Qualcuno ricorderà che nel 2009 furono pubblicati dal laboratorio di Benjamin Chen alla Mount Sinai School of Medicine di New York dei filmati davvero incredibili sulla diffusione dell’HIV da cellula a cellula mediante la costruzione di una sorta di “collegamenti” che, per la loro somiglianza con quelli cerebrali fra i neuroni, vengono chiamati sinapsi virali: quando una cellula infetta si trova vicina ad una sana, una proteina virale si aggancia al citoscheletro di quest’ultima e consente al virus di passare all’interno, dove poi obbligherà la cellula ospite a produrre nuove copie di sé (Quantitative 3D Video Microscopy of HIV Transfer Across T Cell Virological Synapses).
In vitro Hübner e Chen avevano dimostrato che questa via di infezione è migliaia di volte più efficiente rispetto a quella del virus libero che entra nelle cellule.
Un paio di video sono visibili qui:
Nel primo video, la cellula bianca è quella già infettata con HIV. Si vede un linfocita T attaccato da questa cellula. La macchia rotonda luminosa è la sinapsi virale fra le cellule. Si vedono delle macchioline bianche che se ne fluttuano via, a partire dalla sinapsi, dentro l'altra cellula: è l'HIV che passa da una cellula all'altra.
Il secondo video è una ricostruzione in 3D: il microscopio ha scattato immagini delle cellule in 2D e queste sono state ricostruite per formare un'immagine tridimensionale. Il video è dunque una ricostruzione dell'immagine fatta ruotare. La cellula infetta è quella resa verde dalla Green Fluorescent Protein. Le macchioline rotonde verdi sono le sinapsi virali. Le cellule rosse sono quelle che vengono infettate.
Questa è l’immagine che fece il giro del mondo un paio d’anni fa:

Nel 2010 gli inglesi Nicola Martin e Quentin Sattentau sono riusciti a dimostrare che il trasferimento dell’HIV da cellula infetta a cellula sana mediato dalle sinapsi virali è davvero più efficiente rispetto alla diffusione da virus libero a cellula, ed è relativamente resistente agli anticorpi monoclonali neutralizzanti, ma è invece piuttosto sensibile agli inibitori dell’ingresso: può quindi essere inibita con la somministrazione di queste sostanze, alcune delle quali hanno come target le proteine gp120 o gp41 sulla superficie del virus, mentre altre si legano ai CD4 o ai corecettori CCR5 o CXCR4 sulla superficie dei linfociti T (cfr. Virological Synapse-Mediated Spread of Human Immunodeficiency Virus Type 1 between T Cells Is Sensitive to Entry Inhibition).
Tutta questa lunga premessa per arrivare a parlare di una letterina di 3 pagine appena pubblicata su Nature da David Baltimore e dal suo team al Caltech di Pasadena, in collaborazione con il Weizman Institute di Rehovot: Cell-to-cell spread of HIV permits ongoing replication despite antiretroviral therapy.
Perché è importante? Perché Baltimore presenta un modello di replicazione virale attiva durante la HAART, che porta a ipotizzare che la persistenza dei reservoir, pur in presenza di una terapia che abbia successo nell’azzerare la viremia, possa essere spiegata da una infezione che si propaga da una cellula all’altra e che si fa beffe della normale concentrazione dei farmaci. Questo potrebbe quindi spiegare perché la HAART non riesce ad eradicare l’infezione.
I due meccanismi – NON mutualmente esclusivi - proposti per spiegare il mantenimento di un reservoir pur in presenza di terapia antiretrovirale sono la latenza e la replicazione in corso.
Si è però visto che la trasmissione diretta del virus da una cellula all’altra causa un’infezione efficiente, che riesce ad aggirare la perdita di virus libero che si verifica mentre l’HIV circola nel flusso sanguigno in cerca di cellule da infettare. Anche se si sa che l’infezione da una cellula all’altra non protegge completamente il virus dagli effetti degli antiretrovirali, Baltimore ha osservato che questa forma di trasmissione è comunque meno sensibile ai farmaci rispetto all’altra e ha costruito un modello probabilistico dell’infezione, che è in grado di spiegare questo risultato.
Senza andare troppo nei particolari: ha infettato delle cellule-target sia mediante HIV libero, sia mediante altre cellule infette e l’ha fatto sia in assenza di farmaci, sia in presenza di concentrazioni crescenti di tenofovir o di efavirenz. Ha poi calcolato il rapporto fra il numero di cellule-target infettate in presenza del farmaco e il numero di quelle infettate in assenza di ARV. Quello che ha osservato sono delle risposte straordinariamente diverse ai farmaci quando l’infezione aveva avuto inizio da un cellula rispetto a quando aveva avuto inizio da virus libero. In quest’ultimo caso, quel rapporto crollava in funzione delle maggiori concentrazioni dei farmaci usati. Invece, la curva scendeva molto lentamente quando l’infezione avveniva tramite cellule infette: i valori del rapporto erano di un’ordine di grandezza più grandi e questo è stato spiegato usando un semplice modello probabilistico, che prevede che il numero medio di virus trasmessi direttamente da un cellula all’altra sia molto grande. Cioè: INFEZIONI MULTIPLE PER OGNI CELLULA PORTANO A UNA RIDOTTA SENSIBILITÀ AI FARMACI, pur in assenza di mutazioni resistenti a quei farmaci.
Ne è stato dedotto che il diminuire dell’infezione osservato nell’infezione diretta cellula – cellula ad alte concentrazioni di farmaci è insufficiente a fermare il propagarsi dell’infezione: se si dimostrasse (*) che la diffusione da una cellula all’altra ha le stesse proprietà anche in vivo, questo, oltre a causare attivazione immunitaria e quindi infiammazione, potrebbe spiegare certi fallimenti terapeutici e soprattutto potrebbe dar ragione della creazione di un reservoir di replicazione attiva in comparti quali il tessuto linfatico, dove in genere avviene questo tipo di trasmissione, pur in presenza di quantità di farmaci che bloccano l’infezione causata dal virus libero.
I dati presentati in questo lavoro indicano che la diffusione da una cellula all’altra è probabilmente una fonte di replicazione in corso intermittente, pur in presenza di HAART, e questa è una conseguenza del passaggio dell’infezione da cellula a cellula, che trasmette tanti virus in eccesso rispetto a quanto è richiesto per infettare una cellula in assenza di ARV. Questa trasmissione così ampia diminuisce la probabilità che ogni virus trasmesso venga inibito dai farmaci, pertanto diminuisce di molto l’efficacia della terapia.
Questo, in sintesi, il modello Sigal – Baltimore:

Perché è importante capire se la replicazione da una cellula all’altra causa – in vivo - un reservoir? Perché si tratterebbe di un reservoir diverso da un reservoir di virus latente e dovrebbe essere aggredito in modo differente. Si ritiene che il virus in stato di latenza potrebbe essere eradicato se lo si attivasse e lo si forzasse a uscire dalle cellule, per poi spazzarlo via grazie alla HAART, che gli impedisce di entrare in nuove cellule. Ma questo non funzionerebbe nel caso di un virus che nelle cellule ci entra comunque, facendosi beffe dei farmaci.
(*) Nota del 23/12/2011: si temeva che ci sarebbe voluto molto tempo per una dimostrazione sperimentale del modello matematico di Sigal-Baltimore. Ma non è stato così: questa dimostrazione è stata portata da Schacker, Stevenson e Fletcher al workshop di St Martin.
Si veda qui http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 8686#p8686 e qui http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 8794#p8794.