologica adeguata. Ha senso invece rifare vaccinazioni contro batteri capsulati come lo pneumococco.
Questo non è però uno dei problemi più seri che devono affrontare i pazienti trapiantati: la protezione passata viene annullata dal trapianto, poi in due anni si riesce a ricostruirla.
Il problema possono essere piuttosto le infezioni tardive, per esempio la varicella o l’Herpes zoster, quando il sistema non si è ancora sviluppato completamente.

E' ipotizzabile che l'eradicazione del virus nel "paziente tedesco" sia stata resa possibile anche grazie ad una "fortuita" e particolare distribuzione o compartimentazione dei reservoir del virus nel suo organismo, tale che - a parità di fattori - in un altro paziente, con le medesime caratteristiche ma con diversa localizzazione dei reservoir, l'eradicazione non sarebbe invece potuta avvenire?

Non dovrebbe trattarsi di una questione rilevante, proprio per quanto detto prima sull’immunocompetenza del sistema immunitario nuovo.

Quale spiegazione si può avanzare dell’assenza dell’HIV DNA nel 15% circa dei macrofagi, riscontrati nella mucosa rettale tramite la biopsia del 159° giorno, ed esprimenti ancora il corecettore CCR5? Sono cellule “long-lasting”, che non sono ancora state replicate dal nuovo sistema immunitario, ma dovrebbero anche essere dei reservoir del virus (visto che i macrofagi sono una delle principali fonti di virus quando la terapia antiretrovirale fallisce).

Quello che conta è che il DNA virale non c’era. La stimolazione antigenica HIV non è presente dopo il trapianto: è scomparso il DNA virale, quindi è scomparsa la stimolazione antigenica. La scomparsa delle cellule T non è associata con il deficit della ricostituzione immunologica (vale anche per altri virus come Epstein Barr, citomegalovirus nel polmone, etc.). L’assenza della viremia nel paziente indica probabilmente la rimozione dello stimolo immunologico, quindi l’avvenuta distruzione del virus replicante.

La situazione riscontrata nella mucosa rettale del paziente può essere la stessa anche in altri distretti, in particolare nel sistema nervoso centrale?

Sì. Il razionale di tutto questo è che si ricrea un sistema immunocompetente che funziona e che non è capace di rispondere allo stimolo antigenico HIV, che per altro non esiste qui, perché abbiamo visto che è scomparso, dal momento che il virus non c’è più. È stato immesso un sistema immunocompetente senza il recettore per il virus. Già prima del trapianto, grazie ai farmaci antiretrovirali la viremia era non rilevabile, ora anche il virus eventualmente presente nei reservoir non ha modo di propagarsi perché viene distrutto da un sistema immunocompetente rinnovato (la Graft può favorire ulteriormente il successo, perché i linfociti T del donatore combattono sia le cellule leucemiche sia quelle infette).

Pochi giorni fa, sul sito TheBody.com è uscita un’intervista al Dr. Jeffrey Laurence sull’attuale situazione del “paziente tedesco”. Il Dr. Laurence sostiene di essere in stretto contatto con il Prof. Hütter e che il paziente, a seguito del trapianto di midollo, ha presentato dei mental status changes che hanno richiesto non solo una biopsia al cervello, ma anche una prolungata permanenza (per parecchi mesi) in una struttura di riabilitazione. Che cosa ritiene che si possa intendere per questi mental status changes? E in che senso possono essere associati a un trapianto di midollo?

Sono uno degli effetti collaterali del trapianto descritti in letteratura: la terapia di preparazione al trapianto, il “condizionamento” (specialmente la TBI –Total Body Irradiation), soprattutto in pazienti già neurologicamente compromessi, può causare alterazioni del sistema nervoso sia in senso psichico sia in senso neurologico. Si tratta però di solito di effetti tardivi, non precoci.
D’altra parte, anche la ciclosporina che viene data dopo il trapianto in funzione immunosoppressiva è fortemente neurotossica e può dare gravi disturbi sia mentali sia neurologici (i più svariati: dalla polineurite alle paralisi, fino addirittura al coma).

Secondo lei il virus HIV potrebbe infettare cellule progenitrici dei CD4 o addirittura staminali del sangue?

Credo di sì. Infatti i pazienti HIV positivi presentano talvolta come complicanze le leucemie acute, le mielodisplasie, i linfomi, che probabilmente sono dovuti ad un’azione trasformante del virus sulle cellule staminali emopoietiche. Certo, c’è l’immunosoppressione, ma tutti i retrovirus hanno un effetto trasformante, un potere leucemogeno. Solo che, se abbiamo un sistema immunocompetente, se nasce un clone neoplastico questo riesce a contrastarlo. Se invece l’equilibrio immunitario viene meno a causa del virus HIV, che è immunosoppressivo, le cellule neoplastiche o altri virus oncogeni non vengono contrastati: agenti oncogeni provocano delle alterazioni dei cromosomi, delle rotture, delle traslocazioni a livello genico, che fanno sì che i geni immunosoppressori che ci devono difendere dai tumori non funzionino a dovere. Di qui lo sviluppo di tumori del sangue o di altro genere.

Da ematologo, quali domande rivolgerebbe al Dottor Hütter?

È un caso molto interessante sul piano speculativo, ma non si può dire che sul piano clinico si sia scoperto che il trapianto di midollo può davvero essere proposto per l’eradicazione dell’HIV. Tuttavia, è interessante il razionale: il virus non entra nelle cellule perché il sistema immunitario viene sostituito con un sistema nuovo che, non esprimendo il recettore CCR5, gli blocca l’accesso.
È un caso che pone molti interrogativi: qual è la qualità di vita del paziente oggi? È veramente guarito dalla leucemia? Probabilmente è guarito solo dall’HIV e rischia quindi di morire per recidiva leucemica più che per l’HIV.
Quante piastrine ha? Quanti leucociti? È anemizzato? Deve essere trasfuso? Questi sono problemi che riguardano tutti i pazienti leucemici.
In un paziente che ha fatto due trapianti dallo stesso donatore, il rischio della recidiva è elevato in assenza di una Graft vs Host Disease evidente sul piano clinico.
Sarà probabilmente necessario continuare con la ciclosporina: mentre in altri casi in genere un anno di trattamento può essere sufficiente, qui se si sospende la ciclosporina si ha un effetto di Graft vs Leukemia, utile contro la leucemia; se invece si deve continuare con la ciclosporina, qual è la probabilità di recidiva leucemica?
In sostanza, oggi la qualità di vita di questo paziente è accettabile?
Se troviamo dei donatori compatibili senza recettore CCR5, questa può essere una strada per eradicare il virus da pazienti HIV positivi? Ha senso questa strada? È la strada per guarire definitivamente dall’HIV?
Sembra invece più praticabile la via della terapia genica: questo recettore ha un gene; se si trova il gene di quel recettore, allora il discorso sul piano del razionale diventa più semplice.



(Questa intervista esce come lavoro collettivo, perché in molti hanno dedicato tempo e studio a una questione che ci ha appassionati per tutta l’estate, ma un grazie di cuore va a Leon per l’infinita pazienza con cui ha corretto e ricorretto alcune domande.)



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » mercoledì 7 settembre 2011, 0:05

14 aprile 2010

Il Professor Giorgio Lambertenghi Deliliers ha già accettato, qualche mese fa, di rispondere ad alcune domande sulla vicenda del “paziente tedesco” ed ora sono ricorsa a lui per cercare di capire meglio l’articolo di Carter e Collins sul ritrovamento del virus nelle cellule staminali ematopoietiche (HIV-1 infects multipotent progenitor cells causing cell death and establishing latent cellular reservoir, Nature Medicine, published online 7 March 2010; doi:10.1038/nm.2109. Cfr. le nostre discussioni in Virus Aids anche in staminali sangue, Virus Aids anche in staminali sangue - 2a parte e soprattutto K.Collins: Staminali/precursori del sangue come reservoir).


