Come predire il rebound virale dopo interruzione della ART?

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Come predire il rebound virale dopo interruzione della ART?

Messaggio da Dora » sabato 28 febbraio 2015, 9:25

Al CROI 2015 due diversi gruppi di ricerca - quello inglese che fa capo allo SPARTAC e uno americano che fa capo alla Harvard Medical School - hanno proposto dei marker che aiutino a stimare dopo quanto tempo dall'interruzione della ART ci si può attendere il rebound della viremia.
È tema di grande interesse sia negli studi sulla cura, in cui un'interruzione terapeutica è al momento richiesta per poter valutare gli effetti dei trattamenti sperimentati, sia nei casi in cui persone entrate in terapia durante la fase acuta dell'infezione desiderino provare a interrompere la ART. A volte, infatti, si ha un rebound quasi immediato della viremia, proprio come accade in genere alle persone che hanno iniziato la ART durante la fase cronica, A volte, invece, il rebound della viremia è molto dilazionato, o addirittura non c'è. Capire prima chi si candida a diventare un "post treatment controller" può essere di grande ultilità per valutare l'opportunità o meno della sospensione degli antiretrovirali.
Trovare e validare uno o più marker che indichino i probabili tempi del rebound è dunque l'obiettivo di ricerche come quelle presentate in questo thread.

Del lavoro dello SPARTAC abbiamo già iniziato a parlare l'autunno scorso, quindi riporto qui alcune cose scritte nel thread The RIVER Trial (CHERUB). Seguiranno i post dedicati alla presentazione al CROI di John Frater e a quella di Jonathan Li.


Dora ha scritto:A settembre, John Frater e colleghi hanno pubblicato su eLife HIV-1 DNA predicts disease progression and post-treatment virological control.
Mi era sfuggito, ma la pubblicazione - sempre su eLife – la settimana scorsa di un commento di Steven Deeks e Leslie Cockerham (Biomarker reveals HIV's hidden reservoir) me lo ha ricordato. E dal commento di Deeks ho riadattato la figura che segue, in cui si introduce il lavoro di Frater:

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Per eradicare le cellule latentemente infette, dunque, dobbiamo anzitutto essere capaci di sapere quante ce ne sono. La maggior parte delle persone in terapia da lungo tempo hanno fra le 10 e le 1000 copie di HIV DNA per milione di CD4. Ma la gran parte di questo DNA virale è difettivo, quindi non potrà mai dare inizio a nuovi cicli di infezione. Quello che davvero serve è pertanto capire quante sono quelle rare cellule che contengono HIV DNA intatto e che può essere indotto a produrre nuovi virus.
Per arrivare a questo serve un marker biologico, cioè una specifica molecola, che distingua le cellule del reservoir latente dalle altre cellule infette.
In assenza di questo marker, l’unico modo per sapere se un intervento terapeutico ha effettivamente curato un paziente, riducendo o addirittura eliminando il reservoir, è l’interruzione della ART e l’attesa del rebound virale, con i rischi che questo comporta sia per il paziente, sia per i suoi partner.

Esistono diversi metodi per misurare il reservoir di HIV, che vanno dalla semplice stima di DNA virale associato alle cellule mediante PCR quantitativa (qPCR) fino ai molto più complessi Viral Outgrowth Assay (VOA) di Siliciano, che sono considerati il gold standard, ma sono costosissimi e richiedono tempi molto lunghi, passando per la misura dell’HIV RNA intracellulare, che riflette in modo più accurato l’effettiva capacità di una cellula infetta di produrre nuovi virioni.

Indipendentemente dal tipo di test usato, mentre la misurazione della viremia plasmatica e del numero dei CD4 sono buoni marker surrogati della progressione clinica dell’infezione, l’utilità clinica di misurare il reservoir non è ben chiara. Dal momento, però, che il DNA virale associato alle cellule precede la viremia plasmatica durante il ciclo vitale del virus, è logico chiedersi se la misura dell’HIV DNA (come surrogato delle dimensioni del reservoir) possa avere una rilevanza clinica. Inoltre, avere un marker surrogato del reservoir può servire nelle sperimentazioni cliniche per arrivare a una cura per valutare l’efficacia degli interventi terapeutici.