Vorrei anzitutto capire di che cellule stiamo parlando: nel loro lavoro, Carter e Collins dicono di avere usato le cellule CD34+ le definiscono “hematopoietic progenitor cells”, cioè “cellule progenitrici ematopoietiche”, specificando che si tratta di una collezione eterogenea di cellule che includono “progenitrici multipotenti” e “staminali” (“hematopoietic stem cells”). Qual è la differenza – se c’è - fra cellule progenitrici e cellule staminali?

Abbiamo nel midollo cellule multipotenti, che danno luogo a due tipi di staminali, la mieloide e la linfatica, che sono cellule staminali, ma già commissionate. Le CD34+ si trovano sia nelle cellule progenitrici più primitive, sia in quelle a un gradino successivo di differenziazione.

Immagine


Quindi il virus è stato trovato proprio nelle cellule più primitive e totipotenti. Come, d’altra parte, il virus dell’epatite: chi ha un’epatite virale ha spesso delle complicanze ematologiche, perché il virus non va solo nel fegato, ma anche nelle staminali, bloccandone la differenziazione.


Queste HPC multipotenti esprimono sulla superficie il fenotipo lin- CD34+ CD133+ CD38-. Significa che è un fenotipo immaturo? È per questo che –nella Discussione – Carter e Colllins dicono che alcune di queste cellule possono vivere a lungo e, quindi, mantenere l’HIV latente per lunghi periodi di tempo?

Lin- significa che ancora non si sono differenziate, non hanno gli antigeni delle cellule figlie. La staminale multipotente si automantiene, producendo delle staminali multipotenti. Quando avviene lo stimolo, si differenzia. Quindi, per fortuna c’è questo automantenimento, perché consente alle staminali di essere “immortali”, di mantenersi nel tempo e fa sì che non si esaurisca la scorta iniziale. La disgrazia è che il virus va a colpire proprio i progenitori, riuscendo così a propagarsi alle cellule figlie.


Quando nell’articolo si dice che risultano infettate l’1-6% delle cellule CD34+ e che un simile tasso di infezione è stato rilevato nel “più primitivo sottoinsieme” di cellule CD34+ CD133+ CD38-, che cosa si intende?

Il sottoinsieme è quello delle cellule le più primitive possibili, in cui non è espresso neppure il “lineage marker” (lin). Poi il virus si trasmette alle cellule successive nella linea di differenziazione.
Parlare di massimo 6% delle CD34+ è problematico, perché le staminali che vengono prelevate dal midollo con un agoaspirato sono pochissime, magari una sola. Invece, nel midollo rappresentano – per fortuna - una percentuale più elevata, imprecisata, ma comunque inferiore all’1% del totale delle cellule midollari. Queste staminali multipotenti, inoltre, vanno anche nel sangue, tanto che le utilizziamo per i trapianti. Quindi la trasmissione del virus avviene anche tramite le staminali in circolo.
Le staminali che stanno nel midollo si differenziano lì e continuano a trasmettere il virus all’interno del midollo; invece le staminali che circolano nel sangue non si differenziano e hanno – probabilmente – un’altra funzione: quando c’è una degenerazione tissutale, si dirigono nel tessuto danneggiato e sembra che queste staminali emopoietiche si differenzino in tessuto cardiaco, in tessuto epatico, etc. Possono pertanto diventare anche cellule non del sangue: si tratta della cosiddetta plasticità della cellula staminale emopoietica, affine alla plasticità dei neuroni. Questo, però, significa che le staminali infette vanno ovunque nel corpo e ovunque possono trasmettere il virus.


Quando si fa un autotrapianto, si è tecnicamente in grado di separare le staminali sane da quelle malate, per esempio leucemiche?

Sì, si preleva un cosiddetto purging: poiché le cellule dei linfomi e delle leucemie hanno sulla superficie un antigene specifico, noi ripuliamo il midollo utilizzando contro questo antigene degli anticorpi che vengono coniugati a un immuno-magnete, per cui il midollo viene messo in un campo elettrico, immuno-magnetico, e il magnete attaccato all’antigene viene poi separato dal resto.
Quindi si sa come andare a prendere le cellule che presentano un antigene specifico sulla superficie. Se la CD34 che è infetta da HIV presenta un antigene specifico – e io questo non lo so – allora è possibile separarla dalle altre.
Il problema è che, nel caso della leucemia, parliamo di un malato che ha staminali normali e staminali leucemiche. Invece, nel caso dell’HIV, parliamo di una persona sana le cui staminali sono tutte infettate.


Scusi, ma no. Perché mi sembra che stiamo parlando di una piccola percentuale (l’1-6%) delle CD34 che è infetta. Questo significa che le altre sono pulite.

E chi lo sa? Chi lo può dire?


Carter e Collins, fra l’altro, dicono anche che le CD34, una volta che esprimono il virus, muoiono.

Vanno in apoptosi. Io ho dei dubbi che in un midollo sano, non leucemico, ci siano staminali non infettate dal virus. Come si fa a fare una mappatura delle staminali? È come il virus dell’epatite, come il citomegalovirus: vanno in tutte le cellule.


Scusi, però io non capisco: se tutte le staminali fossero infettate dall’HIV, una volta che arrivassero a differenziarsi, morirebbero tutte senza riuscire a rigenerarsi e la persona andrebbe in aplasia midollare molto in fretta. No?

Il malato di HIV ha una patologia ematologica, che può essere anche misconosciuta e che è molto simile alle sindromi mielodisplastiche. Queste sono una patologia della differenziazione delle staminali che si manifesta come un blocco della differenziazione. In una mielodisplasia sono tutte le staminali ad essere ammalate.
Credo che quando si parla di una malattia di una cellula staminale multipotente non si possa parlare di alcune cellule malate e altre no.


Ma, in quel caso, non se ne vedrebbero subito i danni? Come fa uno a rigenerare il sangue, se tutte le staminali sono malate? Come fa una persona a vivere 20, 30, 50 anni?

Una persona HIV positiva blocca la replicazione del virus nelle staminali con i farmaci, ma non lo elimina. Questa è un’infezione sistemica, che colpisce tutti i tessuti, quindi anche il midollo emopoietico. Io, anche se non sono un infettivologo, ho difficoltà a credere che alcune staminali siano infette ed altre no. Perché il virus dovrebbe entrare in alcune staminali e in altre no? Che il sangue, poi, continui a rigenerarsi può essere dovuto al fatto che alcune staminali si differenziano portandosi dietro il virus nel proprio DNA, come avviene nella mononucleosi infettiva, nel citomegalovirus. L’HIV non è diverso dagli altri virus che infettano la cellula staminale. Se si esaminano le staminali, o meglio i leucociti periferici, di una persona con la mononucleosi, si trova il virus integrato nel DNA.
Non sono stati fatti degli studi sistematici sul sangue periferico di pazienti con HIV?


Non lo so, devo andarmelo a cercare. Però allora, in questo caso, l’unica via possibile è il trapianto.

Allogenico, sì.


Carter e Collins usano “cellule CD34+ purificate prelevate dal midollo osseo” (poi anche delle CD133+ prelevate sia dal midollo, sia dal cordone ombelicale). Questo “purificate” significa soltanto “separate dalle altre cellule che sono state prelevate dal midollo tutte insieme”?

Sì.


In un’intervista, Kathleen Collins ha sostenuto che, ora che si è trovata una conferma empirica all’ipotesi della presenza del virus in alcune staminali emopoietiche, si può sperare di sviluppare dei farmaci che vadano a risvegliare specificamente le HPC latenti, forzandole a produrre il virus, e che ciò porterà alla loro morte e, infine, a prosciugare questo reservoir virale. Esistono tipi di leucemia, o comunque affezioni di pertinenza ematologica, che coinvolgono più o meno le stesse cellule individuate come infettabili/infette dall'HIV da Carter e Collins?

E’ esattamente il problema della stem cell leucemica. Queste staminali leucemiche (come probabilmente quelle infette da HIV) sono quiescenti e non ci sono santi, non è possibile arrivare a fregarle con i farmaci.


Questa è un’altra brutta notizia, perché i vari studi sull’eradicazione sono proprio volti ad andare a risvegliare per esempio i linfociti T memoria, che se ne stanno lì quiescenti e che hanno dentro il virus, in modo da forzarli a produrre il virus, che entrerà in circolo e verrà aggredito dagli antiretrovirali. Quindi nelle leucemie non ci sono delle terapie di questo genere?

No. Il problema dell’eradicazione della leucemia consiste proprio nell’arrivare ad eliminare queste staminali quiescenti, che sono cancer stem cells, sono malate e se ne restano lì. Al momento, l’unica via è il trapianto allogenico. Credo – anche se non le ho studiate – che ci sia un analogo problema con le HIV stem cells. Nel caso della staminale leucemica accade che, quando da quiescente diventa attiva, trasmetta la leucemia alle cellule figlie, con la differenziazione fra i vari tipi di leucemia a seconda di quali cellule risultano malate; e solo in quel momento si può intervenire con i farmaci. Però la staminale malata resta lì e, a differenza della staminale infetta da HIV, quando si differenzia non muore, anzi prolifera.
Con la chemioterapia si arrivano a colpire le cellule proliferanti. La terapia futura è, invece, la terapia biologica, che non va a colpire la cellula proliferante, ma blocca l’antigene che causa la leucemia. Il Gleevec, per esempio, che sta andando molto bene per la cura della leucemia mieloide cronica, non risolve il problema perché blocca l’attività del Bcr-abl [una proteina di fusione oncogena che è creata dalla unione di due geni, i quali in origine codificavano per proteine separate, ed è associata al cromosoma Philadelphia], ma non lo si elimina dalla cellula staminale. Tutto il discorso della mieloide cronica è il fatto che la malattia non la si riesce a guarire (come l’insulina per il diabete), perché la stem cell leucemica rimane lì e, a un certo punto, il farmaco non funziona più perché la staminale leucemica è capace – proprio come l’HIV – di mutare e quindi diventare resistente al farmaco.


Per la cura delle leucemie esiste qualcosa di sperimentale, ma vicino all'applicazione clinica, che presenti un rapporto rischi/benefici più favorevole rispetto alla pratica attuale del trapianto eterologo?

Abbiamo la terapia biologica: i nuovi farmaci biologici che interferiscono sui meccanismi patogenetici leucemici, che sono i meccanismi epigenetici (nella leucemia si verifica il blocco di alcuni geni che vengono ipermetilati e vengono bloccati; i farmaci ipometilanti risvegliano questi geni, che sono solitamente oncosoppressori, volti a bloccare lo sviluppo dei tumori); i meccanismi angiogenetici (con farmaci che bloccano un meccanismo patogenetico importante: la formazione di vasi sanguigni che “nutrono” i tumori); i meccanismi immunomodulanti (con farmaci che permettono di combattere la leucemia attraverso dei meccanismi immunologici). E poi abbiamo farmaci come il Gleevec, che bloccano l’oncogene.
Sono tutti meccanismi differenti dalla chemioterapia tradizionale, che distruggeva e basta.


Quindi, se questi nuovi tipi di farmaci andranno bene, si potrà pensare di evitare il trapianto?

Certo. Infatti, nella leucemia mieloide cronica il trapianto è limitato ad alcuni pazienti che non rispondono al Gleevec; nel mieloma multiplo l’utilizzo dei farmaci immunomodulanti, derivati dalla talidomide, ha permesso di ridurre la necessità del trapianto; lo stesso nella linfatica cronica; anche molti linfomi beneficiano di questi nuovi farmaci. E poi abbiamo anche gli anticorpi monoclonali. Insomma, terapie target, grazie alle quali, in alcune malattie, il trapianto è diventato un’opzione di seconda linea.


Con questo tipo di terapie si può dunque sperare di arrivare ad eradicare completamente le leucemie?

Sì, perché si elimina il microambiente che consente alle staminali malate di proliferare e queste, terminato il loro ciclo, muoiono.


Sangamo sta sperimentando su due linee di ricerca: in un caso, in cui già ci sono incoraggianti dati preliminari della fase I sull’uomo, hanno mostrato che i CD4 modificati mediante una tecnologia ZNF (zinc finger nuclease) per renderli resistenti all’infezione di un virus HIV che usi il CCR5, non solo sono stati ben tollerati dall’organismo, ma anche sono rimasti in circolo a livelli stabili per tutta la durata del monitoraggio e sono anche aumentati di numero (in più, queste cellule modificate sono state ritrovate nel tessuto linfatico della mucosa intestinale, il che fa pensare che funzionino come devono e vadano a posizionarsi nei posti giusti del corpo). Nella seconda sperimentazione, che sembra stia andando bene anche se è ancora in fase preclinica sui topi umanizzati, Sangamo sta facendo la stessa cosa sulle staminali, tagliando via il gene che codifica per il CCR5. Se, come pare, la delezione del CCR5 è stata fra i trucchi fondamentali nella guarigione del “paziente tedesco”, si potrebbe evitare sia la ricerca di un donatore compatibile e, insieme, CCR5-omozigote, sia il trapianto eterologo. E’ così?

È ancora un’ipotesi. Certo un’ipotesi entusiasmante su cui lavorare. Direi che, sul piano della biologia dell’HIV, è molto più razionale lavorare su questo che sul vaccino. Ricorda che, l’altro giorno, il Prof. Moroni ha detto che ci vorranno vent’anni per arrivare – forse - al vaccino? [Lo ricordo, certo! E ho fatto una breve relazione su quella tavola rotonda nel thread Ormai non ABBIAMO, ma SIAMO, un problema di salute (pubblica).]


Una domanda che si era posto anche il Dr. Hütter riguardava il fatto che sappiamo che le persone che presentano in modo naturale questa delezione del CCR5 vivono benissimo. Ma se si va a bloccare questo recettore in modo artificiale (a parte il fatto che il virus entra anche dalla porta CXCR4), si rischia di alterare un equilibrio e si possono fare dei danni?

Non so, è possibile. Però quello che mi sembra di capire di questa tecnologia usata da Sangamo mi piace molto perché, se funzionerà, consentirà di evitare tutti i rischi del trapianto di cui abbiamo parlato la volta scorsa.


Ora una domanda che spero non riterrà provocatoria, perché so che di pazienti lei ne ha già anche troppi: non crede che sia ora che gli ematologi entrino in gioco più pesantemente nella cura delle persone HIV positive?

Penso che dovrebbero entrare in gioco soprattutto gli specialisti di cancer stem cells. E in Italia ne abbiamo di molto bravi, soprattutto il gruppo di Torino del Professor Saglio e della Dottoressa Cilloni. Stanno lavorando molto bene e sicuramente la questione della cellula staminale, non tumorale ma infettata, per loro è interessantissima. Se si va a studiare la staminale quiescente – e a Torino si occupano proprio di questo – si può andare a vedere se c’è il virus, dando un’ulteriore dimostrazione del lavoro di Carter e Collins.
C’è sempre stato un confine molto rigido a separare gli infettivologi, gli immuno-ematologi e gli ematologi. Ed è un confine artificiale, perché ne abbiamo tanti di argomenti in comune e questo delle staminali lo è certamente.


In attesa che Sangamo presenti altri risultati confortanti, vorrei sapere se è ipotizzabile in Italia provare a rifare il lavoro di Hütter su una persona consenziente che sia solo HIV+, che firmi una liberatoria di responsabilità del medico.

No. Sulla base di quel lavoro non sarebbe eticamente corretto. Io mi rifiuterei di farlo, ma anche nessun comitato etico lo consentirebbe. Non sappiamo niente di quel che è accaduto al paziente, ma soprattutto il trapianto ha senso solo se c’è una patologia ematologica che non si riesce a curare in altro modo.




Grazie infinite!



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » mercoledì 7 settembre 2011, 0:06

28 dicembre 2010

Oggi ho incontrato il Prof. Lambertenghi per chiedergli qualche chiarimento su alcuni dei punti che ci sono sembrati più difficili da capire della vicenda del “paziente tedesco”, che proprio nell’ultimo mese ha trovato una così felice conferma di essere il vero grande successo che tutti ci auguravamo. Ne ho approfittato per fargli anche qualche domanda sparsa, fra le molte che tutta questa vicenda ci sta suscitando. Questo è il risultato della chiacchierata.