Quello che Frater e colleghi dello studio SPARTAC hanno dunque fatto è stato di misurare la frequenza di CD4 del sangue periferico contenenti HIV DNA (cioè l’HIV DNA totale) in tutti i partecipanti all’inizio dello studio, ipotizzando che, anche se la maggior parte di questo DNA virale è difettivo e dunque incapace di replicazione, il DNA totale nell’infezione da HIV iniziale e non ancora trattata con antiretrovirali possa predire il modo in cui la malattia progredirà.
  • E in effetti, come ci si aspettava, il DNA totale è diminuito di molte volte durante il trattamento con la ART. Inoltre, il DNA totale misurato subito prima di interrompere la ART ha predetto sia quanto rapidamente il numero dei CD4 sarebbe diminuito, sia quanto rapidamente si sarebbe verificato il rebound della viremia.
    Chi aveva alti livelli di DNA totale ha avuto un tasso più che doppio di rebound virale rispetto a chi aveva bassi livelli di DNA totale.


Il livello di HIV DNA totale può dunque predire quanto a lungo un paziente può rimanere in sospensione terapeutica senza avere problemi e può essere usato per identificare i pazienti che sono a maggiore rischio di rapido rebound ed è improbabile che possano avere benefici da un’interruzione della ART.


Ci sono in programma degli studi per confermare quanto osservato da Frater e colleghi. Se questo marker verrà validato, l’HIV DNA totale potrà essere usato per monitorare i prossimi tentativi di arrivare a una cura.
In sintesi:
Dora ha scritto:avere dimostrato (o confermato) in uno studio con un numero consistente di pazienti
  • - che i livelli di HIV DNA prima della ART si associano a VL e a CD4, i tipici marker di progressione,
    - che l'HIV DNA predice la progressione nei pazienti non trattati,
    - che l'HIV DNA declina durante la ART,
    - che l'HIV DNA valutato nel momento in cui si interrompe la ART predice la progressione clinica,
    - che l'HIV DNA aumenta da quando si interrompe la ART,
    - che l'HIV DNA misurato nel momento in cui si interrompe la ART predice il momento del rebound della viremia nel plasma ...

    - ... e che tutto questo accade indipendentemente dalla presenza di quantità non definite di DNA virale difettivo,
direi che dà un gran numero di informazioni utili per capire il ruolo dell'HIV DNA.



Dora
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Dora » sabato 28 febbraio 2015, 9:27

CROI 2015 – MARKER PER PREDIRE QUANDO SI VERIFICA IL REBOUND VIRALE DOPO UNA SOSPENSIONE TERAPEUTICA: [divbox]HIV DNA TOTALE[/divbox]


Biomarkers to Predict Viral Rebound at Antiretroviral Therapy Interruption in SPARTAC
+ Abstract #111LB


La ricerca presentata da John Frater, University of Oxford, consiste in una analisi di 18 marker immunologici e virologici misurati durante la fase acuta dell’infezione (PHI – Primary HIV-1 Infection) per determinare se possano aiutare a predire lo stato di remissione virologica che viene definito di “post treatment controller” (PTC) dopo l’interruzione della ART iniziata molto precocemente.
Si tratta di un’analisi retrospettiva su campioni di un sottogruppo di partecipanti allo studio SPARTAC, uno studio randomizzato e controllato in cui persone che avevano iniziato la ART durante l’infezione primaria l’hanno presa per 48 settimane e poi l’hanno sospesa.
Le domande da cui è partita la ricerca riguardavano il ruolo svolto dall’HIV DNA nel tempo di rebound:

  • - che cosa determina la dimensione del reservoir, cioè i livelli di HIV DNA?
    - che cosa si correla con l’HIV DNA?
    - quali altri marker determinano il rebound virale dopo interruzione della ART?


Sono state misurate le risposte dei CD4 e CD8 HIV-specifici, i marker di attivazione dei linfociti T (HLA-DR, CD38, CD25 e CD69), l’HIV DNA totale e quello integrato, l’RNA associato alle cellule, il numero dei CD4, la viremia plasmatica e il rapporto CD4/CD8.
Le associazioni fra i marker e l’HIV DNA totale e il tempo di rebound dopo interruzione della ART sono state studiate mediante analisi statistiche e, ove possibile, confrontate con i valori di prima della terapia e dopo 48 settimane di ART.

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Sono state studiate 154 persone che hanno iniziato la ART mediamente circa 74 giorni dopo il momento stimato dell’infezione.
47 di loro, dopo 48 settimane di ART, hanno sospeso la terapia e dalle analisi statistiche effettuate sui campioni prelevati loro si è visto che, anche se tutti i marker di infiammazione o di esaustione dei linfociti T possono dare informazioni importanti e si correlano in modo significativo con il livelli di DNA provirale e tutti fra di loro, solo l’HIV DNA totale, misurato o al basale o al momento della sospensione della ART, si associava con il rebound della viremia.