•Si può pensare di arrivare a un purging delle staminali basato sul genoma anziché sull’antigene specifico delle cellule leucemiche?

Il purging delle cellule leucemiche a partire dagli anticorpi diretti contro antigeni neoplastici si fa (anzi, si faceva, perché sembra che funzioni poco e che qualche cellula malata rimanga) nel trapianto autologo: si prelevano le staminali dal paziente e si separano quelle sane, da reinfondere, da quelle malate.
Il futuro è proprio il purging basato sul genoma: riconoscere e isolare la cancer stem cell sulla base dell’RNA.

•Nella pratica clinica, si riesce a operare selettivamente, per esempio attraverso delle chemioterapie mirate, su cellule che si trovano in una piuttosto che in un'altra fase della maturazione ematopoietica?

Sì. Nell’emopoiesi c’è una sequenza di cluster di differenziazione (CD), che cambia a seconda del grado di maturazione delle cellule. Quindi si possono separare le varie fasi con gli anticorpi specifici.
Questo nella pratica clinica non serve, perché si mira a fare fuori tutto. Quel che si separa sono le CD34+ (le staminali multipotenti e i progenitori). Si può fare un trapianto solo di CD34+.


•Com’è il condizionamento in caso di autotrapianto per pazienti con leucemia/linfoma?

Il condizionamento in caso di autotrapianto è meno devastante, perché il paziente è in condizioni migliori.
La scelta se fare un trapianto autologo o eterologo dipende dal performance status (lo stato generale del paziente oncologico), dalla presenza di patologie concomitanti, dalla fase della malattia (se è in recidiva, in remissione, in remissione parziale), dall’età: sulla base di queste condizioni, si sceglie la terapia di condizionamento personalizzata.


•In che cosa si differenziano i due regimi di condizionamento cui è stato sottoposto il “paziente tedesco”?
I trapianto: 100 mg/m2 amsacrina, 30 mg/m2 fludarabina, 2 g/m2 citarabina (dal giorno -12 al giorno -9), 60 mg/kg ciclofosfamide (gg -4 e -3), ), 5.5 mg/kg globulina antitimocitaria (in tre dosi fra il giorno -3 e il giorno -1), 400 cGy total body irradiation (TBI; giorno -5).
II trapianto: 100 mg/m2 citarabina (dal giorno -7 al giorno -1), 6 mg/m2 gemtuzumab (dal giorno -7 al giorno -1), 200 cGy TBI (giorno -1).



Il condizionamento del primo trapianto è quello classico: si fa la Total Body + l’amsacrina (in Italia non c’è e in genere si usa l’antraciclinico), l’Ara C (citarabina), la fludarabina, la ciclofosfamide e il siero antilinfocitario (cioè la globulina antitimocitaria – ATG).
Dato che il paziente di Hütter si è rivelato resistente a questo regime (perché ha recidivato), per prepararlo al secondo trapianto si è usato l’anticorpo anti-CD33 (il gentuzumab), l’Ara C e la metà di radiazioni rispetto alla volta precedente. La differenza la fa l’anticorpo.
Il condizionamento non è meno forte, perché l’anti-CD33 spazza via tutto. Inoltre, il paziente era debilitato dal primo trapianto, quindi più forte di così non si poteva.
In termini di efficacia antileucemica, la differenza l’ha fatta il gemtuzumab. Questo è quello che ha vinto la recidiva leucemica.


•In che cosa la globulina antitimocitaria potrebbe aver favorito l’eradicazione?

La globulina antitimocitaria si fa nei trapianti allogenici da donatore non consanguineo per evitare la Graft: si eliminano i linfociti T come prevenzione della Graft. Quindi, dato che il virus va nei linfociti T, ha senso pensare che abbia favorito l’eradicazione, perché quel che è stato eliminato è proprio il principale serbatoio del virus. Non è stata rifatta nel secondo trapianto, probabilmente perché l’eradicazione era già avvenuta.
Con la globulina antilinfocitaria si distruggono sia i T del paziente, sia quelli del donatore: è stata data nei giorni immediatamente precedenti il trapianto e ha avuto effetto anche sulle cellule T del donatore.
E’ regola nel MUD (Matched Unrelated Donor – il trapianto eterologo) fare la globulina antilinfocitaria proprio per questo motivo.


• La leucoencefalopatia da farmaci è una complicanza comune dei trapianti? Due trapianti + leucoencefalopatia: quale è il “tasso di sfortuna” del paziente tedesco?

Il farmaco che ha causato la leucoencefalopatia è l’Ara C, cui c’è da aggiungere l’irradiazione. NON è una complicanza comune.
E’ un paziente che ha avuto gravi e non usuali complicanze post-trapianto, quindi lo si può considerare molto sfortunato. Però, non solo ha eradicato il virus, ma il rischio di recidiva leucemica - a 3 anni dal secondo trapianto - si allontana sempre di più.


•Abbiamo appurato che negli Stati Uniti un trapianto di staminali costa circa 2-300 mila dollari. Quanto costa in Italia?

Circa 300 mila euro è il costo di un trapianto in cui va tutto liscio (190.000 vengono rimborsati dalla Regione, il resto è pagato dall'ospedale).

•Quanti trapianti si fanno ogni anno in Italia e in generale in Europa?

2.000 trapianti/anno in Italia; 12.400 allotrapianti/anno e 18.922 autotrapianti/anno in Europa.





L'articolo di Hütter su "Blood" è piaciuto tantissimo al Professore (che, fra l’altro, condivide con me un’impressione: quanto più una persona ha le idee chiare su quel che ha da dire, tanto più riesce a dirlo bene, in modo semplice e senza fronzoli). E ancora di più gli piacciono le staminali rese CCR5- da Sangamo.
Gli ho espresso le nostre perplessità sul fatto che la Cannon non sia ancora partita, pur avendo già in tasca 14.5 milioni di dollari e mi ha confermato che, se deve pagare lei tutti i trapianti perché le assicurazioni non pagano mai le cure di persone arruolate in trial clinici, per forza ha bisogno di molti più soldi.
Mi ha anche spiegato che un "esperimento" come quello fatto da Hütter non poteva avvenire che in un grandissimo ospedale qual'è la clinica universitaria della Charité di Berlino.
Non gliene ho ancora parlato, ma mi piacerebbe discutere con lui i risultati della sperimentazione Sangamo sui CD4 modificati, non appena usciranno.

Grazie per tutto il tempo che ci ha dedicato!



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » mercoledì 7 settembre 2011, 0:06

4 maggio 2011

•L’ultima volta che ci siamo incontrati, mi aveva spiegato che il condizionamento in caso di autotrapianto per pazienti con leucemia/linfoma è meno devastante (per quanto non sempre meno “aggressivo”) rispetto al condizionamento in un trapianto eterologo, semplicemente perché il paziente è in condizioni migliori.
Ora vorrei capire in che cosa consiste il condizionamento non mieloablativo e in quali condizioni è indicato.


Nel trapianto autologo il condizionamento è meno aggressivo ed è più facile la recidiva, rispetto all’allogenico, in cui la mortalità è più alta.
Il condizionamento non mieloablativo nel trapianto allogenico (nell’autologo non esiste) provoca una distruzione solo parziale del midollo e si basa sul fatto che, riducendo l’intensità del condizionamento si riduce la mortalità dovuta ai farmaci e questa ridotta intensità di dose serve per sfruttare di più la Graft versus Host: si sfrutta la Graft e si riduce la mortalità dovuta all’intensità del dosaggio.
Questo tipo di condizionamento si fa nell’anziano, perché è in quel tipo di paziente che si verifica una maggiore mortalità a causa delle dosi dei farmaci: nelle patologie sia acute sia croniche del soggetto > 50 (dopo i 45 anni, la mortalità sale dal 30 al 50%).
Nei 5-8 anni da quando si pratica questo condizionamento si è visto che, sì, si riduce la mortalità, ma anche si peggiora la qualità della vita a causa della Graft, che viene in forme più gravi, causando infezioni, problemi cutanei, problemi epatici. Se si calcola la sopravvivenza libera da malattia da trapianto tradizionale e da trapianto ad intensità ridotta, si vede che è uguale.
Si sfruttano di più la Graft e meno i farmaci, però si è visto che le conseguenze della Graft si prolungano nel tempo, spesso peggiorano la qualità di vita e creano grossi problemi.
La scelta viene dunque bilanciata sulla base del singolo paziente. Ma nel paziente più giovane la scelta di un condizionamento non mieloablativo non si pone neppure, non è proprio proponibile.

Nel trapianto autologo, si riduce l’intensità di dose solo se il paziente è anziano, ma in genere il condizionamento non mieloablativo non si fa proprio, perché in questo tipo di trapianto non si può sfruttare la Graft.
In base alle condizioni cliniche e all’età del paziente, si riduce la dose del condizionamento, che però in quel caso non è totalmente ablativo.
Il trapianto autologo, in realtà, non è un vero trapianto: è una terapia di supporto ad una terapia ad alte dosi, per evitare che il paziente muoia a causa di una aplasia prolungata. Si tolgono le staminali, si fa la chemioterapia, poi si reinfondono le staminali per abbreviare il periodo di aplasia e perché il sistema immunitario si riprenda più in fretta.


•Qual’è dunque la fattibilità di un trapianto senza condizionamento? In quali condizioni è ipotizzabile? Esistono patologie in cui non è necessario distruggere le staminali malate, ma un trapianto è comunque indicato?
Le staminali trapiantate attecchiscono? Hanno lo “spazio” per farlo? E quale vantaggio selettivo si trovano ad avere rispetto alle staminali vecchie, se ne hanno uno?


Nel trapianto autologo si deve fare comunque il condizionamento, perché è un trapianto basato su una chemioterapia ad alte dosi per distruggere il tumore o quanto rimane del tumore e supportare la fase aplastica con le staminali del paziente.
L’unico caso di trapianto eterologo in cui qualche rara volta non si fa condizionamento è un trapianto fra due gemelli identici. Per il resto, il trapianto allogenico è basato su due concetti: la distruzione del tessuto neoplastico e la sua sostituzione mediante un midollo nuovo.
Patologie in cui si fa un trapianto ma non è necessario distruggere le staminali, perché queste non sono malate, sono alcune malattie autoimmuni, in cui si utilizza il condizionamento per distruggere il sistema immunitario patologico: si fa una sorta di resettaggio e le staminali trapiantate attecchiscono anche se ci sono ancora staminali vecchie.
Il condizionamento serve per spazzare via le staminali vecchie e fare spazio per quelle nuove.
Per quanto riguarda il vantaggio selettivo delle staminali nuove: nel trapianto autologo si hanno maggiori recidive, sia perché vengono reiniettate delle staminali malate, sia perché – se la mieloablazione non è stata totale – non si sono distrutte tutte le staminali presenti. Nel trapianto allogenico, invece, si cerca di distruggere le staminali residue con la Graft.


•Mi è capitato di leggere che anche nel caso di infusioni di linfociti T si può fare (o può essere opportuno fare) un condizionamento. In che cosa consiste? Avrebbe senso farlo se l’infusione fosse con gli stessi linfociti T del paziente?

Con gli stessi linfociti T del paziente no. Con quelli di un donatore esterno, invece, si fa per stimolare la Graft.
Nel trapianto allogenico, quando si ha una recidiva, si cerca di recuperare con la creazione indotta di una Graft, dando i linfociti T dello stesso donatore delle staminali. Quindi i linfociti T vengono dati all’interno di un trapianto di midollo: in un paziente con leucemia, quello che funziona nel trapianto allogenico è la Graft; se la Graft non è sufficiente o proprio non c’è, si cerca di stimolarla dando i linfociti T del donatore.


•Nell’esperimento di trapianto di staminali rese CCR5 negative sui topi, questi topini, nati immunodepressi, a 1 giorno di vita sono stati irradiati con una bassa dose di raggi (150 centigray rispetto ai 400 e poi 200 cGy fatti al “paziente tedesco”); poi sono state infuse le HSPC umane modificate che, nel giro di 8-12 settimane, hanno attecchito e iniziato a produrre un sistema immunitario. A quel punto i topini sono stati infettati. (*)
Quando ci siamo parlati due settimane fa, mi ha chiesto che senso avesse irradiare dei topi senza sistema immunitario; ed era una domanda che mi ero fatta anch’io.
Vorrei comunque capire in che senso 150 cGy sono considerati una bassa dose. Che cosa causa una TBI di 150 cGY e che cosa una di 400? Si può stimare la differenza? A quale dosaggio massimo si può arrivare nel condizionamento mieloablativo?


(*) Cfr. [STUDI] Cannon: trapianto staminali umane rese CCR5- in topi e [STUDI]Cannon_trapianto staminali umane rese CCR5- in topi 2.

Il condizionamento, e quindi anche le radiazioni, nell’allogenico servono anche per deprimere il sistema immunitario per avere meno Graft. Nel condizionamento umano, soprattutto a ridotta intensità, c’è anche una radioterapia a basse dosi.
I 150, così come i 400 e i 200 cGy fatti al “paziente tedesco” hanno un effetto immunodepressivo e basta. I 150 cGy dati ai topi hanno solo avuto un effetto depressore del loro sistema immunitario, perché i topi non erano leucemici e non c’era bisogno di fare di più.
Nell’uomo si può arrivare fino a 1300 (e questa è una TBI). In questo caso, si ha anche un effetto distruttivo delle cellule leucemiche.
Non c’è solo il sistema immunitario del donatore, che sono i linfociti T che aggrediscono sia le cellule normali, sia le cellule leucemiche del ricevente; ma c’è anche il sistema immunitario del ricevente che, se non viene distrutto, distrugge le cellule nuove immesse. Tutto questo ha però un effetto immunodepressore ed è per questo che sono frequenti le infezioni post-trapianto, oltre alla Graft, perché il sistema immunitario nuovo deve avere il tempo di formarsi.
C’è un sistema immunocompetente del donatore, che noi utilizziamo per distruggere le cellule leucemiche; e c’è un sistema immunologico del ricevente, che noi dobbiamo eliminare, altrimenti distrugge tutte le cellule nuove che vengono immesse.


•Che cosa fanno esattamente le radiazioni? Distruggono solo il midollo o hanno anche altri effetti? Per esempio, nella total body mi sembra di capire che colpiscano anche il cervello: che cosa fanno alle cellule cerebrali?
Nel suo articolo, Paula Cannon specifica che i topi non hanno avuto nessuno dei disturbi legati alla tossicità di irradiazioni a dosi più alte: di che tipo di disturbi stiamo parlando?


Le radiazioni della TBI hanno un effetto sulle cellule del cervello, e infatti c’è una sindrome post-trapianto da irradiazione del cervello; però oggi è molto meno frequente, perché le dosi che arrivano al cervello e al polmone sono minori, perché si mettono delle protezioni, che consentono di arrivare con dosaggi diversi nelle diverse parti del corpo.
La sindrome da irradiazioni acuta (oggi quasi scomparsa) può comportare disturbi cerebrali, epilessia, sonnolenza. Sulla cute si può avere eritema.
Bisogna però dire che le radiazioni si usano molto meno rispetto a un tempo.


•Se le staminali mobilizzate, estratte, modificate e poi reiniettate in un paziente sono infette da HIV, che cosa succede?

Che si rifornisce la riserva di virus e ci si ritrova un midollo di nuovo infettato. Questo capita anche con l’HBV, con l’HCV, con il CMV, con l’Epstein Barr … solo che per HCV e HBV si possono dare le immunoglobuline come profilassi.


•Nel famoso esperimento sui topini, le CD34+ trapiantate che erano state rese CCR5- erano in una percentuale di circa il 17% (molte di più del 5-7% inizialmente stimato raggiungibile dall’adenovirus che portava le Zinc Finger Nucleases) e si è visto che attecchivano benissimo e presentavano un vantaggio selettivo rispetto alle CD34+ CCR5+. Ritiene che una simile quantità di staminali/progenitrici modificate potrebbe comportare analoghi benefici nell’uomo, o ce ne vorrebbero di più per avere successo?