In particolare, l’HIV DNA si associa all’immunità specifica dei linfociti T e le persone che hanno alleli HLA noti per ritardare la progressione dell’infezione hanno livelli di HIV DNA più bassi rispetto alle persone con HLA noti per accelerare la progressione (l’avere rilevato una associazione fra DNA provirale e immunità specifica, tuttavia, non permette di sapere in quale direzione vada il nesso causale).

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La matrice qui rappresenta visivamente la correlazione fra i marker fra loro (blu: correlazione positiva; rosso: correlazione negativa; l’intensità del colore riflette la forza della correlazione).
Viremia e CD4 mostrano una correlazione molto forte con l’HIV DNA.

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Nonostante le tante associazioni positive, l’HIV DNA è l’unico marker che predica il rebound. L’immunità HIV-specifica non lo predice, anche se predice la progressione della malattia, e gli unici marker pre-terapia che potrebbero singolarmente affiancare l’HIV DNA per meglio predire il tempo di rebound sono PD-1, Lag-3 e Tim-3: sono tutti marker di esaustione dei linfociti T – in particolare PD-1 è un ottimo predittore di progressione clinica – che potrebbero dire prima dell’inizio della ART che cosa accadrà quando, 48 settimane dopo, la ART verrà sospesa.

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Dora
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Dora » sabato 28 febbraio 2015, 9:30

CROI 2015 – MARKER PER PREDIRE QUANDO SI VERIFICA IL REBOUND VIRALE DOPO UNA SOSPENSIONE TERAPEUTICA: [divbox]HIV RNA ASSOCIATO ALLE CELLULE E VIREMIA RESIDUA[/divbox]


The Size of the Active HIV Reservoir Predicts Timing of Viral Rebound
+ Abstract 110LB


Jonathan Li, Harvard Medical School, ha presentato una ricerca che aveva intenti simili a quella di Frater - identificare dei marker virologici che predicano il tempo di rebound al fine di poter valutare gli interventi terapeutici volti a consentire periodi di remissione dell’infezione.
Storicamente, si è cercata una significativa diminuzione del set point al ripresentarsi della viremia, ma c’è un crescente interesse verso quegli interventi terapeutici che consentano piuttosto una dilazione del momento del rebound, considerato una variabile probabilmente più sicura e facile da affrontare da un punto di vista clinico.

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La ricerca di Li e colleghi è stata compiuta, come quella di Frater, facendo un’analisi retrospettiva sui partecipanti di 5 studi ACTG. Il reservoir latente di HIV è stato valutato in 124 persone mediante la misurazione dei livelli di HIV DNA associato alle cellule (CA-DNA), mentre per il reservoir attivo si sono misurati l’RNA associato alle cellule (CA-RNA) e la viremia residua. Questi valori sono stati associati con il tempo di rebound virale dopo l’interruzione della terapia.
Non si trattava però soltanto di persone che avevano iniziato la ART durante la fase primaria, ma di un gruppo eterogeneo di persone che avevano viremia soppressa dalla ART e non avevano ricevuto alcun tipo di trattamento immunologico prima di sospendere la terapia.

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Si è stabilito che si era verificato rebound virale quando

  • - si confermava una viremia di più di 200 copie/mL, oppure
    - si misurava una singola viremia di più di 1000 copie/mL.


La maggior parte dei partecipanti ha perso la soppressione virologica entro 4 settimane dalla sospensione della ART, ma in un piccolo gruppo c’è stata una dilazione del rebound virale.

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Stratificando i partecipanti in base al momento di inizio della ART, si è visto che il gruppo che aveva iniziato in fase acuta/precoce aveva la più alta percentuale di partecipanti con viremia soppressa a 12 settimane dall’interruzione della terapia.

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Quando i partecipanti che avevano iniziato la ART in fase cronica sono stati stratificati in base ai regimi terapeutici, è emerso che chi era in un regime basato su NNRTI aveva un tempo di rebound significativamente ritardato a 4 settimane. La differenza è diminuita nel tempo. Una ipotesi è che possa avere giocato un ruolo l’emivita prolungata degli NNRTI. Una seconda ipotesi è che si siano create delle differenze nelle dimensioni dei reservoir come risultato del più elevato rischio di blip virali associato agli IP.