Il problema del numero è che a volte bastano poche staminali per ricostruire un midollo normale. È solo la sperimentazione clinica che ci dirà se ce ne vorranno tante o poche.


•Nei pazienti oncoematologici si nota attivazione immunitaria? E si verifica un innalzamento dei marker generici di infiammazione tipo la Proteina C Reattiva?

Nei pazienti con leucemia o linfoma in fase cronica non si vede una attivazione immunitaria; i marker generici tipo la CRP si alzano, perché hanno una malattia neoplastica.
Il discorso è se la leucemia può condizionare e fare emergere un secondo tumore. Questo non accade nella leucemia acuta, ma nelle leucemie croniche, soprattutto la linfatica cronica, sì: questa, per definizione, dà un’immunodepressione non solo per le infezioni, ma anche per i tumori; e non è infrequente che un secondo tumore emerga in pazienti con linfatica cronica, oppure con linfoma.

Nei pazienti trapiantati si ha un’immunodepressione che dura almeno 6 mesi; poi il sistema immune si riforma. Ma si è visto anche (soprattutto nel trapianto autologo) che con il condizionamento si crea una disregolazione del sistema immunitario, per cui si può avere l’emergere di cloni patologici che provocano malattie autoimmuni.
Una conseguenza tardiva sono rare malattie autoimmuni da disregolazione immunitaria.
I rischi del trapianto sono proprio questi: la mortalità, le conseguenze sulla qualità di vita, gli effetti collaterali a distanza, fra cui anche i secondi tumori. Nell’allogenico, l’incidenza di tumori dopo 10-12 anni è simile a quella che si è vista dopo Hiroshima: tumori della cute, della mammella, della lingua, della tiroide. Vengono dalle radiazioni, ma anche dalla mutagenicità dei farmaci.



Come sempre, grazie infinite!



skydrake
Messaggi: 9921
Iscritto il: sabato 19 marzo 2011, 1:18

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da skydrake » giovedì 8 settembre 2011, 11:37

In questo passaggio non ho capito una cosa:

• Quale spiegazione si può avanzare dell’assenza dell’HIV DNA nel 15% circa dei macrofagi, riscontrati nella mucosa rettale tramite la biopsia del 159° giorno, ed esprimenti ancora il corecettore CCR5? Sono cellule “long-lasting”, che non sono ancora state replicate dal nuovo sistema immunitario, ma dovrebbero anche essere dei reservoir del virus (visto che i macrofagi sono una delle principali fonti di virus quando la terapia antiretrovirale fallisce).


Quello che conta è che il DNA virale non c’era. La stimolazione antigenica HIV non è presente dopo il trapianto: è scomparso il DNA virale, quindi è scomparsa la stimolazione antigenica. La scomparsa delle cellule T non è associata con il deficit della ricostituzione immunologica (vale anche per altri virus come Epstein Barr, citomegalovirus nel polmone, etc.). L’assenza della viremia nel paziente indica probabilmente la rimozione dello stimolo immunologico, quindi l’avvenuta distruzione del virus replicante.
Se quindi l'eradicazione del virus in questo 15% di macrofagi non può essere attribuito all'immunocompetenza del sistema immunitario nuovo, a che cosa può essere attribuito? Credevo che per "rimozione dello stimolo immunologico" si intendesse la scomparsa della risposta immunitaria, non la scomparsa del virus. In altre parole, chi ha eliminato fisicamente il virus annidiato in queste cellule long-lasting ancora presenti al 159° giorno?



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » giovedì 8 settembre 2011, 17:54

skydrake ha scritto:Se quindi l'eradicazione del virus in questo 15% di macrofagi non può essere attribuito all'immunocompetenza del sistema immunitario nuovo, a che cosa può essere attribuito? Credevo che per "rimozione dello stimolo immunologico" si intendesse la scomparsa della risposta immunitaria, non la scomparsa del virus. In altre parole, chi ha eliminato fisicamente il virus annidiato in queste cellule long-lasting ancora presenti al 159° giorno?
Anzitutto una precisazione: credo che sia il virus a costituire lo "stimolo immunologico", contro il quale si scatena la "risposta immunitaria". Non c'è più il virus (cfr. "assenza di DNA virale"), quindi non c'è bisogno di scatenargli contro nessuna risposta.
A parte questo, se non ricordo male (di certo Leon potrà confermare o smentire quel che dico, perché tutta questa vicenda l'abbiamo seguita insieme), la questione dei macrofagi che qualche tempo dopo il trapianto erano ancora CCR5+ e tuttavia erano puliti rimane uno dei misteri cui Hütter e le discussioni che seguirono il suo primo articolo non diedero risposta.
Che fine ha fatto il virus presente nei reservoir dei diversi comparti? C'è fin qualche uccellaccio del malaugurio che sostiene che c'è ancora, nascosto da qualche parte.
Perché il virus X4-tropico, che pure era presente prima del trapianto, non è stato in grado di prevalere?
Il sistema immunocompetente nuovo ha avuto bisogno di tempo per formarsi. Perché in quel lasso di tempo il virus eventualmente rimasto non ha rialzato la testa?
Forse le terapie fatte per il condizionamento pre-trapianto hanno spazzato via tutto? Al punto, magari, che si poteva tranquillamente evitare di trapiantare staminali CCR5-/-?

Insomma, Skydrake, il successo di Hütter non è tutto spiegato. E' per questo che l'arrivo di un secondo "paziente tedesco" sarebbe in ogni senso un dono del cielo.



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » venerdì 16 settembre 2011, 8:03

In agosto sono usciti due articoli, uno sul New England Journal of Medicine e uno su Science Translational Medicine, a firma di David Porter e Carl June. Vi si racconta come, mediante la terapia genica, sia stato possibile creare dei linfociti T “serial killer”, capaci di distruggere grandi masse di cellule leucemiche e di mandare in remissione (completa in due casi, parziale in uno) tre pazienti con leucemia linfatica cronica ormai refrattaria alle chemioterapie e la cui unica speranza era un trapianto, di cui ben conosciamo i rischi e le difficoltà.

Detto molto brevemente, è andata così: la leucemia linfatica cronica (CLL) è un cancro dei linfociti B, quella componente del sistema immunitario che serve a produrre anticorpi per combattere le infezioni. Tutti i linfociti B, che siano sani o malati, presentano sulla superficie una proteina, detta CD19, e il lavoro dei ricercatori della Pennsylvania University è consistito nel riprogrammare i linfociti T di tre pazienti in modo da consentire alle cellule T di individuare il CD19 e attaccare e distruggere i linfociti B. Per inserire i pezzi di DNA necessari a modificare i linfociti T creando un “recettore dell’antigene chimera” (CAR) capace di legarsi al CD19, hanno utilizzato come vettore un virus HIV-1 opportunamente reso incapace di replicarsi. La metodica era già stata dimostrata efficace e sicura in una sperimentazione clinica su persone HIV+ nel 2003 (cfr. VIRxSYS' RNA Immuno-Therapy Solution for HIV/AIDS e il trial clinico Evaluate the Tolerability and Therapeutic Effects of Repeated Doses of Autologous T Cells With VRX496 in HIV). La scelta dell’HIV come vettore lentivirale è dipesa dal fatto che questo virus ha come bersaglio proprio le cellule T.
Gli obiettivi erano 4: che i linfociti modificati fossero in grado di riconoscere il cancro, attaccarlo, moltiplicarsi e continuare a vivere all’interno del paziente.
I linfociti T dei pazienti sono quindi stati separati dal resto del loro sangue, modificati e reiniettati in tre successive infusioni. Nel frattempo, i pazienti sono stati trattati con chemioterapici per distruggere ogni linfocita T eventualmente rimasto e così evitare che le cellule originarie potessero impedire la crescita di quelle modificate.
I risultati sono stati impressionanti: le cellule modificate sono aumentate di almeno 1000 volte in ciascun paziente e ciascuna cellula reinfusa è stata capace di uccidere migliaia di linfociti B, scatenando una sindrome da lisi tumorale (molto pesante per i pazienti: una decina di giorni di brividi, febbre alta, spossantezza e nausea), a seguito della quale non si sono più trovate tracce di cellule leucemiche.
Dopo un anno di follow up, due pazienti continuano ad essere in remissione totale, mentre uno è in remissione parziale. Le cellule modificate sembrano continuare a vivere nel corpo dei pazienti e quindi essere capaci di replicarsi; pare, inoltre, che si siano formati anche dei linfociti T memoria, che potrebbero continuare a combattere le cellule cancerose ove queste si ripresentassero.


Questa è una scheda che sintetizza i diversi passaggi:

Immagine


Ieri ho incontrato il Professor Lambertenghi, per farmi spiegare alcuni punti critici del lavoro di June e Porter.


********************************************************


Premesso che non sono un biologo molecolare e non sono esperto di sistemi di laboratorio, devo dire che il concetto è bello e il lavoro è entusiasmante.
Ho però due grossi dubbi. Il primo è che tu inietti nel malato dei linfociti modificati, che attaccanno i CD19. Però questi linfociti vengono da una cellula staminale che, di suo, è malata. Quindi probabilmente non avranno una lunga vita, tranne quelli memoria; tuttavia, non è ben chiaro se davvero se ne siano formati dopo tutta la procedura di modificazione genetica.

• Però, su tre pazienti sottoposti a questa procedura, uno è andato in remissione parziale, due in remissione completa e dopo quasi un anno di follow up continuano a non mostrare tracce di cellule leucemiche.

Sì, ma bisogna vedere che cosa accade fra 5 anni, perché questi linfociti non hanno una lunga vita.
Quindi per ora si può dare un giudizio entusiasta sulla metodica, ma non sulla clinica, non solo perché è troppo presto, ma anche perché abbiamo soltanto tre pazienti, che non fanno “statistica”. È vero che hanno raggiunto la remissione, ma quanto può durare? Il loro sistema linfatico è malato, perché è malata la staminale. Ma Porter e June hanno lavorato su dei linfociti maturi, non sulle staminali.

• Il fatto che i linfociti T modificati abbiano proliferato e addirittura si siano formate delle cellule memoria significa che, se si riformassero delle cellule leucemiche e questi linfociti modificati fossero ancora presenti nell’organismo, questi potrebbero attaccarle e distruggerle.

Sì, ma se le cellule leucemiche fossero in quantità maggiore rispetto ai linfociti, potrebbero prevalere. Si vedrà nel tempo.

L’altro problema è che questi linfociti modificati attaccano indiscriminatamente i linfociti B, perché questi – che siano sani o malati – esprimono il CD19.

• A questi pazienti, ogni qualche mese, stanno dando le immunoglobuline e fino ad ora non hanno sviluppato infezioni. Può durare?

Esistono due tipi di immunità: una cellulare e una anticorpo-mediata. Con le immunoglobuline si protegge una persona dall’assenza di immunità anticorpo-mediata, ma l’immunità naturale in questi pazienti è venuta meno.
Tutte queste terapie (per esempio il Rituximab) distruggono anche i linfociti B normali. Cominciamo adesso a vedere le conseguenze sul lungo periodo del Rituximab: infezioni virali ricorrenti, le stesse infezioni cui può andare incontro una persona che ha un HIV non controllato e che, oltre che senza linfociti T, si trova senza linfociti B.

• Questi tre pazienti hanno avuto un momento, dopo le tre infusioni, in cui erano leucopenici (non solo i linfociti B, ma anche i neutrofili erano quasi a zero) e così pure piastrinopenici. Poi però, passata la crisi iniziale, in pochi giorni tutti i valori si sono rialzati, tranne ovviamente quelli dei linfociti B, continuamente distrutti dai T modificati.
Fargli in modo ricorrente infusioni di immunoglobuline potrebbe non essere sufficiente? D’altra parte, è anche vero che i loro linfociti B erano comunque a zero, perché erano attaccati dalla leucemia. Quindi, in un certo senso, ci hanno guadagnato in ogni caso.


È un’arma a doppio taglio, sia contro i linfociti patologici sia contro quelli normali. Però questi pazienti erano ormai senza alternative al trapianto. Fra l’altro, di due si sa che avevano circa 65 anni, quindi il trapianto a quell’età sarebbe stato molto rischioso.
Le immunoglobuline io le do regolarmente ai pazienti con la linfatica cronica, anche se alcuni sostengono che siano inutili, perché vengono immediatamente espulse con le urine.

Un'altra perplessità, che vale però per tutte le manipolazioni genetiche in cui si utilizzano lentivirus come vettori, è il rischio di mutagenesi, quindi lo sviluppo per esempio di leucemie. È chiaro che queste procedure sono un avanzamento della scienza, ma la scienza – per definizione – è pericolosa.
D’altra parte, una persona con una malattia incurabile può benissimo essere disposta a correre il rischio.
Un trattamento come questo non si fa, infatti, a una persona con una leucemia linfatica cronica “banale”, che sta bene e dispone ancora di molte opzioni terapeutiche. Si propone come alternativa a un trapianto, dopo aver valutato quali sono i rischi del trapianto in base allo stato della malattia, alla situazione complessiva del paziente e alla sua età.

• Mi chiedevo una cosa sui tre pazienti specifici sui quali è stata fatta questa sperimentazione: a questi tre è andata bene, nel senso che gli sono state fatte tre infusioni di linfociti modificati, per tre giorni di seguito. Non gli sono state date citochine subito dopo. Al momento dell’infusione non è successo niente, nessuna reazione avversa. Poi, dopo un paio di settimane, hanno cominciato a stare malissimo e hanno avuto la sindrome da lisi tumorale e questo ha portato alla distruzione di una massa enorme (parlano di 2 libbre, quasi un chilogrammo, per ciascun paziente) di cellule leucemiche.
In un altro paio di settimane, si sono ripresi e in due su tre era scomparsa ogni traccia di leucemia.
Quello che mi chiedevo è: a questi tre è andata bene, ma poteva anche andare male e potevano morire per la “tempesta di citochine” che si può scatenare in concomitanza con la lisi tumorale? Infatti, in quei giorni, hanno avuto picchi altissimi di citochine infiammatorie, che poi si sono normalizzate.


Anzitutto, anche con gli anticorpi monoclonali si verifica la sindrome da lisi ed è una cosa che può essere molto seria. La distruzione del CD19 avviene tramite la liberazione di citochine: a differenza dell’anticorpo, il linfocita T uccide il B non con un attacco diretto, ma stimolando la produzione di citochine. Il recettore “modificato” del linfocita T si attacca al CD19 e lo distrugge mediando una produzione di citochine. La morte del CD19 avviene perché l’unione fra anticorpo e CD19 libera delle citochine che distruggono la cellula. Questo è quanto avviene normalmente con l’immunoterapia, la terapia mediata dai linfociti T.
L’anticorpo monoclonale, invece, agisce direttamente sulla cellula, distruggendola.
La sindrome da lisi tumorale si verifica in tutti questi tipi di terapie, anche con gli immunoregolatori come la talidomide o il Revlimid, che è un suo derivato, che agiscono attivando i linfociti T contro i B.

• Quindi, se non c’è una reazione immediata all’infusione, è questo il momento critico della terapia? Dopo di che, che accade? Le cellule leucemiche vengono distrutte e poi espulse o riassorbite. E poi?

Se tutto va bene (e lo si capisce solo nel tempo), la remissione persiste. A me però non è tanto questo che colpisce, quanto la metodica usata; perché lo stesso effetto si ottiene anche con gli immunomodulatori. Solo che questi non hanno un effetto duraturo e bisogna continuare a somministrarli. Si fanno magari cicli mensili, con un risultato notevolissimo, di gran lunga preferibile rispetto a una chemioterapia standard, che non solo distrugge tutto, ma dà anche mielodepressione.
Questo è il futuro. La chemioterapia è finita e tutti gli ultimi farmaci non sono altro che riproposizione di vecchi farmaci.
Una delle più grosse scoperte di questi anni è il Gleevec, che sta avendo tanto successo contro la leucemia mieloide cronica e, pur non avendo nulla a che vedere con gli anticorpi perché è un inibitore di un enzima, è un ottimo farmaco, intelligente, che agisce in modo mirato e non indiscriminatamente come la chemio. Solo che blocca un processo che stimola la proliferazione leucemica, ma non guarisce la malattia, perché non guarisce la staminale malata. La guarigione si può avere solo con il trapianto.
Purtroppo anche al Gleevec si può diventare refrattari, con la ricomparsa del cromosoma BCR-ABL che non viene più tenuto sotto controllo. Ci sono però delle alternative, da darsi prima che si scateni una proliferazione neoplastica: inibitori analoghi che agiscono su più mutazioni della cellula.