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Indagando la dimensione dei reservoir al momento di inizio della ART, si è visto che i 20 partecipanti che avevano iniziato la ART durante la fase acuta o precoce dell’infezione avevano livelli pre-interruzione di CA-RNA più bassi dei 104 partecipanti che avevano iniziato la ART in fase cronica: cioè si è visto che la dimensione del reservoir attivo di HIV, riflessa dai livelli di RNA virale associato alle cellule e di viremia residua, si associa con il tempo di rebound all’interruzione della ART. Invece, le differenze fra i due gruppi dei livelli di DNA associato alle cellule non erano significative.

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La dimensione dei reservoir analizzata sulla base del regime terapeutico non ha invece dato risultati significativi. Questo sembra dire che le differenze nelle dimensioni dei reservoir prima dell’interruzione della ART misurate fra chi era trattato con NNRTI e chi con PI, non danno conto del tempo dilazionato di rebound che si è visto nel gruppo degli NNRTI.

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Arrivando finalmente ai possibili predittori del momento del rebound, il tempo di rebound è stato suddiviso in tre fasce: meno di 4 settimane, fra 5 e 8, più di 8. La maggior parte dei partecipanti ha avuto il rebound entro la 4° settimana.
Il periodo più lungo prima del rebound si è associato con livelli più bassi di CA-RNA. Nulla di analogo si è visto per il DNA associato alle cellule.

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Quando infine è stata valutata la viremia residua, misurandola mediante Single Copy Assay, ne è risultato che chi aveva la viremia residua più bassa ha avuto il momento del rebound più dilazionato.

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Le implicazioni di quanto osservato sono che:

  • 1. i livelli significativamente più bassi di CA-RNA nelle persone trattate in fase acuta possono indicare che UN RESERVOIR ATTIVO DI HIV PUÒ INFLUIRE SUL PERIODO DI REBOUND PIÙ LUNGO;
    2. il rebound ritardato delle persone trattate con NNRTI rispetto a quelle trattate con PI può essere stato dovuto alla diversa farmacocinetica e alla diversa penetrazione dei farmaci;
    3. LE DIMENSIONI DEL RESERVOIR ATTIVO DI HIV (CIOÈ I LIVELLI DI CA-RNA E VIREMIA RESIDUA) CHE SI SONO ASSOCIATE CON TEMPI PIÙ LUNGHI PRIMA DEL REBOUND POTREBBERO SERVIRE COME MARKER PER VALUTARE L’EFFICACIA DI TERAPIE CHE ABBIANO L’OBIETTIVO DI RAGGIUNGERE UN PERIODO PROLUNGATO DI REMISSIONE LIBERA DAI FARMACI.



Blast
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Blast » sabato 28 febbraio 2015, 11:05

Molto interessanti, chissà che non si scopra in via definitiva come bloccare, anche per un tot periodo di tempo, il rebound e renderci in qualche modo tutti dei post treatment controller, o dei long term non progressor, o degli elite controller :lol: :lol: :lol:
Interessante anche il fatto che gli studi si stiano evolvendo verso caratteristiche del virus come l'HIV DNA. Proprio ieri sera leggevo casualmente di uno studio su pubmed (anche se un po' vecchiotto, del 2007) che parla degli specifici siti di integrazione di HIV a livello dei cromosomi umani (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17545577). Stai a vedere che piano piano riusciamo a scoprire cosa sta alla base del meccanismo di latenza, e di conseguenza bloccarla.


CIAO GIOIE

Dora
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Dora » sabato 28 febbraio 2015, 13:44

Blast ha scritto:Proprio ieri sera leggevo casualmente di uno studio su pubmed (anche se un po' vecchiotto, del 2007) che parla degli specifici siti di integrazione di HIV a livello dei cromosomi umani (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17545577).
Se è un argomento che ti interessa, al CROI c'è stata una lezione molto bella di Stephen Hughes (National Cancer Institute) proprio su dove va a integrarsi l'HIV: Specific HIV Integration Sites Linked to Clonal Expansion and Persistence of Cells.

Si è visto che una parte significativa delle cellule infette delle persone in ART (in un paziente addirittura la metà!) è di espansione clonale, cioè deriva da una sola cellula che contiene provirus intatto e può persistere fino a più di 11 anni. E questo è confermato dal fatto che il DNA virale è integrato esattamente nello stesso sito: si è visto che molti dei provirus nei cloni espansi sono difettivi, ma purtroppo non lo sono tutti, perché quando le cellule in un clone espanso producevano HIV, le sequenze di RNA erano tutte identiche.
Quindi una parte consistente della viremia residua - che contribuisce alla persistenza dell'HIV, e dunque all'iperattivazione e all'infiammazione - viene probabilmente da espansione clonale.

E un'altra cosa molto importante di cui parla Hughes, che puoi vedere più nei dettagli nella ricerca di Simonetti (Residual Viremia Caused by Clonally Expanded Tumor-Infiltrating CD4+ Cells), serve probabilmente a spiegare la maggiore incidenza di certe forme di cancro. Si è visto, infatti, in vivo, che molti cloni espansi si vanno a integrare in due specifici geni che sono noti per essere oncogeni.
Inoltre, si è visto che ci sono un certo numero di altri siti di integrazione nelle vicinanze di geni legati alla crescita, al controllo e alla differenziazione cellulare, che potrebbero favorire la persistenza dei cloni.

Adesso non mi dilungo, perché sono cose molto tecniche che ci porterebbero off topic, ma credo che questo tipo di ricerche acquisteranno sempre più importanza nei prossimi anni e daranno tante indicazioni non solo sulla patogenesi, ma anche su come arrivare a curare l'infezione.



Keanu
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Keanu » sabato 28 febbraio 2015, 21:15

Questa cosa mi sta molto interessando molto.Proprio in questi giorni sto parlando con un ragazzo che,dopo 7 anni di terapia con Atripla, ha deciso di sospenderne l'assunzione, perché ha iniziato a fare tantissime ricerche che lo hanno portato a convividere le opinioni delle teorie negazioniste. Mi ha detto che non prende la ART da ottobre 2014 e si sente benissimo,la qualità della sua vita è migliorata senza gli effetti collaterali dei farmaci. Mi ha confessato che ha fatto spesso sesso non protetto,anche con sieropositivi e solo dopo circa 50 test è risultato positivo.Si è tenuto sempre sotto controllo e ha iniziato la cura quando il suo infettivologo glielo ha consigliato,quindi non credo che abbia iniziato la terapia durante la fase acuta(che poi sarebbe iniziata con una brutta influenza durata solo una settimana,a differenza mia,che ho avuto la febbre per quasi un mese e che mi scambiarono per mononuscleosi). Rimarrò in contatto con lui,lo aspetto al rebound virale,che spero ,per lui, non avrà mai così come non gli auguro l'insorgenza di qualche patologia correlata.



Blast
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Blast » domenica 1 marzo 2015, 19:27

Complimenti al tuo amico, che avrà sviluppato resistenze ai farmaci che ha smesso di assumere, resistenze che poi si beccheranno gli sfigati che infetterà facendo in giro le sue porcate senza preservativo. Sta gente sarebbe da denuncia (e in effetti lo è qualora infetti qualcuno, dato che la diagnosi ce l'ha, e pure la terapia assegnata).
Io ho beccato su romeo un negazionista (che tra l'altro mi ha insultato dicendomi le peggiori parolacce), ma di questo discuterò in un altro topic


CIAO GIOIE

Dora
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Re: Come predire il rebound virale dopo interruzione della A

Messaggio da Dora » sabato 10 ottobre 2015, 10:16

MARKER PER PREDIRE QUANDO SI VERIFICA IL REBOUND VIRALE DOPO UNA SOSPENSIONE TERAPEUTICA - [divbox]TRE MARKER IMMUNOLOGICI: PD-1, Trim-3, Lag-3[/divbox]


John Frater e colleghi hanno pubblicato ieri su Nature Communications un approfondimento della loro ricerca sul trial SPARTAC che, benché sia un’analisi post hoc di un trial che non era stato fin dall’inizio impostato per identificare marker di remissione e richieda dunque altri studi per essere confermata, ha permesso di individuare tre marcatori immunologici, che si correlano con l’HIV DNA totale nel predire quanto tempo passerà fra interruzione della ART e rebound della viremia.
Avevano anticipato qualcosa già al CROI lo scorso febbraio, quindi per inquadrare la ricerca vi rimando al post CROI 2015 – MARKER PER PREDIRE QUANDO SI VERIFICA IL REBOUND VIRALE DOPO UNA SOSPENSIONE TERAPEUTICA: [divbox]HIV DNA TOTALE[/divbox] e all’introduzione di questo thread.