• Un’ultima cosa che volevo capire riguarda il paziente che NON è andato in remissione completa. Ho letto che, quando gli si è scatenata la sindrome da lisi tumorale, non è andato da Porter, ma in un altro ospedale e lì gli hanno dato degli steroidi. A parere di Porter e June, questo potrebbe spiegare la parzialità della remissione. Che cosa significa?

Gli steroidi diminuiscono la febbre, ma bloccano proprio il processo che si era messo in atto: nelle reazioni patologiche dei linfociti T, tipo l’orticaria o l’artrite reumatoide, si danno steroidi. Quindi è possibilissimo che sia stato questo a impedire la remissione completa, sempre se ciò non è dipeso dallo stadio troppo avanzato della leucemia.



Grazie!!



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » giovedì 12 luglio 2012, 6:36

Non so bene dove postare la notizia che ho appena letto. Forse anche "Attualità in medicina" andrebbe bene; ma dal momento che in questo thread abbiamo parlato a lungo di Graft versus Host Disease come di una delle più serie complicanze dei trapianti di staminali, che colpisce fino al 70% delle persone trapiantate, penso che anche qui vada bene.

Esce oggi sul New England Journal of Medicine una ricerca della Perelman School of Medicine, University of Pennsylvania in cui si dimostra che somministrare per un breve periodo Maraviroc a pazienti che hanno appena ricevuto un trapianto allogenico di staminali ematopoietiche aiuta ad evitare l'attacco del nuovo sistema immunitario contro alcuni organi del ricevente, in particolare proprio fegato e intestino, dove la GvHD è più pericolosa: l'ematologo Ran Reshef e i suoi colleghi sono riusciti addirittura ad avere una riduzione di casi severi di Graft del 73% nei primi 6 mesi dopo il trapianto, senza che il Maraviroc compromettesse alcuna altra funzione immunitaria e quindi permettendo al nuovo sistema immune di attaccare il cancro (cioè: sono riusciti ad avere la Graft vs Cancer senza avere la Graft vs Host).

Particolari della ricerca:
  • - 38 pazienti con diversi tipi di cancro del sangue, per la maggior parte considerati ad alto rischio di GvHD, perché di età > 60, parzialmente non-compatibili con il donatore, con patologie ematologiche particolarmente gravi o co-morbilità (incidenza prevista di casi acuti di Graft: > 50%);
    - tutti hanno ricevuto la profilassi standard contro la GvHD + Maraviroc per 33 giorni, a partire dal giorno prima del trapianto;
    - nei primi 100 giorni, nessuno ha sviluppato Graft a fegato o intestino; a 6 mesi, solo il 6% dei pazienti ha avuto episodi seri di Graft (e solo il 3% di questi al fegato e il 9% all'intestino, contro una media del 22%, rispettivamente del 15 e del 27%);
    - a 1 anno i benefici del Maraviroc sembravano perdurare, almeno in parte.


Reshef ha dichiarato che hanno utilizzato il Maraviroc per far dirigere le cellule immunitarie del donatore lontano dai luoghi nel corpo in cui potrebbero causare la Graft. E l'impatto differenziale del Maraviroc su fegato e intestino indica che il farmaco funziona come ci si aspettava. limitando il movimento dei linfociti T verso specifici organi.
Poiché i ricercatori non hanno rilevato alcun effetto sulla GvHD della pelle (che è un altro degli organi normalmente colpiti), ipotizzano che il recettore CCR5 che viene bloccato dal Maraviroc possa essere più importante per reclutare linfociti in fegato e intestino, piuttosto che nella pelle.

Infine, il Maraviroc non sembra avere aumentato le tossicità connesse agli altri trattamenti; né ha alterato il tasso di recidiva del cancro o il rischio di infezione; né ha rallentato il tempo necessario al nuovo sistema immunitario per attecchire nell'organismo del ricevente.




Fonti: HIV Drug Reduces Graft-versus-Host Disease in Bone Marrow Transplant Patients;

Maraviroc Cuts Post-Transplant GVHD Rate in Hematologic Cancers

Articolo: Blockade of Lymphocyte Chemotaxis in Visceral Graft-versus-Host Disease



nordsud
Messaggi: 497
Iscritto il: giovedì 24 maggio 2007, 17:07

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da nordsud » giovedì 12 luglio 2012, 7:02

Dora ha scritto: Esce oggi sul New England Journal of Medicine una ricerca della Perelman School of Medicine, University of Pennsylvania in cui si dimostra che somministrare per un breve periodo Maraviroc a pazienti che hanno appena ricevuto un trapianto allogenico di staminali ematopoietiche aiuta ad evitare l'attacco del nuovo sistema immunitario contro alcuni organi del ricevente, in particolare proprio fegato e intestino, dove la GvHD è più pericolosa: l'ematologo Ran Reshef e i suoi colleghi sono riusciti addirittura ad avere una riduzione di casi severi di Graft del 73% nei primi 6 mesi dopo il trapianto, senza che il Maraviroc compromettesse alcuna altra funzione immunitaria e quindi permettendo al nuovo sistema immune di attaccare il cancro (cioè: sono riusciti ad avere la Graft vs Cancer senza avere la Graft vs Host)


Ma quante belle qualità che ha il Maraviroc, prima Savarino ed adesso questi dell'università della Pennsylvania. In fin dei conti è un antivirale: e come tutti gli antivirali dovrebbe risultare impotente contro le cellule hiv latenti (prendendo per buona tutta la storia sulla latenza così come c'è la raccontano, comprese le varianti ), ma questo Maraviroc ha una marcià in più.
Domanda che sorge lecita: Nelle sperimentazioni cliniche, che si presume siano iper-monitorate, non si sono mai accorti di tutte queste belle qualità ?



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [Interviste] G. Lambertenghi su trapianti, staminali e a

Messaggio da Dora » giovedì 12 luglio 2012, 7:40

nordsud ha scritto:Ma quante belle qualità che ha il Maraviroc, prima Savarino ed adesso questi dell'università della Pennsylvania. In fin dei conti è un antivirale: e come tutti gli antivirali dovrebbe risultare impotente contro le cellule hiv latenti (prendendo per buona tutta la storia sulla latenza così come c'è la raccontano, comprese le varianti ), ma questo Maraviroc ha una marcià in più.
Domanda che sorge lecita: Nelle sperimentazioni cliniche, che si presume siano iper-monitorate, non si sono mai accorti di tutte queste belle qualità ?
Premessa non maliziosa, ma anche non trascurabile: la Pfizer è il maggiore finanziatore di questo trial.
I dati sulla Graft a me sembrano impressionanti e, se saranno confermati, il Maraviroc potrebbe dare un aiuto enorme nei trapianti allogenici.

Per quanto riguarda le intensificazioni della HAART con Maraviroc, invece, a parte una ripresina dei CD4 di cui i ricercatori dello studio MARIMUNE non sono riusciti a render ragione, e a parte le mirabilia di cui hanno beneficiato i macachi di Savarino, direi che come effetto anti-latenza si è visto ben poco: Moreno dice che il Maraviroc riesce a riattivare le NFkB indipendentemente dal tropismo del virus; Puertas e Massanella dicono che aumenta la rapidità di decadimento dell'HIV DNA nelle PBMC di pazienti infettati da poco.
E poi ci sono studi come quelli della Hsue, in cui sembra che forse riesca a diminuire l'attivazione immunitaria, ma non è ben chiaro.

Insomma, non mi sembra che stiamo parlando di acqua di Lourdes.



Rispondi