Vediamo invece qui qualche dettaglio sull’analisi dei fattori immunologici che, sia indipendentemente, sia in associazione con un fattore virologico come l’HIV DNA totale, predicono il tempo di rebound virale e cerchiamo di capire perché l’avere individuato dei fattori che non dipendono dal virus, ma dall’ospite, non solo può rivelarsi utile a sapere in anticipo chi si candida a diventare un post treatment controller e ha dunque tutto l’interesse a sospendere la ART dopo averla iniziata in fase acuta, ma può anche gettare luce sulle complicatissime dinamiche del reservoir latente, aiutando a impostare studi sulla cura che permettano in futuro a tutti di beneficiare almeno di lunghi periodi senza farmaci.

I marker selezionati per misurare i parametri dell’immunità dell’ospite e predire i tempi di rebound sono stati 18 e se ne sono cercate le associazioni con i marker del reservoir latente, in particolare con i livelli di HIV DNA, misurandoli in 154 pazienti al momento di inizio della ART e al momento della sospensione dopo 48 settimane.

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PD-1, Trim-3 e Lag-3 sono risultati predittori del rebound statisticamente significativi: si è infatti visto che se i livelli di questi marker espressi dai linfociti T prima dell’inizio della ART erano alti, allora il rebound della viremia (a più di 400 copie/mL) alla sospensione della ART avveniva rapidamente. Invece, gli stessi marker misurati al momento dell’interruzione della ART non predicevano nulla.
Inoltre, PD-1 e Lag-3 si sono associati in modo significativo ai livelli di DNA virale. Tim-3 no, a indicare che potrebbero esserci in azione meccanismi diversi nella riattivazione del reservoir latente.

Che cosa sono questi tre marcatori? Sono segnali di esaustione dei linfociti T chiamati anche marker di checkpoint immunologico – molecole che quando sono espresse dalle cellule indicano che la risposta immune è danneggiata. Quanto più alti sono i livelli di questi marker, tanto meno efficace la risposta immune e tanto più rapida la progressione della malattia.

Mentre si sa da tempo che la progressione dell’infezione è mediata dalla risposta immune, diversi studi, sia su modelli matematici, sia su cellule, fatti in questi ultimi anni stanno spingendo a ipotizzare che la riattivazione del reservoir latente e dunque il rebound della viremia dopo l’interruzione della ART sia un fenomeno stocastico, casuale, cioè che abbia poco a che fare con la risposta immune (vedere i post VARIABILITÀ STOCASTICA DELLA RIATTIVAZIONE DEL PROVIRUS LATENTE: GLI AMPLIFICATORI DEL “RUMORE” E UNA NUOVA, SEMPRE PIÙ SOFISTICATA, STRATEGIA “SHOCK AND KILL” e CARATTERIZZAZIONE DEI PROVIRUS NON INDOTTI - per riprendere il filo di un lungo discorso.).

La scoperta che questi tre marker di esaustione dei linfociti T predicono il ritorno della viremia alla sospensione della ART suggerisce che, nelle prime fasi dell’infezione, le dimensioni del reservoir siano determinate anche dall’immunità mediata dai linfociti T, quindi che nel primo stabilirsi del reservoir latente il virus non giochi la sua partita da solo.

Quando poi si comincia la ART e si sopprime la replicazione del virus, allora i numeri dei CD4 aumentano e il reservoir comincia lentissimamente a diminuire. Se la ART viene sospesa, in genere accadono due cose: la viremia ritorna e i CD4 calano.

L’ipotesi avanzata da Frater e colleghi è che questi due processi siano determinati da due meccanismi diversi: uno stocastico che dipende dalle dimensioni del reservoir e uno mediato dalle risposte immuni HIV-specifiche che si innescano quando la viremia torna rilevabile.

Se è così, tutti gli studi fatti sugli elite controller per individuare i meccanismi immunologici che permettono loro di controllare le viremie potrebbero non servire a molto né per capire come indurre uno stato di post treatment control, né come arrivare a una cura dell’infezione.

Invece, se si confermerà che le dimensioni del reservoir sono determinate dal modo in cui i linfociti T funzionano agli inizi dell’infezione, conoscere i livelli di PD-1, Trim-3 e Lag-3 e il modo in cui l’immunità mediata dalle cellule T si correla con i livelli di DNA virale al momento di inizio della ART può aiutare a capire perché alcune cellule latentemente infette si riattivano e altre no, quindi a capire quali persone possono più facilmente diventare dei post treatment controllers. Naturalmente, capire il meccanismo del controllo della viremia quando si sospende la ART può essere un passo avanti molto importante sulla via della cura dell’infezione.





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